Le banche Ing,
Dexia, Fortis, Axa e Kbc hanno investito 1,5 miliardi di dollari in imprese che
producono bombe a grappolo, mine antiuomo e uranio impoverito.
Lo rivela uno studio dell’ONG belga Netwerk Vlaanderen. Che ha scioccato
l’opinione pubblica.
METTETEVELO NELLA ZUCCA. Se avete depositato i vostri risparmi nel conto arancio
è possibile che i vostri soldi siano stati usati per finanziare l’industria
delle armi. ING, la banca olandese che ha portato in Italia il conto delle
meraviglie, è uno dei finanziatori di EADS, secondo produttore di armi europeo.
Ha inoltre investito nelle azioni di imprese che producono mine antiuomo e
anticarro, armi nucleari e uranio impoverito. È quello che si legge nel rapporto
dell’ONG di Bruxelles Netwerk Vlaanderen pubblicato l’anno scorso nell’ambito
della campagna “Mijn Geld. Goed Geweten?” (Il mio denaro. Coscienza pulita?)
promossa da Netwerk in collaborazione con due movimenti pacifisti belgi.
Nel rapporto vengono messe sotto la lente le relazioni tra le cinque banche più
importanti presenti in Belgio (AXA, DEXIA, FORTIS, ING e KBC) e 11 imprese
produttrici di armi controverse. I risultati della ricerca parlano da soli: al
momento della pubblicazione del rapporto (aprile 2004) tutte e cinque le banche
erano coinvolte nel finanziamento della produzione di armamenti, con un
investimento complessivo di 1,5 miliardi di dollari.
«Nessuno in Belgio aveva mai parlato dei rapporti tra le banche e la produzione
di armi», spiega Karl Maeckelberghe di Netwerk. «Dopo un anno e mezzo di
campagna la situazione è completamente cambiata». Ora fioccano le petizioni, i
dibattiti, gli articoli sulla stampa, i servizi alla radio e in televisione.
L’opinione pubblica è scioccata e chiede alle banche di fermare gli
investimenti. Ottenendo anche importanti risultati: ING, KBC e FORTIS hanno già
cominciato a fare marcia indietro.
Ma prima di parlare degli effetti della campagna vediamo più in dettaglio i
contenuti del rapporto.
Grappoli di bombe
“Cluster bombs”, in italiano bombe a
grappoli o a frammentazione.
Vengono lanciate da aerei, elicotteri o dall’artiglieria di terra. Poco dopo il
lancio si aprono e rilasciano centinaia di submunizioni: bombe più piccole,
granate, mine, agenti chimici che si disperdono in aree molto vaste.
Le munizioni dovrebbero esplodere una volta raggiunti gli obiettivi. In realtà
molte rimangono inesplose (dal 5 al 30% del totale) creando veri e propri campi
minati. Come se non bastasse, le sub-munizioni sono più difficili da
disinnescare rispetto alle mine antiuomo e quando vengono calpestate non
feriscono.
Uccidono direttamente. Le cluster sono state usate in almeno 16 Paesi, tra cui
Afghanistan, Albania, Bosnia, Iraq, Cecenia e Kosovo. Secondo un rapporto di
Human Rights Watch, durante la prima guerra del Golfo ne sarebbero cadute 61.000
solo sull’Iraq, liberando un totale di circa 20 milioni di sub-munizioni, molte
delle quali non sono esplose. Dopo la guerra gli ordigni inesplosi hanno
provocato la morte di 1.600 civili, il 60% dei quali aveva meno di quindici
anni.
I
principali produttori di bombe a frammentazione sono Forges de Zeebrugge,
Raytheon, Lockheed Martin e EADS. Lo dice Jane’s Defence database, la banca dati
più completa sull’industria degli armamenti, e lo confermano i siti internet
delle imprese.
Nel marzo del 2004 tutte le banche analizzate da Netwerk stavano investendo in
queste società.
Alla fine del 2002 KBC, DEXIA e FORTIS garantivano le operazioni di Forges per
circa 2,6 milioni di euro.
Sempre nel 2002 ING ha partecipato a un finanziamento in pool assieme a una
trentina di banche a favore di EADS, sborsando dai 50 ai 100 milioni di euro,
mentre fino al luglio del 2003 AXA era uno degli azionisti di EADS attraverso la
holding francese Désirade.
Ma anche tra le grandi banche c’è chi dice no. In seguito alle pressioni del
partito di opposizione olandese SP (Socialistische Partij), ABN Amro, gruppo
bancario internazionale con sede ad Amsterdam, ha deciso di chiudere tutti i
suoi rapporti con la società inglese Insys, che testa le cluster per l’esercito
britannico. ABN deteneva il 18% del capitale di Insys attraverso un fondo di
investimento. È un precedente interessante, anche perché ABN si è formalmente
impegnata ad evitare ogni ulteriore rapporto con i produttori di bombe a
frammentazione.
Indice
Parte I
Parte II
Parte III
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