Europa e' anche
giustizia e diritti. Nel 2007 le Corti europee, la Corte dei diritti dell'uomo
del Consiglio d'Europa e la Corte delle Comunita' europee, hanno emesso
centinaia di sentenze o decisioni. Ne abbiamo scelto alcune a nostro avviso piu'
significative, che riguardano l'Italia e i diritti o che comunque stabiliscono
degli importanti precedenti giurisprudenziali cui far riferimento anche nel
dibattito politico futuro.
ITALIA
Violazioni dei
diritti. A gennaio 2007, la Corte dei diritti dell'uomo ha reso nota la
somma delle violazioni commesse dai singoli Paesi del Consiglio d'Europa nel
2006. L'Italia ha collezionato 96 violazioni, mentre solo 5 giudizi su quelli
ritenuti ammissibili dalla Corte si sono conclusi a favore dello Stato Italiano.
Il maggior numero di violazioni della convenzione commessi dall'Italia sono
quelli relativi alla protezione della proprieta' (50), spesso riferiti al
fenomeno degli espropri senza adeguato risarcimento. Seguono il rispetto per la
vita privata e familiare (31), il diritto ad un effettivo rimedio (25), la
lentezza delle procedure giudiziarie (17), il diritto ad un processo giusto
(11), il diritto a libere elezioni (10), mentre 3 casi riguardano il diritto
alla protezione ed alla sicurezza.
Si ravvisano
quindi 53 violazioni relative al settore della giustizia (sebbene per taluni
casi sia stata lamentata la mancanza di leggi adeguate) e 43 riguardanti altre
amministrazioni dello Stato e i poteri esecutivo e legislativo (sebbene anche
alcune sentenze riguardanti la violazione della privacy della vita privata o
familiare siano da riferirsi a decisioni dell'apparato giudiziario). Il nostro
Paese e' poi - fra i 46 Stati membri del Consiglio d'Europa - nella 'top ten' di
quelli che hanno commesso piu' violazioni, preceduto dalla Turchia (312,
soprattutto processi non equi e discriminazione), la Slovenia, l'Ucraina, la
Polonia e la Francia, che si contraddistingue per un alto numero di violazioni
relative al giusto processo.
A marzo, in una
sentenza, la Corte ha ribadito che l'Italia deve cessare la sistematica
violazione dell'articolo 46 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e
prendere provvedimenti normativi affinche' essa non si ripeta. Il Tribunale
europeo ha considerato che l'Italia dovrebbe, soprattutto, impedire tutti i casi
di occupazione illegale della terra e scoraggiare le pratiche che non si
attengano alle regole sull'esproprio legale, promulgando disposizioni che
fungano da fattore dissuasivo e stabilendo la responsabilita' di chi realizza
tali pratiche.
Inceneritori
Il 5 luglio l'Italia e' stata condannata dalla Corte di Giustizia europea per
omessa valutazione d'impatto ambientale sull'inceneritore di Brescia -
propagandato come il migliore del mondo -e per omessa pubblicita' al pubblico
delle decisioni prese per consentire ai cittadini di dire la propria opinione.
Nella sua denuncia, la Commissione Europea osservava che "poco importa che le
autorità competenti abbiano effettuato una valutazione dell'impatto
sull'ambiente della «terza linea» dell'inceneritore", in quanto, secondo gli
obblighi della direttiva, "è prima del rilascio dell'autorizzazione che i
progetti che possono avere un notevole impatto ambientale, in particolare per la
loro natura, le loro dimensioni e la loro ubicazione, devono essere sottoposti
ad un procedimento di autorizzazione e ad una valutazione di tale impatto".
Secondo la
Commissione, inoltre, "la sola volontà del gestore della «terza linea»
dell'inceneritore di sollecitare la sottoposizione di tale impianto ad una
valutazione di impatto ambientale, mentre tale impianto era già stato realizzato
e messo in funzione, è, di conseguenza, indifferente, in quanto la domanda di
valutazione è stata presentata solo il 7 dicembre 2004 e si è proceduto a tale
valutazione solo dopo la scadenza del termine impartito nel parere motivato. La
Corte Europea (Seconda Sezione) ha accolto tutti i rilievi della Commissione UE
contro l'Italia sia per l'omessa valutazione d'impatto ambientale
sull'inceneritore che per omessa pubblicizzazione alla popolazione delle
decisioni concernenti la realizzazione della terza linea, ed ha condannato
l'Italia anche pagare le spese di giudizio.
Pochi giorni
dopo, il Tribunale UE ha condannato nuovamente l'Italia per vicende riguardanti
l'appalto e la costruzione di inceneritori. L'Italia era stata deferita alla
Corte dalla Commissione Europea, che il 20 ottobre 2005 aveva chiesto di
dichiarare che il nostro Paese aveva violato le procedure previste dalla
direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di servizi. Infatti l'Ufficio del Commissario delegato per
l'emergenza rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia (il Presidente della
Regione Sicilia) - dipendente dal Dipartimento per la protezione civile,
emanazione della Presidenza del Consiglio dell'allora governo Berlusconi - aveva
indetto la procedura per la stipula delle convenzioni per l’utilizzo della
frazione residua dei rifiuti urbani, al netto della raccolta differenziata,
prodotta nei comuni della Regione siciliana.
Vittime di
reato Il 29 novembre, la Corte di giustizia europea ha condannato il nostro
Paese per il mancato recepimento nella nostra legislazione della direttiva UE
sul risarcimento delle vittime di reato (direttiva n° 80 del Consiglio del 29
aprile 2004). Gli Stati membri, infatti avrebbero dovuto "mettere in vigore le
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per
conformarsi a tale direttiva entro il 1° gennaio 2006, fatta eccezione per
l’art. art. 12, n. 2, di quest’ultima per il quale tale data era fissata al
1°luglio 2005, e dovevano informarne immediatamente la Commissione".
A nulla e' valso
sottolineare che l'Italia ha gia' alcune norme relative all'indenizzo delle
vittime di atti di terrorismo e della criminalità organizzata nonche' delle
vittime di richieste estorsive e di usura, perche' la Corte europea ha notato
che "alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, tutti i
provvedimenti necessari per procedere all’attuazione della direttiva
nell’ordinamento giuridico nazionale non erano stati adottati dalla Repubblica
italiana".
Informazione
Importante per l'Italia anche un'altra sentenza europea che non la riguarda
direttamente. Una decisione del 7 giugno della Corte dei diritti dell'uomo fa
infatti il punto sulla pubblicazione delle trascrizioni delle intercettazioni
telefoniche, il diritto di cronaca e il dirtto all'informazione. Essa prende
spunto dal caso di due giornalisti condannati dai tribunali francesi per aver
pubblicato un libro - corredato da alcuni verbali di intercettazioni - sul
sistema di intercettazioni illegali durante la presidenza Mitterand. Le condanne
erano motivate con la tutela del segreto istruttorio, ma la Corte del Consiglio
d'Europa, che opera in applicazione della Convenzione dei diritti dell'uomo, ha
ammesso che - pur avendo i due autori violato le leggi sul segreto istruttorio -
e' prevalente l'esigenza del pubblico di essere informato sul procedimento
giudiziario in corso e sui fatti narrati dai due, purche' i giornalisti
riportino fatti veri in modo corretto.
La sentenza
afferma fra l'altro che "il diritto della stampa di informare su indagini in
corso e quello del pubblico di ricevere notizie su inchieste scottanti
prevalgono sulle esigenze di segretezza". Inoltre la Corte di Strasburgo ha
sottolineato che non devono essere i giornalisti a dimostrare di non aver
violato il segreto istruttorio, ma devono essre le autorita' a dimostrare
l'effetto negativo della publicazione sulla presunzione d'innocenza di un
imputato.
Sempre in tema di
rapporti fra informazione e politica, in ottobre la Corte europea dei diritti
dell'uomo ha condannato la Moldova a risarcire un giornalista condannato dai
tribunali nazionali per aver richiamato in un articolo i legami di un
parlamentare e dei suoi parenti con la cattiva gestione dei trasporti pubblici.
Nell'occasione, la Corte ha ammesso che in molti Paesei l'interferenza con la
liberta' di stampa e' giustificata da leggi finalizzate a perseguire il
"legittimo obiettivo" di proteggere la dignita' e la reputazione delle persone,
e che cio' era valido anche in questo caso. Inoltre non ha ravvisato violazioni
della liberta' di stampa per parte dell'articolo che non appariva suffragato da
prove e che poteva effettivamente essere lesivo della reputazione del
parlamentare.
La Corte ha
dichiarato quindi che c'era stata violazione dell'art. 10, poiche' il
giornalista aveva preso la precauzione di ricordare che aveva citato o riassunto
altrui dichiarazioni, fra cui relazioni ufficiali delle autorita' dei trasporti.
È inoltre emerso che negli articoli erano contenute precise dichiarazioni di
fatto, come i legami familiari tra il politico e i dirigenti.
EUROPA
Danni bellici
A febbraio, la Corte di giustizia delle Comunita' europee ha stabilito che la
Convenzione di Bruxelles non si applica alle cause per risarcimento da danni
bellici. Il Tribunale UE ha affermato che l'azione giudiziaria promossa a scopo
di risarcimento per i danni subiti dalle vittime delle azioni delle forze armate
"non rientra nella 'materia civile' ai sensi della Convenzione di Bruxelles
concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale".
Nel caso
esaminato, le operazioni condotte dalle forze armate costituivano una
manifestazione caratteristica della sovranità dello Stato e quindi un’azione
volta ad ottenere il risarcimento del danno causato da tali operazioni, non
rientra nell’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles.
Segreto di
Stato In aprile e' stato il caso del politico polacco Tadeusz Matyjek
accusato di collaborazionismo con il passato regime polacco a generare una
importante decisione della Corte dei Diritti dell'uomo secondo cui non e' equo
un processo con atti d'accusa secretati. La sentenza ha colpito l'applicazione
della legge polacca sulla 'Lustracja' dell'aprile 1997 che obbliga i funzionari
pubblici a dichiarare la propria estraneita' alle collaborazioni con i servizi
segreti comunisti negli anni fra 1944 e 1990, ma di fatto limita anche il
segreto di Stato.
La Corte ha
ribadito infatti un suo precedente giudizio sul fatto che non vi sono i
presupposti per ritenere che sia ancora nell'interesse pubblico continuare a
limitare l'accesso al materiale classificato sotto i regimi precedenti, ed ha
notato che cio' dovrebbe valere soprattutto laddove siano previste norme come
quella polacca, dato che le persone contro cui sono portate accuse di
collaborazionismo dovrebbero trarre beneficio da tutte le garanzie procedurali
stabilite dalla Convenzione.
Inoltre le
osservazioni sulla parita' di armi fra le parti e sulla secretazione delle prove
sono estensibili ad altri processi nazionali ed internazionali recenti, come
quelli di Guantanamo dopo la recente legge antiterrorismo e, in modo speculare,
quello Serbia-Bosnia sul genocidio di Srebrenica.
Mandato
d'arresto UE A maggio 2007 la Corte europea di giustizia ha valutato che la
decisione quadro relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di
consegna tra Stati membri e' valida. La Corte ha bocciato tutte le eccezioni sul
fatto che la decisione quadro non avesse validita' in quanto sarebbe occorsa una
Convenzione, che la soppressione del controllo della doppia incriminazione per
alcuni reati menzionati nella decisione quadro fosse in contrasto con il
principio di legalità in materia penale (che implica che la legge definisca
chiaramente i reati e le pene che li reprimono) e sul fatto che il mandato
d'arresto UE violasse il principio di uguaglianza e di non discriminazione.
La Corte ha
sottolineato che la decisione quadro relativa al mandato d'arresto europeo e'
diretta ad introdurre un sistema semplificato di consegna, tra le autorità
giudiziarie, di persone condannate o sospettate, ai fini dell'esecuzione di
sentenze o per sottoporle all'azione penale. Il giudici europei hanno inoltre
affermato che la decisione quadro non e' volta ad armonizzare i reati in
questione per quanto riguarda i loro elementi costitutivi o le pene di cui sono
corredati, quindi, anche se essa sopprime il controllo della doppia
incriminazione per certe categorie di reati, la loro definizione e le pene
applicabili continuano a rientrare nella competenza dello Stato membro
emittente, che deve rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi
giuridici, di cui fa parte il principio di legalità dei delitti e delle pene. Ne
consegue che la soppressione del controllo della doppia incriminazione per
taluni reati è conforme al principio di legalità.
La Corte ha
sottolineato poi che per quanto riguarda la scelta delle 32 categorie di reati
elencate nella decisione quadro, il Consiglio ha ritenuto, in base al principio
del reciproco riconoscimento e considerato l'elevato grado di fiducia e
solidarietà tra gli Stati membri, che - vuoi per la loro stessa natura, vuoi per
la pena comminata (max 3 anni) - le categorie di reati in questione rientrino
tra quelle che arrecano all'ordine e alla sicurezza pubblici un pregiudizio tale
da giustificare la deroga all'obbligo di controllo della doppia incriminazione.
Quanto alla disparità nell'attuazione nei diversi ordinamenti giuridici
nazionali dovuta alla mancanza di precisione nella definizione dei reati, i
giudici europei hanno sottolneato che la direttiva non ha per oggetto
l'armonizzazione del diritto penale sostanziale degli Stati membri. La Corte ha
inoltre dichiarato che, nell'ambito della sua discrezionalità, il Consiglio dei
ministri può privilegiare lo strumento giuridico della decisione quadro quando,
come in questo caso, sono presenti le condizioni per l'adozione di tale atto.
Avvocati e
antiriciclaggio A fine giugno la Corte di giustizia europea ha sentenziato
che gli Stati membri UE possono imporre agli avvocati di collaborare con le
autorita' responsabili della lotta al riciclaggio di capitali quando essi
partecipano ad alcune transazioni di natura finanziaria non collegate ad un
procedimento giudiziario e cio' non viola il diritto ad un equo processo. I
giudici europei hanno spiegato che tali obblighi sono giustificati dalla
necessita' di lottare efficacemente contro il riciclaggio.
I giudici europei
hanno ricordato che gli obblighi di informazione e di collaborazione si
applicano agli avvocati solo nei limiti in cui questi assistono i loro clienti
nella progettazione o nella realizzazione di talune operazioni essenzialmente di
ordine finanziario e immobiliare, o qualora agiscano in nome e per conto del
loro cliente in una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare. Come regola
generale - ha sottolineato la Corte - tali attività, a causa della loro stessa
natura, si situano in un contesto che non è collegato ad un procedimento
giudiziario e, pertanto, si pongono al di fuori dell’ambito di applicazione del
diritto a un equo processo.
Sin dal momento
in cui l’assistenza dell’avvocato è richiesta per l’esercizio di un incarico di
difesa o di rappresentanza in giudizio o per l’ottenimento di consulenza
sull’eventualità di intentare o di evitare un procedimento giudiziario, tale
avvocato è esonerato dagli obblighi di informazione e collaborazione, essendo
irrilevante se le informazioni siano state ricevute o ottenute prima, durante o
dopo il procedimento.
Un tale esonero è
di natura tale da preservare il diritto del cliente ad un equo processo, mentre
invece - ha evidenziato la Corte UE - le esigenze connesse al diritto ad un equo
processo non si oppongono al fatto che gli avvocati, quando agiscono nell’ambito
preciso delle dette operazioni di ordine finanziario e immobiliare non aventi
collegamento con un procedimento giudiziario, siano sottoposti agli obblighi di
informazione e di collaborazione creati dalla direttiva, dal momento che tali
obblighi sono giustificati dalla necessità di lottare efficacemente contro il
riciclaggio di capitali che esercita un'influenza evidente sullo sviluppo della
delinquenza organizzata, la quale costituisce a sua volta una minaccia
particolare per le società degli Stati membri.
Abusi di
polizia Il 9 ottobre, invece, la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha
stabilito che lo Stato e' responsabile se la polizia non e' stata messa al
corrente delle conseguenze negative della prolungata immobilizzazione di una
persona fermata. La Corte ha infatti condannato la Francia per la morte di un
giovane schizofrenico mentre era bloccato dalla polizia ed ha ritenuto, all'unanimita',
che vi era stata una violazione dell'articolo 2 (diritto alla vita) della
Convenzione europea dei diritti umani da parte delle autorita', che hanno
mostrato incapacita' di adempiere al proprio obbligo di proteggere la vita del
giovane. Le autorita' francesi, hanno spiegato i giudici europei, avrebbero
dovuto chiarire al personale di polizia le possibili conseguenze del prolungarsi
delle modalita' con cui avevano immobilizzato il giovane.
Fra le tante
sentenze di condanna della Corte UE va ricordato che diverse fra esse riguardano
la Russia, dato che i Ceceni
ricorrono sempre piu' alla Corte dei diritti dell'uomo.
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