A tutta pagina in una rivista, l'immagine mostra una ragazza con l'asciugacapelli
elettrico in mano e il pavimento dell'abitazione ricoperto di piante: "Ogni
volta que usi l'asciugacapelli, un prato si riempirà di fiori", dice lo
slogan di questa pubblicità di Iberdrola. Ad un gruppo di alunne e alunni di
scuola secondaria , con i quali stiamo facendo un wokshop, e' stato chiesto
di analizzarlo. Probabilmente, poche volte prima di adesso hanno dovuto
riflettere su un annuncio pubblicitario e, man mano che passano i minuti, lo
slogan risulta ai loro occhi sempre piu' ridicolo: "Io credo che menta",
conclude timidamente uno degli studenti.
Com'è possibile che ci abbiano abituati ad identificare le grandi compagnie
elettriche con l'ecologico quando in realtà gli impatti nocivi
ambientali che producono sono di volta in volta maggiori?
Ciò che l'annuncio dimentica di dire sul nuovo prodotto di Iberdrola
"Energia Verde" è, per esempio, che continua ad essere la compagnia spagnola
che produce la maggior quantità di energia nucleare. In Cile le severe
restrizioni sull'approvvigionamento energetico hanno generato un dibattito
riguardo la polemica costruzione di nuove centrali idroelettriche, date le
sue conseguenze ambientali e sociali. Nel frattempo la filiale di Endesa nel
paese, Chilectra, diffonde una pubblicità in cui un giovane appare
circondato da una moltitudine di lampadine accese: "Adesso potrai accenderle
tutte allo stesso tempo", assicura.
L'immagine dell'impresa globalizzata si adatta ad ogni mercato, è capace di
passare per austera nei paesi più coscienziosi allo stesso tempo in cui
stimola allo spreco in quelli in cui la domanda energetica è in crescita. In
questa industria della costruzione impresaria dell'apparenza e dell'immagine
mediatizzata, le pioniere furono le marche globali, stimate in cifre tanto
astronomiche che alcune di esse superano il PIL di decine di nazioni. In
questo modo, Coca-Cola è la giovanile "scintilla della vita" mentre è
accusata di partecipare ad assassinii di sindacalisti colombiani o di
esaurire interi pozzi d'acqua in India [1].
Lo slogan Nestlé, "Good food, good life", non sembra molto coerente con i
venti anni e più di richieste di risarcimenti che la compagnia ha ricevuto
per aver inondato con succedanei di latte materno i mercati dei paesi più
impoveriti, ignorando finanche l’OMS [Organizzazione Mondiale della Sanità,
ndt] [2]. BMW ci mostra in ogni pubblicità il piacere di guidare (che non è
quello di essere trasportati) attraverso strade solitarie in luoghi magici,
però non spiega che l'automobile è il tipo di trasporto più insostenibile,
la causa di 15 morti e 73 feriti gravi ogni giorno nel solo stato spagnolo e
l'origine diretta di quasi il 30% di gas serra responsabili del cambio
climatico [4].
Nel frattempo, le banche mostrano le loro azioni di solidarietà verso il
cosiddetto Terzo Mondo quando in realtà sono i primi a speculare nelle borse
internazionali, a prestare denaro per il commercio d'armi o a proteggere
capitali di imprese che stremano le risorse naturali e la mano d'opera dei
paesi più poveri.
Creare, pulire e lucidare
Le tecniche imprenditoriali di comunicazione sono riuscite a far passare
come bandiere di progresso sociale e rispetto ambientale le multinazionali
che più fomentano il modello attuale sovrapproduzione e sovraconsumo,
depredano ed impoveriscono le risorse naturali e causa delle crescenti
disuguaglianze tanto in paesi del Nord che del Sud. E sicuramente questo non
è un segreto. Si tratta di indirizzare una grande quantità di denaro in
comunicazione, con il fine ultimo di creare, pulire e lucidare l'immagine
desiderata, essendo le imprese convinte che un'immagine di compromesso
ambientale e sociale permetta la conquista di nicchie di mercato ogni giorno
più importanti e facilitare la propria espansione di fronte alla
concorrenza.
L'età dell'immagine, sviluppata attraverso i mezzi di comunicazio durante
buona parte del ventesimo secolo, hanno reso possibile un modello di consumo
confezionato dalla comunicazione commerciale e la stimolazione del
consumatore attraverso i canali multipli con i quali interagisce
giornalmente. In questo processo, il linguaggio audiovisivo ha via via
delineato la direzione delle nuove forme comunicative ed è il referente
mediatico della prossima versione degli apparecchi di consumo (multimedia
per telefonia mobile, computer portatili come piattaforme video etc. etc.)
In spazi televisivi sponsorizzati da prodotti di bellezza ci sporgiamo sulla
vita di gente che mai conosceremo (però non si ha il tempo di relazionarsi
con i propri vicini di casa), i successi del periodico gratuito
drammatizzano i pericoli che ci circondano (però ci isoliamo invece di
lottare per il nostro spazio pubblico), vediamo e leggiamo notizie per
comprendere meglio un mondo globalizzato e complesso (e sicuramente questi
contenuti sono filtrati e tagliati sistematicamente da interessi ideologici
e politici).
Questa realtà mediatica è costituita fondamentalmente a base di distanza,
quella che separa noi telespettatori dalla notizia. Durante 3:45 ore
giornaliere [5], tra il sofà del telespettatore e la sua televisione si va
modellando uno spazio a base di stereotipi, aspirazioni di classe, leader di
opinione e moltitudini di modelli di socializzazione. Questa distanza non
sostituisce il nostro ambiente non virtuale, ma finisce per costituire il
mezzo che utilizziamo per comprenderlo.
Lo specchio convesso
Nel frattempo, i mezzi di comunicazione sempre meno disposti a mediare che a
costruire, hanno incontrato la ragione definitiva dalla quale dipendono gli
ascolti. La pubblicità, unica forma di comunicazione autenticamente
vantaggiosa, ha smesso di essere un aneddoto nell’intervallo di un qualsiasi
film e adesso diventa imprescindibile per mantenere la trasmissione di
programmi televisivi; prima era un sottoprodotto commerciale, adesso è più
protagonista degli stessi contenuti televisivi e diventa motivo di lussuosi
festival in stile holliwoodiano. Adesso che la pubblicità è disponibile
anche in collezioni di DVD all’edicola sotto casa ed e’ capace di creare
eventi, festival e film, di eliminare riviste e programmi radiofonici o di
censurare telegiornali, sembra che non sia solamente interessata nella
vendita di prodotti.
Dall’industrializzazione e con l’arrivo di un grande mercato di prodotti e
tecniche avanzate di fabbricazione, la pubblicità ha adottato un ruolo
centrale nella stimolazione del consumo. La concorrenza tra i pubblicitari
per rendere più efficaci i loro messaggi commerciali, tentando di
distinguersi dagli altri, dissimula la sorprendente omogeneità ideologica
che unisce tutti i messaggi pubblicitari. I codici etici, usi e costumi,
mode e modelli che la pubblicità trasmette, conformano definitivamente un
immaginario sociale, uno specchio che riflette un’immagine con i tratti
commerciali di ciò che siamo o dovremmo arrivare ad essere.
Questo sistema di rappresentazioni funziona come una lente convessa,
esagerando ciò che i prodotti annunciati possano offrirci mostrandosi allo
stesso tempo come il manifesto delle nostre carenze. La ripetizione costante
di queste linee guida, istituzionalizzate attraverso il linguaggio
commerciale ed i suoi metodi di diffusione, finisce per costruire
un’immagine deformata delle nostre necessità e del ruolo del consumo, il
cammino nel quale sembra che dobbiamo sempre cercare di soddisfarle.
In questo processo si genera un’inevitabile colpevolizzazione del
consumatore, che per definizione non può raggiungere i livelli dei modelli
che la pubblicità presenta. L’omogeneità delle cucine, delle automobili e
del vestiario della pubblicità è inoltre dinamica, cangiante in ogni tappa
commerciale, grazie alle mode e la loro applicazione a qualsiasi oggetto di
consumo (inclusa l’alimentazione la salute o le relazioni affettive).
L’ultima campagna di prodotti di bellezza e igiene Dove si basava nel
mostrare “donne normali” invece di modelle con corpi scultorei, però
considerando l’insistente chiarimento, gli annunci televisivi finivano con
l’alternare donne un po’ più cicciotte (e in ogni caso rientranti nei canoni
di bellezza) con primi piani degli stessi corpi impossibili di sempre.
Nemmeno quando se lo ripropone la pubblicità è capace di riflettere
un’immagine deformata dai suoi interessi commerciali.
La lente convessa delle multinazionali proietta un’immagine preparata
minuziosamente, da un lato idolatrando il potere dell’impresa globalizzata
(la sua presenza internazionale, la sua capacità d’impiegare moltitudini di
lavoratori, etc.), dall’altro insistendo nella vicinanza al cliente,
teoricamente concepita per soddisfare le necessità specifiche di ognuno di
essi.
Cosicché il risultato è un insieme di tecniche comunicative appoggiate su
minuziosi studi sociologici psicologici, che delimita ogni segmento sociale
di consumatori e che si estende fino a coprire anche l’ultimo dettaglio
dell’atto del consumo. Per questo, la pubblicità attuale non comprende
ideologie, diventando omofoba o convinta femminista secondo la necessità del
momento. E soprattutto la pubblicità attuale non si conforma alla sola
vendita di prodotti. Si è adattata, una volta di più, alle necessità delle
grandi imprese che ricorrono ad essa, e le hanno offerto come risultato la
logotecnica, un insieme di tecniche di marketing e pubblicità specializzate
nel rendere irrilevanti i prodotti quando sono firmati dal marchio adeguato.
Logotecnica
Spiga Naomi Klein nella sua opera No Logo che la fabbricazione di
prodotti è oggi un processo spinoso che le imprese cercano di subappaltare
ed esternalizzare per evitare sprechi e sforzi. i paesi del Sud, e
sopratutto alcune zone di grande attività produttiva, come Hong Kong,
Messico, Cina o Indonesia, sono l’agente produttivo ideale: mano d’opera a
basso costo e deregolarizzata, materia prima ed energia a costi imbattibili.
Così, molte imprese preferiscono dedicare quasi tutti i loro sforzi alla
creazione del marchio, più proficua nell’era dell’immagine.
La pubblicità dell’epoca del “Logo” ha abbandonato ogni possibilità di
funzione informative e si è specializzata nella comunicazione emotiva. Solo
così diventa possibile che una moltitudine di giovani si tatuino il logo
Nike sul loro corpo, che la competizione tra Coca-Cola e Pepsi negli Stati
Uniti faccia scaturire appassionate discussioni tra i loro sostenitori o che
le imprese di idrocarburi passino come simboli di ecologismo.
Il linguaggio audiovisivo offre un eccesso di strumenti per farci provare
simpatia, ammirazione o adorazione per un marchio e tutto ciò che quest’ultimo
si è sforzato di rappresentare. La multinazionale estende grazie al libero
transito del mercato (e non delle persone) la sua immagine, approfittando di
un linguaggio ad alto contenuto emotivo che chiede un compromesso con il
cliente che va molto al di là dell’atto d’acquisto giornaliero. Diceva Phil
Knight, presidente della Nike, che per molti anni aveva creduto che la sua
impresa fosse “un’impresa produttrice”, cosicché “dedicava tutto il suo
sforzo nel design e nella produzione di prodotti. Però adesso hanno capito
che il ruolo della sua impresa e dei suoi prodotti non sono la semplice
soddisfazione di una domanda, ma sono “lo strumento più potente del
marketing”[6].
E senza dubbio, è molto proficuo tanta pulizia di immagine, perché il
consumatore critico seleziona i prodotti che consuma attenendosi anche alla
qualità, l’origine, il modo di produzione, etc., mentre il cliente fedele al
marchio semplicemente compra. La multinazionale vuol smettere di essere
un’impresa di prodotti e si è specializzata negli affetti, desideri e
passioni umani. In fondo sono i protettori principali di un sistema di
consumo che cerca di dare risposta a buona parte dei classici interrogativi
umani attraverso il mercato dei beni. L’impresa sentimentale difende in ogni
annuncio pubblicitario che ci ha riempito gli scaffali dei supermercati con
ragioni di vita.
Isidro Jiménez e María González fanno parte di
ConsumeHastaMorir,
Ecologistas en Acción. Questo articolo è stato pubblicato nel nº 22 della
rivista Pueblos, luglio 2006, Especial Multinacionales, pp. 45-47.
Isidro Jiménez y María González
Fonte: http://www.revistapueblos.org/
Visto su : http://www.rebelion.org/noticia.php?id=35617
17.7.2006
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FABIO D.
VEDI ANCHE:
16/08/2006 Continuiamo a perforare
Il cambiamento di imagine di Shell e BP è un inganno.
Per un’azienda che afferma di andare “oltre il petrolio”, la BP è riuscita...
Note:
[1] ZACUNE, Joe (marzo de 2006): “Coca-Cola: “El informe
alternativo”. War on Want. Fighting global poverty.
[2] Informe: “Violando las reglas, eludiendo las reglas” IBFAN. Red
Internacional de Grupos Pro Alimentación Infantil, basata sul codice
internazionale di commercializzazione di sostituti del latte materno dell'OMS.
[3] Dati della Direzione Generale del Traffico 2005.
[4] Dati di Ecologistas en Acción nel 2006 sull’emissione di CO2 in Spagna
[5] Abitudini del telespettatore spagnolo nell’ Estudio General de Medios
2005 della AIMC.
[6] Citato in KLEIN, Naomi (2001).
Breve bibliografía:
KLEIN, Naomi (2001): No Logo, Barcelona, Paidós.
BAUDRILLARD, Jean (1974): La sociedad de consumo, Barcelona,
Ed. Plaza&Janes.
WERNER, Klaus y WEISS, Hans (2004): El libro negro de las marcas,
Barcelona, Ed. Debate.
QUART, Alissa (2005): Marcados. La explotación comercial de los
adolescentes, Barcelona, Ed. Debate
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