La marea nera provocata dal
bombardamento israeliano della centrale termoelettrica di Jiyyeh (30 km
a sud di Beirut), il 13-15 luglio, si sta diffondendo sempre più nel
Mediterraneo. Dai serbatoi in fiamme è fuoriuscita una quantità di nafta
(del tipo Ifo-150) che potrebbe aver raggiunto le 35mila tonnellate. A
causa dei venti che soffiano da sud-ovest e delle correnti marine, la
marea nera si è estesa in direzione nord-est ricoprendo oltre 80 km di
coste libanesi, rocciose e sabbiose, dove si concentrano le attività
della pesca e del turismo. I danni ambientali sono molto maggiori di
quelli visibili: trasformandosi in catrame, gran parte della massa
oleosa si depositerà sul fondo del mare danneggiando gravemente gli
organismi vegetali e animali delle acque costiere, le più ricche di
vita. Continuando a estendersi, la marea nera è arrivata il 3 agosto
sulle coste siriane, contaminandone oltre 7 km. Da qui potrebbe
raggiungere Cipro, Turchia e Grecia.
Ciò conferma l'allarme lanciato da Achim Steiner, sottosegretario
generale dell'Onu e direttore esecutivo dell'Unep (v. il manifesto, 3
agosto): «È una tragedia ambientale che sta rapidamente assumendo una
dimensione non solo nazionale ma regionale». Su richiesta del governo
libanese, oltre al Programma delle Nazioni unite per l'ambiente si è
immediatamente attivato il Rempec (Centro di risposta d'emergenza per
l'inquinamento marino regionale per il Mediterraneo) con sede a Malta.
Esso ha formato un gruppo di esperti, che ha redatto un piano
d'intervento per arginare l'impatto ambientale della marea nera e
affrontare successivamente i danni a lungo termine. L'Unione europea si
è dichiarata disponibile, insieme ad altri paesi, a fornire uomini e
mezzi per un'operazione di bonifica il cui costo viene stimato in almeno
50 milioni di dollari. C'è però un problema: non è possibile alcun
intervento perché la marina militare israeliana impedisce l'accesso alla
zona e l'aviazione continua a bombardare.
Tutto questo viene ignorato dall'opinione pubblica. I giornali e
telegiornali, che mettono sempre in prima pagina la notizia di qualsiasi
fuoriuscita di greggio da una petroliera e seguono l'evento giorno per
giorno, hanno praticamente ignorato, dal 13 luglio ad oggi, che si sta
diffondendo nel Mediterraneo una marea nera delle dimensioni di quella
provocata nel 1989 in Alaska dalla petroliera Exxon Valdez.
Lo ignorano anche organizzazioni ecologiste come il Wwf. Lo ignora il
ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso
Pecoraro Scanio, che, inaugurando il 4 agosto Festambiente in Maremma, è
intervenuto sul tema «il Mediterraneo nelle reti: impegno delle
istituzioni e comunità per un futuro sostenibile». Di ben altre reti si
dovrebbe occupare: quelle del silenzio imposto da ragioni di stato.
Prendere pubblicamente atto della tragedia ambientale che sta avvenendo
nel Mediterraneo, significherebbe per il governo italiano denunciare il
responsabile: il governo israeliano, che prima ha dato ordine di
bombardare i depositi libanesi di nafta e poi ha impedito ogni
intervento così che il danno ambientale si aggravi e diventi
irreversibile. Significherebbe denunciare il fatto che Israele ha
stracciato la Convenzione di Barcellona, che ha sottoscritto e
ratificato, sulla protezione dell'ambiente marino e della regione
costiera del Mediterraneo.
Manlio Dinucci
Fonte:
www.ilmanifesto.it
6.08.06
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