Quello del riscaldamento globale è un problema energetico,
dato che non possiamo avere un aumento nell'utilizzo dei combustibili fossili
convenzionali e un pianeta abitabile allo stesso tempo. Per gli Stati Uniti è
già previsto un incremento del 35% nel consumo di petrolio, carbone e gas
naturale tra il 2004 e il 2030.
Finalmente, dopo anni di sforzi da parte di scienziati e attivisti dediti alla
causa come Al Gore, la questione del riscaldamento globale ha iniziato a
ricevere l'attenzione internazionale che richiede disperatamente. Il 2 febbraio,
la pubblicazione dell'ultimo studio dell'IPCC (Intergovernmental Panel on
Climate Change, comitato intergovernativo sul cambiamento climatico, N.d.T.),
che fornisce la prova finora più persuasiva della responsabilità umana
nell'aumento delle temperature mondiali, ha generato titoli a tutta pagina nel
mondo intero. Ma, se da una parte c'è un crescente consenso sulla responsabilità
dell'uomo nel riscaldamento globale, dall'altra i politicanti non hanno ancora
accettato la sua causa principale: il nostro inesorabile consumo di combustibili
fossili (soprattutto carbone, petrolio e gas naturale).
Quando si introduce nel discorso pubblico il tema del riscaldamento globale,
come nel documentario di Al Gore “Una scomoda verità”, questo viene normalmente
considerato un problema ambientale, accomunato all'inquinamento dell'acqua e
dell'aria, all'abuso di pesticidi e via dicendo. Ciò significa che può essere
affrontato, come questi altri problemi, con un sforzo mirato a “ripulire” il
nostro comportamento nell'utilizzo delle risorse, sostituendo i prodotti
ordinari con quelli “verdi”, limitando il rilascio di sostanze tossiche e così
via.
Ma il riscaldamento globale non è un problema “ambientale” alla stessa stregua
degli altri: è un problema energetico, in primo luogo. Quasi il 90% dell'energia
mondiale deriva dai combustibili fossili e ogni volta che li bruciamo per
generare energia rilasciamo diossido di carbonio nell'atmosfera; il diossido di
carbonio, a sua volta, è il componente principale dei “gas serra”, i quali sono
responsabili del riscaldamento del pianeta. L'utilizzo di energia e il
cambiamento climatico sono due facce della stessa medaglia.
La dipendenza dai combustibili fossili
Pensate alla situazione degli Stati Uniti. Secondo il Dipartimento dell'Energia,
le emissioni di diossido di carbonio costituiscono l'84% delle emissioni di gas
serra del paese. Di tutte le emissioni di diossido di carbonio statunitense, la
maggior parte (98%) è generata bruciando combustibili fossili, che attualmente
forniscono circa l'86% dell'approvvigionamento energetico totale statunitense.
Questo significa che l'utilizzo energetico e le emissioni di diossido di
carbonio sono strettamente correlate: più energia consumiamo, più CO2 rilasciamo
nell'atmosfera, e più contribuiamo alla creazione di gas serra.
Dato che gli statunitensi non mostrano alcuna propensione a ridurre il consumo
di combustibili fossili (ma, al contrario, ne usano sempre più), è facile
presumere che in futuro non ci sarà nessuna riduzione delle emissioni USA di gas
serra. Il Dipartimento dell'Energia prevede per gli Stati Uniti un aumento del
35% nel consumo di petrolio, carbone e gas naturale tra il 2004 e il 2030; non
sorprende la previsione che vede le emissioni di diossido di carbonio del paese
crescere quasi della stessa percentuale nello stesso arco di tempo. Se queste
proiezioni si rivelano corrette, le emissioni totali di diossido di carbonio
negli USA per il 2030 raggiungeranno l'incredibile cifra di 8,1 miliardi di
tonnellate: il 42% sarà generato dal consumo di petrolio (soprattutto per
automobili, furgoni, camion e pullman), il 40% dalla combustione di carbone (in
particolare per produrre elettricità) e il resto dalla combustione di gas
naturale (principalmente per il riscaldamento domestico e la produzione di
elettricità). Nessuna altra attività negli USA si avvicinerà a queste cifre in
termini di emissione di gas serra.
Ciò che vale per gli Stati Uniti vale anche per altre nazioni industrializzate e
in via di sviluppo, comprese la Cina e l'India. Benché alcune possano contare
sull'energia nucleare o rinnovabile in maniera maggiore degli Stati Uniti,
continuano tutte a consumare combustibili fossili e a emettere grandi quantità
di diossido di carbonio, quindi stanno tutte contribuendo ad accelerare il
cambiamento climatico globale. Il Dipartimento dell'Energia prevede un aumento
delle emissioni globali di diossido di carbonio di uno spaventoso 75% tra il
2003 e il 2030, passando da 25 a 43,7 miliardi di tonnellate. Si può parlare di
rallentare il cambiamento climatico, ma se queste cifre si rivelano corrette il
clima sarà molto più caldo nei decenni a venire e questo porterà ai più
devastanti effetti previsti dall'IPCC.
Questo ci dice che il problema del riscaldamento globale non può essere separato
dal problema dell'energia. Se la comunità umana continua a consumare
combustibili fossili per generare altra energia, accrescerà inevitabilmente
l'emissione di diossido di carbonio e quindi velocizzerà l'aumento di gas serra
nell'atmosfera, causando così cambiamenti climatici irreversibili. Qualunque
cosa si faccia ai margini per mitigare il processo (come piantare alberi per
assorbire parte delle emissioni di carbonio o rallentare la deforestazione) avrà
solo un effetto irrisorio finché non si pone rimedio al problema centrale del
consumo di combustibili fossili.
Stato di diniego
Molti leader della politica e dell'economia vorrebbero negare questa realtà
fondamentale. Potrebbero sostenere di accettare le conclusioni dello studio
dell'IPCC. Ammetteranno che serve un'azione vigorosa per fermare la crescita dei
gas serra. Ma cercheranno comunque di preservare la politica energetica da un
cambiamento fondamentale.
Un esempio di questo atteggiamento è il discorso reso da Rex W. Tillerson,
amministratore delegato della Exxon Mobil, ad una conferenza organizzata dalla
Cambridge Energy Research Associates il 13 febbraio. In quanto dirigente della
società energetica quotata in borsa più grande del mondo, Tillerson riceve
un'attenzione speciale quando parla. Il fatto che il suo predecessore Lee
Raymond sminuisse spesso la scienza del riscaldamento globale ha dato ai suoi
commenti un'importanza particolare. Sì, ha ammesso Tillerson, i livelli di
diossido di carbonio nell'atmosfera stavano aumentando, contribuendo così al
graduale riscaldamento del pianeta. Poi però, con un linguaggio tipico
dell'industria, ha aggiunto: “I vantaggi di scala delle applicazioni di petrolio
e gas naturale in un ampio settore forniscono un valore economico ineguagliato
da nessuna alternativa”. Ha aggiunto che perciò sarebbe un terribile errore
buttarsi nello sviluppo di energie alternative adesso che le conseguenze del
riscaldamento globale non sono ancora state comprese a fondo.
La logica di questo pensiero non dà via di scampo. La produzione continua di
combustibili fossili per sostenere il nostro attuale sistema economico è troppo
importante per permettere che la salute del pianeta le blocchi la strada. Fate
acquisti con questo pensiero in testa e potete dire addio ad ogni speranza di
rallentare, per non parlare di invertire, l'accumulo di gas serra
nell'atmosfera.
Cosa fare
Se, in ogni caso, cerchiamo di proteggere il clima finché siamo in tempo per
farlo, dobbiamo abbracciare una trasformazione fondamentale del nostro
comportamento energetico: non c'è nient'altro che possa fare una qualche
differenza significativa. In pratica, da questo derivano due postulati
fondamentali. Dobbiamo ridurre in maniera sostanziale il consumo di combustibili
fossili e dobbiamo trovare il modo di bloccare e sotterrare i sottoprodotti
carbonici dei combustibili fossili che consumiamo.
Sono state proposte diverse strategie per raggiungere questi obiettivi. Quelle
che offrono le migliori speranze dovrebbero essere utilizzati il più possibile.
Non è questo il luogo per valutare queste strategie in dettaglio, se non per
fare qualche commento generale.
Per prima cosa, come abbiamo visto, dato che il 42% delle emissioni di diossido
di carbonio degli USA (la fetta più grande) è prodotto bruciando petrolio,
qualunque cosa che ne riduca il consumo (standard di efficienza più alti per i
motoveicoli, maggiori incentivi per gli ibridi, un uso più ampio di etanolo,
miglioramenti al trasporto pubblico, auto in multiproprietà, ecc.) dovrebbe
diventare una priorità.
Secondo poi, essendo la combustione di carbone nelle centrali elettriche la
seconda maggiore fonte di CO2, migliorare l'efficienza di questi impianti e
filtrare le emissioni dannose deve essere un'altra priorità.
Infine, dovremmo spingere la ricerca verso nuove tecniche promettenti per la
cattura e il “sequestro” del carbonio durante la combustione dei combustibili
fossili nella produzione di elettricità. Alcuni di questi progetti richiedono il
sotterramento del carbonio in eccesso in miniere e pozzi petroliferi vuoti; un
uso pratico per questi ruderi abbandonati, ma solo se si dimostra che il
carbonio non filtrerà nell'atmosfera, andando a incrementare l'accumulo di gas
serra.
Il riscaldamento globale è un problema energetico e non possiamo avere un
aumento nell'utilizzo dei combustibili fossili convenzionali e un pianeta
abitabile allo stesso tempo. O l'uno o l'altro. Dobbiamo individuare un percorso
energetico per il futuro che soddisfi i nostri bisogni energetici fondamentali
(non sregolati) e salvi il clima finché siamo in tempo. La tecnologia per farlo
è potenzialmente disponibile, ma soltanto se ci decidiamo a svilupparla
rapidamente e su larghissima scala.
Traduzione di Elia Riciputiper Cani Sciolti
Michael T. Klare è docente di studi sulla sicurezza mondiale e la pace
presso lo Hampshire College di Amherst, Massachusetts, e autore di “Blood and
Oil: The Dangers and Consequences of America's Growing Petroleum Dependency”
Fonte: Foreign Policy in Focus - www.fpif.org
Archivio Controllo Climatico
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