Ridurre la pressione fiscale è una necessità per l'economia italiana. Ma è
possibile farlo senza sperperare i risultati sui conti pubblici ottenuti
negli ultimi due anni e anzi consolidando definitivamente la politica di
risanamento? Se congeliamo la spesa pubblica in termini reali ai livelli
attuali si liberano risorse sufficienti per portare il bilancio in pareggio
e nello stesso tempo finanziare un calo delle imposte. E il governo potrebbe
favorire il miglioramento della contrattazione nel settore privato, legando
salari a produttività in quello pubblico.
Ci sono due novità in questa campagna elettorale. La prima è che
sembra esserci un consenso quasi unanime sulla necessità di
ridurre le imposte. Questa volta è il sindacato a promuovere
il (no) tax day, chiedendo di abbattere il prelievo su lavoratori
dipendenti e pensionati. E molte più proposte elettorali che in
passato comportano riduzioni di imposte piuttosto che incrementi di
spesa pubblica.
La seconda novità e che c’è anche chi combina la riduzione delle
imposte con il controllo della spesa pubblica. Lo ha
fatto, ad esempio, Walter Veltroni all’assemblea costituente del
Partito democratico, dove ha preso l’impegno di tagliare la spesa
pubblica di un punto di Pil nel primo biennio.
Riteniamo che ridurre la pressione fiscale sia una necessità per
l’economia italiana. Ma è possibile farlo senza buttare via i
risultati ottenuti negli ultimi due anni nel migliorare i conti
pubblici e anzi consolidando definitivamente la politica di
risanamento delle pubbliche finanze? E sono realistici gli impegni
presi dai due maggiori schieramenti? Se non lo sono, è possibile
renderli qualcosa di diverso dalle solite promesse elettorali? È
POSSIBILE CONCILIARE DETASSAZIONE E RISANAMENTO?
La detassazione dei redditi deve essere significativa
per influenzare i comportamenti di famiglie e imprese, stimolando
l’offerta di lavoro e gli investimenti. Tagli minimali alle imposte
non servono a nulla, se non a disorientare ulteriormente gli italiani,
che si sentono raggirati ogni qualvolta ci sono ritocchi al sistema
impositivo. Una riduzione significativa e sostenibile delle imposte
deve però essere inquadrata all’interno di un programma economico che
coniughi crescita e stabilizzazione fiscale.
La tassazione eccessiva e l’elevato debito pubblico causano
bassi tassi di crescita. Ricondurre l’una e l’altro verso livelli
“normali” contribuisce, come è accaduto in Irlanda, ad avviare una
ripresa della crescita economica. Al tempo stesso, ridurre la
pressione fiscale senza creare squilibri nella finanza pubblica
obbliga a operare veri e propri tagli alla spesa per
i quali è di norma difficile trovare il consenso. L’unico modo per
coniugare una significativa riduzione della pressione fiscale con la
stabilizzazione dei conti pubblici consiste nell’adottare un programma
pluriennale che guardi in avanti come si fece durante la virtuosa
stagione della lotta all’inflazione e dell’entrata nell’unione
monetaria, quando le parti sociali furono spinte a rendere compatibili
le loro richieste con il raggiungimento di questo obiettivo.
UN ESEMPIO
Ecco un esempio di come potrebbe essere strutturato un programma
sostenibile di riduzione della pressione fiscale in Italia:
1. Si congela la spesa pubblica in termini reali.
Questo significa garantire l’offerta dei servizi pubblici ai livelli
oggi prevalenti, non tagliare la spesa, ma contenerne
rigorosamente l’evoluzione. La spesa pubblica sarebbe indicizzata
all’inflazione ma non al reddito reale. Cosi, ad esempio, se il Pil
nominale cresce del 5 per cento e l’inflazione del 3 per cento, la
spesa pubblica può crescere del 3 per cento.
2. Invece, gli incrementi di gettito derivanti dalla
crescita reale (non dall’inflazione) e quelli derivanti dal recupero
di evasione fiscale vengono restituiti sotto forma di minori imposte
ai contribuenti. Cosi, nell’esempio precedente, il gettito in più
dovuto alla crescita reale del Pil del 2 per cento verrebbe reso ai
contribuenti, nel modo più trasparente possibile: ad esempio con una
riduzione del prelievo alla fonte o un abbattimento dell’Irpef, più o
meno proporzionale, a seconda degli obiettivi distributivi.
3. Questa pratica dovrebbe essere adottata come regola e perpetuata
per diversi anni in modo che i cittadini, lavoratori o imprenditori,
possano contare sui benefici fiscali in modo credibile e stabile e
quindi tenerne conto nelle loro scelte correnti di spesa,
investimento, partecipazione al lavoro, ore lavorate eccetera.
4. Poiché il bilancio pubblico presenta ancora un disavanzo,
la restituzione dell’extragettito nella fase iniziale potrebbe essere
parziale (ad esempio, due terzi), destinando la rimanenza alla
eliminazione del disavanzo e alla costituzione di una riserva per
finanziare le fluttuazioni cicliche della spesa pubblica.
È REALISTICO RIDURRE LA PRESSIONE FISCALE DI UN PUNTO?
Una politica di questo tenore non solo è compatibile con il vincolo
di bilancio dello Stato, ma stabilizza i conti pubblici. Ogni punto di
crescita del Pil reale si traduce in un più basso rapporto spesa
pubblica su Pil, imposte su Pil e debito sul Pil. Poniamo che il
prodotto interno lordo reale cresca a un tasso dell’1,5 per cento per
5 anni – ipotesi in linea con le stime della crescita del nostro
prodotto potenziale, coerente con l’andamento di lungo periodo della
nostra economia. Ciò significa un aumento di 7,7 punti nell’arco di
una legislatura. Congelando la spesa pubblica in termini reali ai
livelli attuali si liberano risorse sufficienti per a) portare il
bilancio in pareggio e b) al contempo finanziare una riduzione delle
imposte di un punto e mezzo. Se questo processo incentiva, come è
ragionevole attendersi, un rafforzamento della crescita, la riduzione
delle imposte può essere ancora più sostanziosa.
PERCHÉ NON SIANO LE SOLITE PROMESSE DA MARINAIO
Ovviamente questa politica impone un vincolo
stringente alla spesa pubblica di cui è necessario essere consci. Ma
non è un vincolo irrealistico: lo dimostrano i primi dati
sull’andamento della spesa nell’ultimo anno. Riallocazioni di spesa da
un capitolo all’altro sarebbero non solo possibili, ma anche
desiderabili. Come pure possibili sono rivisitazioni dei meccanismi di
determinazione dei salari dei dipendenti pubblici (la
grossa componente della spesa) in modo da premiare chi lavora di più e
meglio.
È questo peraltro l’unico vero modo con cui il governo può favorire il
miglioramento della contrattazione nel settore privato: deve dare il
buon esempio nel legare salari a produttività nel settore pubblico.
Eventuali aumenti salariali dei dipendenti pubblici in termini reali
possono provenire solo da guadagni di efficienza e risparmi di spesa.
I sindacati che oggi chiedono di tagliare le tasse
per tre quarti della popolazione italiana devono realisticamente
prendere atto di questo vincolo. E sapere che con questo piano si
creerà un forte gruppo di pressione (tutti i lavoratori che
beneficiano delle riduzioni fiscali) per snellire l’apparato
amministrativo e accrescerne finalmente l’efficienza.
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