Coloro che dicono che il
mondo andrà sempre così come andato finora…contribuiscono a far sì che
l’oggetto della loro predizione si avveri" (Immanuel Kant). È questo
l’incipit del Documento di programmazione economica e finanziaria
2007-2011, la solenne dichiarazione d’intenti con la quale il Governo
s’impegna a risanare il bilancio nell’arco della legislatura, dandosi
espliciti obiettivi temporali per ridurre il rapporto disavanzo-Pil: 2,8
per cento nel 2007, 2,2 nel 2008, 1,6 nel 2009, 0,8 nel 2010 e 0,1 per
cento nel 2011. (1)
Ma chi ci assicura che il Governo rispetterà questi impegni?
Fiscal Councils, versioni hard & soft
Non paghi di aver sottratto la politica monetaria al potere politico,
attribuendola alle banche centrali indipendenti, alcuni economisti hanno
proposto di delegare a "Fiscal Councils" indipendenti compiti importanti
in materia di politica fiscale: è la sfida all’ultimo bastione della
politica economica. (2)
Ci sono due versioni della proposta, hard e soft.
Quella hard prevede che il Parlamento nomini un consiglio indipendente –
il Fiscal Council (Fc) – e che questo decida il saldo di bilancio
nella legge Finanziaria, oggi responsabilità del Governo nel Dpef. Il
saldo deve essere compatibile con la solvibilità dello Stato e
assicurare la convergenza a un livello obiettivo del debito
pubblico. Al Parlamento rimarrebbe comunque il compito di scegliere il
target per il debito, nonché le entrate e le uscite e la loro
composizione, compatibilmente con tale vincolo.
La versione soft attribuisce al Fc il compito di watchdog,
di cane da guardia, della politica di bilancio: deve fornire
stime veritiere, cioè non "ottimistiche", delle variabili
macroeconomiche su cui si fondano le previsioni delle entrate e delle
spese (crescita del Pil, tassi di interesse, sviluppo dell’economia
globale e prezzi delle materie prime), monitorare il raggiungimento
degli obiettivi di risanamento, e garantire la trasparenza del bilancio.
L’idea della proposta nella versione hard è la seguente. Come la
politica monetaria, anche la politica fiscale deve coniugare
flessibilità di breve periodo e disciplina di lungo periodo.
La soluzione adottata per la politica monetaria è stata di sottrarre la
gestione quotidiana dei tassi d’interesse alla sfera politica,
lasciandole il compito di stabilire l’obiettivo di lungo termine (la
stabilità dei prezzi). Per la politica fiscale il problema è: come si fa
ad attenuare le fluttuazioni dell’economia, con la manovra di spese e
imposte, preservando contemporaneamente la solvibilità dello Stato? Se i
problemi sono simili, argomentano i proponenti, perché non adottare
simili soluzioni?
Diagnosi…
Per capire se il rimedio proposto è efficace, è utile chiarire a
quali problemi si vuol porre rimedio.
I problemi della politica fiscale sono due, e sono collegati fra loro.
Il primo è il cosiddetto deficit bias. La teoria e l’osservazione
empirica suggeriscono che la rappresentanza politica distorce le scelte
di politica fiscale nel medio periodo, generando deficit eccessivi che
mettono a repentaglio la crescita economica e la solvibilità dello
Stato. Ciò avviene non perché i rappresentanti politici siano
intrinsecamente malvagi (per lo più), ma perché hanno incentivi non
allineati a quelli della società. Questi fanno sì che il loro impegno di
mantenere la disciplina fiscale non sia credibile. (3) A quanto
ammonta questa distorsione? Le stime disponibili indicano un
bias del rapporto tra deficit primario (cioè al netto degli
interessi) e Pil compreso tra l’1,2 e i 2,8 punti percentuali,
rispettivamente per i paesi industrializzati e per quelli in via di
sviluppo. (4)
Il secondo problema è la pro-ciclicità della politica
fiscale. Quando l’economia va bene il Governo dovrebbe risparmiare
attuando una politica fiscale moderatamente restrittiva, mentre quando
l’economia va male, dovrebbe attingere ai propri risparmi con una
politica fiscale moderatamente espansiva. Una siffatta strategia
contribuirebbe a ridurre le fluttuazioni cicliche pur mantenendo stabile
il debito pubblico. In realtà, la maggior parte dei governi attua una
politica molto diversa: in tempi di "vacche magre" non si allenta né
stringe la cinghia – il rapporto tra disavanzo primario e Pil è
mantenuto approssimativamente costante; in tempi di "vacche grasse" la
cinghia è allentata, cosicché le spese crescono più delle entrate. Nei
paesi industrializzati il rapporto tra deficit primario e Pil aumenta in
media di un quarto di punto percentuale quando l’output gap, la
differenza tra output e trend, cresce di un punto
percentuale. (5)
…e prognosi
La versione hard della proposta ha difficoltà di carattere
tecnico e politico. Dal punto di vista tecnico il problema principale è
questo: per un dato livello di output, l’autorità monetaria può
agevolmente calcolare il livello corrente del tasso d’interesse
compatibile con l’obiettivo della stabilità dei prezzi. Il compito dell’Fc,
invece, è molto più arduo: non esiste un unico livello del
deficit attuale che assicuri la convergenza a un livello obiettivo del
debito pubblico – ne esistono infiniti (per esempio, un bilancio
in pareggio sia oggi che domani, oppure un disavanzo oggi e un adeguato
surplus domani). La scelta tra i possibili sentieri di bilancio
comporta perciò la risoluzione di un conflitto tra generazioni, dunque
politico. Inoltre il problema della pro-ciclicità rimane insoluto.
La versione soft della proposta ha due meriti: da un lato
accresce il "costo politico" del mancato raggiungimento degli obiettivi
di risanamento e dunque rafforza nel Governo il "partito" della
disciplina fiscale e della politica anti-ciclica. Dall’altro, la
soluzione non rinvia decisioni politiche a un organismo privo di mandato
elettorale. In questa prospettiva, diversi paesi, tra cui la Nuova
Zelanda (2005), l’Australia (1998), il Brasile (2000), la Spagna (2001),
hanno adottato leggi di responsabilità fiscale (Frl). Richiedono
che il Governo annunci obiettivi di medio periodo e si impegni su una
strategia di medio termine per centrarli. La maggior parte delle Frl
contemplano regole procedurali insieme a target numerici, spesso
prevedendo sanzioni ed eccezioni alle regole, come mostra
la tabella 1 (fonte: Fmi, 2006).
Funzionano? L’analisi econometrica suggerisce di sì: i paesi che
adottano regole fiscali (limiti quantitativi al deficit, alla spesa,
debito, eccetera) e Frl hanno in media un deficit bias inferiore
di circa 0,7 punti di Pil a quello degli altri paesi, e persino
politiche meno pro-cicliche. (6)
Il Dpef appena varato menziona esplicitamente, alle pagine 117-119,
l’esigenza di accrescere la trasparenza e il monitoraggio dei
conti pubblici, potenziando le risorse della Ragioneria generale dello
Stato e rafforzando l’indipendenza dall’esecutivo della Commissione di
garanzia sull’informazione statistica. Sono passi nella giusta
direzione, ma, guardando all’esperienza internazionale, si può fare di
più. In fondo, non era proprio Kant a sostenere che, per quanto buoni
siano i propositi, "non vi è virtù così grande che possa essere al
sicuro dalla tentazione"?
(1) Il Dpef 2007-11 è disponibile su
http://www.mef.gov.it/Documentazione/DPEF_2007_2011/DPEF_2007-2011.pdf
(2) Si vedano vari lavori di Jurgen von Hagen e, più
recentemente, Charles Wyplosz, 2005, "Fiscal Policy: Institutions vs
Rules", National Institute Economic Review,
http://hei.unige.ch/~wyplosz/niesr0105.pdf
(3) Per esempio il politico è incentivato a favorire gruppi
d’interesse per finanziare le proprie campagne elettorali, o a
sottovalutare sistematicamente i costi futuri delle spese, poiché ha un
orizzonte temporale limitato alla legislatura; oppure a spendere alla
vigilia delle elezioni, o a lasciare troppo debito al futuro governo,
per limitarne gli spazi di manovra.
(4) Si vedano le tabelle 8A e 8B in Paolo Manasse, "Procyclical
Fiscal Policy: Shocks, Rules and Institutions-A view from MARS", IMF
Working Paper 06/27, http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2006/wp0627.pdf
.
(5) Si veda ancora il lavoro menzionato alla nota precedente. In
particolare, per "vacche grasse" si intende un output gap superiore all’
1 per cento nei paesi industrializzati e al -5 per cento nei paesi in
via di sviluppo.
(6) Si veda la tabella 5A, sempre nel mio lavoro
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