La crescita del Pil è modesta. L'Italia non ha
agganciato la ripresa mondiale perché esprime un potenziale di
crescita inferiore. Il sistema economico resta vulnerabile e frammentario. È
quanto rileva l'Istat nel Rapporto annuale 2005, presentato oggi a Roma, che
fotografa la situazione del Paese. L'ECONOMIA ITALIANA. Nel 2005
l'Italia è stata contraddistinta dal ristagno della domanda e
dell'attività e il Pil ha registrato in termini reali una variazione nulla.
Nell'arco dell'ultimo quadriennio l'economia italiana ha segnato un tasso di
sviluppo medio pari ad appena lo 0,4 per cento all'anno. "La deludente
performance italiana va inserita in un contesto che ha visto l'Europa
crescere molto più lentamente di altre aree geografiche mentre lo sviluppo
dell'economia mondiale si è mantenuto vigoroso (+3,4 per cento del Pil) - ha
detto il presidente dell'Istat Luigi Biggeri - L'economia italiana non ha
agganciato la ripresa mondiale perché esprime un potenziale di crescita
inferiore (che dipende da fattori strutturali), pari a circa la metà
dell'area dell'euro.
Se "il 2006 è iniziato con forti segnali di ripresa e un
rafforzamento dell'espansione dell'attività economica - sottolinea
l'Istituto di Statistica - tanto in Europa quanto in Italia (+ 0,6 per
cento)", il sistema economico resta tuttavia vulnerabile e frammentario.
"Rimane ancora relativamente debole il contributo dei consumi delle
famiglie, in particolare per la componente dei beni non durevoli - rileva l'Istat
- Il reddito disponibile è cresciuto debolmente negli anni per effetto di
una contenuta dinamica delle retribuzioni reali (per molti anni al di sotto
dei modesti incrementi di produttività) e del rallentamento della crescita
dell'occupazione. Inoltre la produttività e la competitività delle nostre
imprese sono ancora nel complesso molto modeste. Ciò testimonia la
perdurante fragilità della nostra economia e potrebbe condizionare - in
presenza di cambiamenti del contesto internazionale - la dimensione e la
durata della crescita".
"A questi elementi di debolezza - ha detto Biggeri - si
aggiungono fattori di vulnerabilità più specifici, quali l'esposizione ai
rischi di ulteriore perdita di competitività e l'elevata dimensione del
debito pubblico, che ci portiamo dietro da decenni". Lo scorso anno ha visto
dunque un peggioramento della finanza pubblica, "con lo stock del debito
pubblico rispetto al Pil che ha segnato nel 2005 un'inversione di tendenza"
risalendo al 106,4 per cento (era il 103,8 per cento nel 2004). Biggeri ha
inoltre sottolineato che l'avanzo primario si è ridotto nel tempo "fino
quasi ad annullarsi nel 2005 per effetto di un consistente aumento della
spesa pubblica primaria. Ciò - ha sottolineato - pone limiti molto forti
alla possibilità di contribuire alla crescita attraverso la leva della spesa
pubblica e rende necessarie misure strutturali per riportare il debito
pubblico entro un sentiero di sostenibilità".
IL SISTEMA PRODUTTIVO. La diffusione delle microimprese
e la specializzazione nei settori manifatturieri della meccanica strumentale
e delle filiere dei beni per la persona e la casa rappresentano il
fondamento della crescita italiana ma anche il suo fattore di vulnerabilità.
"Nel contesto europeo - rileva l'Istat - le imprese italiane sono il 22 per
cento del totale dell'Ue25 e pesano l'11 per cento in termini di
occupazione. La loro dimensione è pari a circa la metà di quella media
europea e la produttività è del 10 per cento inferiore".
La specializzazione italiana continua ad essere debole
nei settori ad alta tecnologia e a elevata intensità di conoscenza. Le
debolezze fanno dunque riferimento alla dimensione d'impresa e alla
specializzazione. Se si guarda, per esempio, al settore manifatturiero, a
fronte di una produttività del lavoro (cioè il valore aggiunto per addetto
in migliaia di euro) pari al 57,6% del Regno Unito e del 56,5% in Germania,
in Italia è solo al 42,3%. "Nonostante la bassa produttività il costo del
lavoro contenuto - rileva l'istituto di statistica - mantiene la redditività
delle imprese italiane in linea con quelle europee". L'impresa italiana
"sopporta un costo del lavoro per dipendente decisamente più basso, in
particolare nella manifattura, dove la differenza è pari a circa 9.000 euro
con la Francia e 14.000 euro con la Germania".
Analizzando il movimento demografico delle imprese, il
dato più rilevante degli ultimi anni è il declino della nascita di nuove
imprese. Nel periodo 1999-2002 la natalità - rileva l'Istituto di Statistica
- è comunque mediamente superiore alla mortalità e nel complesso il saldo
del movimento demografico è positivo e pari a circa 40 mila imprese. Il
sistema produttivo mantiene "un equilibrio vulnerabile", legato al
"mantenimento di un basso costo del lavoro e al persistere di una
specializzazione in settori tradizionali". Le imprese di eccellenza, che
sono circa 25 mila nel periodo 1999-2004, sono presenti soprattutto nelle
regioni del Nord-Ovest. Restano invece forti spazi di rendita nei settori
più protetti dalla competizione internazionale" come nei servizi dove,
rileva l'Istat, "sono presenti posizioni dominanti con ampia discrezionalità
nella fissazione dei prezzi". Il panorama è dunque caratterizzato dalla
compresenza di aree di vulnerabilità e segnali di vitalità. E "a quattro
anni dalla nascita il 40 per cento delle imprese ha cessato l'attività con
elevati costi economici e sociali
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