Il nostro paese viaggia verso un deficit del 4,5 per
cento nel 2005 e del 6 per cento nel 2006, senza contare gli interventi
sull’Irap. Non è colpa dell’andamento dell’economia: gli effetti negativi
del ciclo sono compensati dalle una-tantum. Contano entrambi circa 1,2 punti
di Pil. Quindi il disavanzo strutturale (al netto degli effetti del ciclo e
delle una tantum) è vicino al tendenziale, più o meno un punto e mezzo sopra
alla soglia del 3 per cento. Il debito pubblico sul Pil è tornato ad
aumentare dopo dieci anni. Il vincolo di bilancio non potrebbe essere
più stringente. Eppure, venerdì notte è stato sottoscritto un accordo che
cede su tutti i fronti alle richieste dei sindacati del pubblico impiego.
Comporta un aggravio sul bilancio 2005 di circa 1 miliardo di euro, che si
aggiungono ai 6 miliardi già stanziati e che dovranno essere reperiti con la
Finanziaria del 2006. Mentre si continua a promettere che si farà almeno la
prima parte dell’operazione di taglio dell’Irap (con un calo del gettito
stimato in circa 4 miliardi) e, perché no, magari anche i tagli dell’Irpef.
È la politica economica dei miracoli. Pubblicamente, si lascia capire che
tutto è possibile e, ovviamente, questo non favorisce comportamenti più
responsabili da parte dei vari gruppi di pressione. In privato si sostiene
che, se si sfora il vincolo del 3 per cento, meglio farlo alla
grande, non con quei microsfondamenti da dilettanti che ci sono stati in
questi giorni certificati da Eurostat.
Perché è un brutto accordo
È costoso. Il
protocollo d’intesa siglato venerdì notte accetta in pieno le richieste
dei sindacati. Bisogna leggere le cifre sugli incrementi percentuali
concessi, non le variazioni medie (i famosi 95, 100 o 110 euro) che
dipendono dai comparti presi in considerazione. L’incremento concesso per
tutti i comparti è del 5,01 per cento, uno 0,7 per cento in più
rispetto a quanto stanziato nella Finanziaria 2005. Si aggiunge a incrementi
generosi concessi nella contrattazione integrativa a livello di singola
amministrazione: l’andamento delle retribuzioni di fatto, già nel 2004 , può
essere stimato attorno al 3%. Dunque gli aumenti nel biennio sono di circa
l’8%, ben al di sopra di quelli concessi nel settore privato. Ed anche nel
biennio precedente gli aumenti risultarono di pari entità. Come ci ha
ricordato recentemente la Corte dei conti, le amministrazioni pubbliche
violano sistematicamente i vincoli di spesa mediante la contrattazione
integrativa territoriale, le promozioni interne e le competenze accessorie.
Anche i blocchi alle assunzioni nel pubblico impiego vengono disattesi
facendo lievitare la spesa del personale al di sopra dei tetti programmati.
Avviene senza alcun corrispettivo. Non ci sono nel contratto i piani
di riduzione degli organici, che dovevano essere varati contestualmente agli
aumenti. Non ci sono neanche gli incrementi retributivi condizionati alla
produttività. Si accenna soltanto ad uno 0,5 per cento (dunque il 10 per
cento degli incrementi retributivi) destinato all’incentivazione della
produttività dei dipendenti. Ma non viene fissata alcuna regola (che possa
divenire una direttiva per l’Aran) in merito. Il risultato è che, come al
solito, questi incrementi verranno concessi a pioggia, a tutti i dipendenti.
Spesso, tra l’altro, gli incrementi legati alla produttività vengono
stabiliti dalle amministrazioni decentrate con riferimento al monte salari e
destinandoli in somma fissa a tutti i dipendenti. Il che significa che
addirittura scoraggiano gli incrementi di produttività perché appiattiscono
il ventaglio retributivo.
Mantiene il regime di contrattazione permanente nel pubblico impiego.
Paradossalmente il contratto non servirà neanche a bloccare la
conflittualità (dunque i disservizi per gli utenti) nel pubblico impiego. Si
viaggia con un ritardo di almeno diciassette mesi, che potrebbe arrivare
fino a due anni quando si siglerà il contratto. A quel punto si chiuderà un
contratto quando dovrebbe entrare in vigore il prossimo. Senza tenere conto
del fatto che ci sono contratti della tornata precedente (2002-3) che non
sono stati ancora rinnovati.
Troppi errori
Il protocollo d’intesa è figlio della politica dei miracoli e di una
serie di scelte sbagliate dell’esecutivo. In primis, quella di far slittare
la chiusura del contratto: si è rivelata una scelta miope, perché si
è poi dovuto chiudere in periodo elettorale, il momento più propizio per i
sindacati per strappare concessioni alla controparte. La dilazione è servita
solo ad occultare lo stato dei nostri conti pubblici. In secondo luogo, la
scelta di politicizzare nuovamente il contratto dei pubblici
dipendenti, dopo il tentativo fatto con la costituzione dell’Aran
di creare un filtro tecnico fra esecutivo e contrattazione, si è rivelata un
autogol. Perché ha maggiormente esposto il Governo alle pressioni del ciclo
politico e ha impedito di varare i piani di riduzioni di organico e di
costruire sistemi incentivanti per l’incremento della produttività: un
compito, quest’ultimo, che spetterebbe all’Aran.
Intervenire sul cuneo fiscale per i salari più bassi
I salari del pubblico impiego, soprattutto al Sud, possono "spiazzare" il
settore privato. Al di là dell’entità, questi incrementi sono uniformi su
tutto il territorio nazionale in un contesto in cui la contrattazione
privata sta introducendo, molto timidamente, più differenziazione
territoriale nelle retribuzioni. Questo significa che il premio del
lavoro pubblico su quello privato al Sud rischia di aumentare, rendendo più
difficile l’emersione di posti di lavoro a bassa produttività.
Il Governo, Confindustria, Cisl e Uil sembrano oggi intenzionate a
rilanciare la riforma degli assetti contrattuali in chiave di
decentramento territoriale della contrattazione. Bene. È una riforma
fondamentale se non vogliamo perdere l’unica nota economica positiva di
questi ultimi anni: la crescita dell’occupazione. Tuttavia l'accordo
nel pubblico impiego si muove in direzione antitetica a questo obiettivo.
Per favorire il decentramento della contrattazione nel settore privato
bisogna intervenire sul cuneo fiscale che grava sui lavori a più
bassi salari e produttività, largamente concentrati al Sud. Così si crea una
"fiscalità di vantaggio" senza dover introdurre misure selettive per il
Mezzogiorno. Questa operazione può anche essere inserita nella manovra di
sostituzione dell’Irap. Si tratta di
"spacchettare" l’Irap in due tributi separati: una business tax
regionale e un contributo sul costo del lavoro. Su quest’ultimo si può poi
intervenire con uno sgravio per i salari più bassi. L’operazione potrebbe
anche essere finanziata nell’ambito di una razionalizzazione di molti
incentivi all’occupazione che, dopo l’introduzione dei rubinetti di spesa,
hanno ormai perso qualsiasi efficacia.
|