Tecnici e politici
I tecnici nel campo dell’economia che si pongono al servizio della
politica svolgono due funzioni fondamentali. Primo, aiutano a mettere in
luce i vincoli che stanno di fronte alle scelte di politica economica
e a curare i dettagli permettendo che i provvedimenti siano coerenti e ben
disegnati rispetto alle finalità stabilite dalla politica. Secondo, i
tecnici, in quanto vincolati a un preciso obiettivo istituzionale, come la
tutela della trasparenza dei conti pubblici e il rispetto dei trattati
sottoscritti dal nostro paese, possono resistere alle pressioni di
breve respiro della politica, impedendo che questa conduca a scelte che si
rivelerebbero incoerenti con quegli stessi obiettivi.
Nella congiuntura attuale e alla luce dello stato precario dei nostri conti
pubblici, ci sarebbe davvero bisogno di persone che svolgano queste
funzioni. L’ampliarsi dello spread fra Btp e Bund segnala che i mercati
sentono forte il bisogno di garanzie. Ma diversi episodi fanno pensare che
oggi nell’esecutivo non ci siano più spazi per esercitare queste funzioni.
Il ministro Siniscalco, spesso si autodefinisce un tecnico. Ma oggi
non ha più la possibilità di decidere l’agenda di politica economica
del Governo. Ha perso anche il potere di veto. Meglio forse allora
avere un ministro politico che giochi allo scoperto. Almeno sarebbe
direttamente responsabile di fronte agli elettori e ai mercati.
Tanti, troppi episodi
Che in questo Governo non ci sia spazio per le competenze
tecniche è dimostrato dalle tante
nomine varate in questa legislatura, dai vertici della Consob, ai
consiglieri Antitrust, a quelle lottizzate dei consiglieri Rai. Alcune di
queste nomine sono state varate con il suggello dello stesso ministro
dell’Economia. Come l’operazione che ha portato all’allontanamento di
Vittorio Mincato dai vertici dell’Eni e alla costituzione di un
consiglio d’amministrazione dell’azienda petrolifera in cui nessun
consigliere di nomina governativa ha alcuna esperienza in tema di energia.
Basta la vecchia politica per un risultato del genere: non abbiamo bisogno
di un "tecnico".
Siniscalco ha anche lasciato vacante per dieci mesi il posto di Direttore
generale del Tesoro. Quando si è deciso a trovare un sostituto, lo ha fatto
consentendo che la Ragioneria generale dello Stato si privasse di una
guida autorevole, in grado, anche per i rapporti di Vittorio Grilli con il
Quirinale, di meglio resistere alle pressioni dei politici. Si noti che solo
un mese fa Siniscalco aveva negato risolutamente la possibilità di questo
avvicendamento alla guida della Ragioneria.
Conti poco trasparenti
Siniscalco si era presentato con un’operazione verità
sui conti pubblici ed eravamo stati i primi a complimentarci con lui per
questa scelta di rottura nei confronti delle
pratiche del suo predecessore. Ma ha poi presentato dati incompleti
nella Trimestrale di cassa, formulando per la prima volta una forchetta di
stime sul deficit 2005 anziché una
stima puntuale. Per poi contraddirsi con una nuova operazione verità
nella sua audizione parlamentare della scorsa settimana, in cui ha di fatto
ammesso che la forbice era solo un
artificio retorico per mascherare lo sforamento del tetto del 3 per
cento. Del resto, due operazioni verità per uno stesso ministro sono troppe.
Significa che a un certo punto la verità non si è detta. La recente
bocciatura Eurostat può aggravare il sospetto che i conti non siano sotto
controllo: era dal 1995 che il rapporto debito/
PIL non aumentava.
Nessun potere di veto
A novembre Siniscalco ha dovuto accettare, obtorto
collo, una manovra di riduzione dell’Irpef che non voleva. Anche
in questo caso, eravamo stati i primi a sostenerlo nel suo richiamo allo
stato dei nostri conti pubblici. La resa è stata poi su tutti i fronti: la
manovra sull’Irpef non è stata elaborata dai tecnici del ministero, ma dagli
esperti economici dei partiti. Il risultato è stata una manovra pessima,
indipendentemente da ogni considerazione sulla validità o la tempestività
dell’intervento. Il conflitto politico tra Forza Italia, che voleva una
forte riduzione delle aliquote, e An e Udc che chiedevano invece una manovra
attenta alle esigenze delle famiglie, ha generato, alla fine di un lungo
braccio di ferro, un improbabile connubio tra deduzioni per gli oneri
familiari decrescenti nel reddito e variazioni nelle aliquote per i vari
scaglioni. Con la conseguenza di dar luogo ad
aliquote effettive marginali d’imposta erratiche e altalenanti, con
punte elevate in corrispondenza dei livelli bassi di reddito. Un pasticcio
degno di un paese sottosviluppato, piuttosto che di una moderna economia
avanzata. Nessun tecnico decente (e ce ne sono molti di bravi nel ministero
dell’Economia), lasciato a se stesso, avrebbe mai avvalorato un simile
intervento. Con un po’ d’attenzione, le stesse finalità distributive e di
gettito avrebbero potuto essere ottenute introducendo minori distorsioni
nell’imposta.
Un ministro commissariato
Da ultima vi è la previsione di un "comitato politico
ristretto" che dovrebbe affiancare il ministro nel definire la copertura
della manovra sull’Irap. Il comitato sarà formato da esperti
economici di tutti i partiti dell’attuale maggioranza. Certo, la scelta
degli interventi è eminentemente politica. Tuttavia, la costituzione di
quest’organismo ha il sapore di una messa sotto tutela politica del
ministro. Speriamo che questo si limiti alla sola determinazione degli
indirizzi generali degli interventi, senza sconfinare nella stesura dei
dettagli degli interventi stessi. C’è il rischio che l’ingerenza della
politica in questa fase produca di per sé una bassa qualità tecnica dei
provvedimenti, così come è avvenuto con l’ultima riforma Irpef. Se ciò si
ripetesse con l’Irap, le conseguenze sarebbero gravi. Come ricordato in
recenti contributi, interventi sull’Irap,
anche solo su parte della base imponibile, sono comunque destinati a
generare importanti effetti redistributivi, sui prezzi, sulla traslazione
dell’imposta, sulla finanza regionale, sulla coerenza del sistema tributario
complessivo, che devono essere attentamente valutati per definire gli
interventi appropriati di copertura. Affidare questi giudizi tecnici a un
gruppo di politici interessati soltanto al proprio guadagno elettorale di
breve respiro è molto pericoloso. Ricordiamo che si tratta di interventi
cospicui: fino a 15-16 miliardi di euro per il prossimo triennio.
Quindi?
Ci troviamo dunque di fronte a una situazione paradossale e
inquietante. Abbiamo un ministro dell’Economia "tecnico", che è ora chiamato
solo a coprire di fronte agli elettori e ai mercati scelte compiute da
altri. Si dice che sia il predecessore di Siniscalco, Giulio Tremonti, a
decidere di nuovo in via XX Settembre. Non ne sentivamo la mancanza. Ma se è
davvero lui a decidere, è bene che lo faccia apertamente, prestandosi al
vaglio degli elettori e difendendo le proprie scelte di fronte alla
Commissione europea e agli investitori. E se la presenza di Siniscalco
può servire, prima facie, a rassicurare i mercati, a questi ultimi
non può sfuggire chi davvero tiene le redini della politica economica. Forse
è il tempo di riflettere, caro Professore.
Commenti presenti
Data: 13-06-2005 20:23:00
Nome: gianni vaggi
Oggetto: una riflessione
Messaggio:
Cari amici de ‘La Voce’
la richiesta di riflessioni al collega ed amico Ministro Domenico
Siniscalco si potrebbe accompagnare ad una proposta, semplice, banale,
ovvia. E cioè che la recente riforma dell’IRPEF venga azzerata, insomma
riconoscere è stato un errore, frutto forse di demagogia o chissà che
altro, certo non di buona economia. Perché non mi pare si trovi in alcun
economista, più o meno ortodosso, che una riforma dell’imposta sul
reddito delle persone che introduce significativi elementi di
regressività, quindi beneficiando i redditi più elevati, abbia la
capacità di rilanciare i consumi e la domanda.
La manovra non è stata di poco conto poiché ha rappresentato comunque
circa lo 0.5% del PIL. In un’economia con un rapporto debito PIL al 106%
e un deficit abbondantemente al di sopra del 3% una manovra di tali
dimensioni potrebbe essere utilizzata meglio. Vi sono almeno quattro
possibilità.
a. La riduzione del cuneo fiscale fra costo del lavoro e salario.
b. La riduzione dell’IRAP.
c. Una riforma dell’IRPEF mirata al sostegno dei redditi medio bassi.
d. Non fare nulla, così almeno non peggiorava il deficit.
In qualunque caso la riforma del 2004 andrebbe azzerata. Dovrebbe essere
ovvio non perché l’economia serva la ‘verità’, questo sarebbe troppo, ma
almeno perché spesso serve a fare di conto.
Posso capire che suoni come una provocazione, eppure tutti sanno che la
manovra è passata perché si è ‘impuntato’ Berlusconi, con forti dubbi e
contrasti in AN e UDC, ma alla fine è stata approvata, come tante altre
misure in questo parlamento. Difficile che Primo Ministro, Governo e
maggioranza tornino indietro e quindi ammettano l’errore, ma ciò non
toglie che questa possa essere l’indicazione di un ‘tecnico decente’,
ripeto non per amore di verità, ma per esigenza di ‘non-menzogna’, che è
cosa più limitata. Certo parlare di aumentare le tasse può essere
impopolare, ma ci sono tasse e tasse, e poi in molti paesi questo è
stato accettato, anche da noi, vedi la prodiana Eurotassa, dipende
dall’obiettivo che ci si da. Semmai lasciamo che siano i politici e non
gli economisti, tutti decenti, a dire che le tasse vanno sempre e solo
ridotte.
Una chiosa. Alla luce di quanto sopra non credo che sottoscriverei una
riforma dell’IRPEF che abbia ‘le stesse finalità distributive’ di quella
approvata dal governo Berlusconi. La manovra non serve al rilancio
dell’economia e peggiora la distribuzione del reddito, come molti dei
contributi da voi pubblicati mostrano, in particolare quello di
Vincenti. Non è solo un problema di efficienza, erraticità delle
aliquote e distorsioni, c’è un chiaro problema di re-distribuzione verso
i ricchi. E forse sarebbe ora che anche la distribuzione del reddito
tornasse a reclamare la sua parte nel dibattito economico.
Gianni Vaggi
Università di Pavia
Data: 26-05-2005 08:11:00 Nome: Guido Meak Oggetto:
Riflettiamo un po' tutti
Messaggio:
Scusate ultimamente vi ho letto poco e forse ho perso
il filo di qualche discorso. Mi pare che l'attuale governo rispecchi con
fedelta' il dramma della nostra societa' italiana: una generalizzata
latitanza di strategia e una persistente assenza di visione. Queste,
esattamente come fuori dai Palazzi, unite per fortuna allo sporadico
presentarsi di singoli estri.
Poiche' mi pare che si stia seguendo un sentiero di peggioramento,
essendosi l'attuale governo ulteriormente allineato al ribasso rispetto
al suo quasi-clone dei mesi scorsi, non sono sicuro di capire le ragioni
di questa forte presa di posizione della vostra Redazione che a molti
potrebbe sembrare un attacco personale anziche' un sostegno. Vogliamo
forse dare un'ennesima martellata alle capacita' (anche di
rappresentarci degnamente all'estero) espresse dal nostro esecutivo?
Pare.
Condivido p-i-e-n-a-m-e-n-t-e la vostra sensazione di saturazione e
addirittura auspicavo un vostro grido. Ma io leggo nelle vostre righe
quantomeno un: "La situazione e' un disastro, Prof. Siniscalco lascia
perdere." Quando invece avrei voluto leggere un: "La situazione e' un
disastro, Prof. Siniscalco, c'e' bisogno che tu vada avanti se riesci
con piu' determinazione. Noi (voi) economisti sosterremo ogni volta che
potremo le tue scelte piu' coraggiose, forza!".
Ma ripeto, forse ho perso qualche episodio, o forse non sono abbastanza
attento da capire tutte le sottigliezze. In questo caso mi scuso.
Risposta: Grazie. Contrariamente a quanto riportato da diverse
testate, non abbiamo affatto invitato Siniscalco a dimettersi. Abbiamo
segnalato un problema a nostro giudizio molto grave che non deve
rimanere sottaciuto. Spetta al ministro, se lo riterrà, trovare il modo
più appropriato per affrontare il problema. Lo giudicheremo, come
sempre, sulla base dei risultati.
Cordiali saluti
Data: 24-05-2005 10:42:00
Nome: Luca Cifoni Oggetto: debito Messaggio:
A differenza di quanto appare dal comunicato Eurostat,
il 2004 non dovrebbe essere l'anno in cui il rapporto debito/Pil torna a
crescere. Infatti il Tesoro in sede di trimestrale ha operato una
revisione del debito 2003, che nei prossimi giorni saà probabilmente
ufficializzata dall'Istat. Per quell'anno il rapporto viene rivisto
verso l'alto di 3 decimi, al 106,6. Aggiungendo l'effetto Eurostat si
arriva a 106,8, che resta superiore al 106,6 del 2004. A meno di
ulteriori correzioni. Ciò naturalmente non cambia di molto la
situazione, che resta que
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