Sette miliardi e mezzo di inasprimenti fiscali. Questo è il concorso
che la manovra finanziaria per il 2005 chiede alle entrate per il risanamento
dei conti pubblici. Allo stesso tempo, però, il Governo assicura che fra poco
più di un mese presenterà la seconda tranche della manovra, che ha al suo
centro sgravi fiscali per 6 miliardi, da finanziarsi integralmente con riduzioni
di spesa.
Una delega troppo generica
Poiché 7,5 è più grande di 6, il risultato netto atteso per i contribuenti
nel loro insieme dovrebbe quindi essere negativo. Al meglio, la manovra fiscale
proposta dovrebbe tradursi in una ricomposizione del prelievo, con
categorie di contribuenti che ci rimettono e altre categorie che ci guadagnano.
Chi ci guadagna e chi ci perde però non è facile dirlo: incredibilmente
infatti, a tre anni dalla presentazione del disegno di legge delega sulla
riforma fiscale e a un anno e mezzo dalla sua approvazione in Parlamento, il
Governo non è ancora in grado di fornire indicazioni credibili su come pensa di
riformare, non già il sistema fiscale nel suo complesso, ma neppure la sua
imposta principe, l’Irpef, su cui sembra dovrebbero essere concentrati gli
"sgravi" promessi. Ciò dimostra che la delega fiscale, che pure aveva
auto il consenso di tutte le forze della maggioranza, era troppo generica nei
contenuti, e troppo ottimista circa le possibilità di copertura, come è stato
più volte sottolineato dai suoi critici. Poiché i contenuti, le modalità e i
tempi della seconda tranche della manovra sono ancora oscuri, occupiamoci
intanto della parte che già c’è e che è finalizzata al risanamento dei
conti pubblici, con un gettito atteso di 7,5 miliardi nel 2005. L’intervento
segue fondamentalmente due direttrici.
- la cosiddetta manutenzione della base imponibile
- l’inasprimento di (micro)tributi esistenti
La manutenzione della base imponibile
Le misure che vanno sotto questo nome sono meritoriamente dirette a contenere
il fenomeno dell’evasione fiscale in alcuni importanti settori: in primo
luogo, la tassazione del lavoro autonomo e delle piccole imprese e quella dei
fabbricati. Nessuna fonte ufficiale ha sinora indicato come i 7,5 miliardi
attesi dalla manovra siano ripartiti fra i diversi settori di intervento.
Indiscrezioni giornalistiche sui contenuti della relazione tecnica attribuiscono
il ruolo di maggior rilievo alla tassazione dei redditi di lavoro autonomo e
piccola impresa. La norma più importante in questo campo riguarda gli
studi di settore, di cui si prevede la revisione quadriennale, con
l’accordo delle categorie interessate. È importante sottolineare che la
revisione, doverosa, degli studi di settore non richiederebbe un nuovo
intervento normativo: è già ammessa dalla legge istitutiva del 1993 (n. 427
articolo 62bis). La mancata revisione dei primi studi, che risalgono al 1998, è
quindi frutto di un ritardo o di una scelta, solo in parte spiegabile con le
difficoltà politiche che un’operazione di questo genere comporta. L’accordo
per un inasprimento del prelievo con le categorie interessate, a fronte della
necessità di controllare i prezzi e in un fase di stagnazione della domanda,
non sembra un’operazione facile a maggior ragione in questo momento. Proprio
per cautelarsi rispetto a queste difficoltà, la Finanziaria prevede anche un
meccanismo di aggiornamento automatico degli studi, a cadenza annuale, reso
possibile dall’elaborazione, da parte dell’Istat, di appositi indici
specifici, costruiti a partire dai dati economici settoriali desunti della
contabilità nazionale, differenziati per settore, territorio e dimensione dei
soggetti interessati. Sulle caratteristiche tecniche degli indici, per ora
delineate solo per grandi linee, sarà opportuno ritornare in futuro. Peccato
però che, di fronte delle rimostranze della Lega Nord e delle categorie
interessate, il ministro Siniscalco abbia già fatto marcia indietro,
rimangiandosi il termine "automatico" e dichiarando che anche questa
indicizzazione sarà concordata con le categorie interessate. È appena il caso
di notare che il problema politico potrebbe essere più facilmente affrontato se
fosse chiaro quale è (se ci sarà) il guadagno in termini di riduzione di
aliquote che viene posto sull’altro piatto della bilancia dell’aggiornamento
della base imponibile, dalla promessa riforma dell’Irpef. Utilizzando, forse
per pudore, un nome diverso viene poi proposta la quinta (nel giro di tre anni)
edizione del concordato triennale. L’elemento di maggiore interesse di
questa, per ora, ultima versione (che mal si raccorda con quella prevista dalla
delega fiscale e che perciò deve ripassare per l’approvazione del Parlamento)
sembra essere un più stretto collegamento con gli studi di settore, e una
maggiore attenzione alle caratteristiche specifiche del singolo contribuente o
quanto meno di singole categorie di contribuenti. Un giudizio complessivo
sull’operazione è però per ora prematuro, sia per la genericità delle
previsioni normative, che rendono difficile comprendere il rapporto fra i tre
interventi delineati, sia per l’incertezza sugli esiti della contrattazione
politica sul tema. Va però da subito sottolineato che non è facile comprendere
come queste previsioni possano dare un gettito rilevante nel 2005. A meno
di non prevederne applicazioni retroattive, la revisione degli studi (che
peraltro avverrà necessariamente gradualmente) dovrebbe riguardare l’anno di
imposta 2005 (con effetti principali a partire dal 2006). Mentre la norma stessa
prevede che la pianificazione fiscale concordata, che prende le mosse da una
proposta da parte dell’amministrazione finanziaria a ogni singolo
contribuente, entri a regime solo progressivamente nel corso di un triennio.
I redditi da fabbricati
Per arginare i fenomeni di elusione ed evasione fiscale sui redditi dei
fabbricati l’altro importante campo di intervento della Finanziaria,
vengono inasprite le norme di controllo, prevalentemente attraverso
l’ampliamento della tipologia degli atti nei quali deve essere indicato il
numero di codice fiscale e la previsione della possibilità che esso venga
comunicato all’Agenzia delle entrate da parte delle banche e altri soggetti,
nonché la previsione della comunicazione all’anagrafe tributaria dei dati
catastali relativi agli immobili nei quali è erogato un pubblico servizio.
L’inasprimento dovrebbe favorire la possibilità di un accertamento puntuale
dei redditi eventualmente evasi o sottostimati. Ma gli viene curiosamente
affiancato un meccanismo che permette al contribuente di mettersi al sicuro da
eventuali accertamenti. Basta dichiarare un reddito da affitto che, considerato
al netto del 15 per cento di abbattimento previsto a titolo forfetario per le
spese di manutenzione, sia almeno pari al 10 per cento del valore catastale
dell’immobile Allo stesso tempo, si riconosce ai comuni la possibilità di
richiedere all’Agenzia del territorio di intervenire non già sulla sottostima
generalizzata degli estimi catastali, quanto sulla sperequazione degli
stessi, che derivi da un classamento antiquato, che vede ad esempio accatastati
come abitazioni popolari appartamenti poi ristrutturati in centri storici (o
altre zone) che sono stati valorizzati da interventi pubblici di risanamento e
dotazione di infrastrutture. L’insieme di questi interventi andrà
accuratamente valutato. L’elemento più critico è la loro estemporaneità:
manca infatti totalmente un piano di riforma complessivo sulla fiscalità della
casa, volto a coordinare il prelievo patrimoniale, l’imposizione indiretta sui
trasferimenti di proprietà, il prelievo sul reddito, per sanare le
sperequazioni esistenti, evitare eccessi di prelievo e contenere i fenomeni
elusivi. La mancanza di questo disegno, oltre a porre problemi sotto il profilo
della trasparenza e dell’equità del prelievo, nonché della sua efficienza,
presta il fianco alla protesta dei gruppi di pressione, ancora una volta con
grossi rischi sull’esito ultimo della manovra.
L’inasprimento di (micro)tributi esistenti
In definitiva, seguendo i cliché più classici delle "stangate" di
ogni tempo, il gettito più certo verrà ancora una volta
dall’inasprimento di tributi esistenti, meno visibili rispetto alle imposte
sui redditi. Ci si riferisce, in primo luogo, all’imposta sui beni a domanda
rigida (i tabacchi) e all’imposta "sugli stupidi", secondo la
definizione di Einaudi (il lotto). È utile ricordare che questi due tributi già
da alcuni anni rappresentano circa il 10 per cento del prelievo indiretto
complessivo, e che ciascuno di essi ha dato un gettito analogo a quello
dell’imposta di registro. Vi è poi l’abolizione dell’esenzione dal
pagamento del contributo unificato per i processi civili e amministrativi di
valore inferiore a 1.100 euro, accompagnata dall’incremento degli importi dei
contributi già previsti. Si
tratta in entrambi i casi di interventi con effetti redistributivi regressivi,
che certo non contribuiscono a migliorare la razionalità e la semplicità del
prelievo tributario. L’opposto di quanto si diceva di volere con la riforma
fiscale approvata con legge delega, la cui attuazione, se si esclude l’imposta
societaria, è sempre più sfumata all’orizzonte.
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