In Italia, ma anche in altri paesi europei, è sempre più diffuso l’intervento
di amministrazioni pubbliche tramite imprese di diritto privato: il cosiddetto
in house. (1) Rappresenta spesso un modo di evitare che certi servizi siano
attribuiti con una gara, ed è quindi visto come un modo per aggirare un processo
competitivo e mantenere il controllo pubblico.
La Pa ieri e oggi
Il fenomeno per altro evidenzia le forti difficoltà della pubblica
amministrazione che opera oggi in un contesto profondamente diverso dal formale
e rituale diritto amministrativo. La pubblica amministrazione del welfare State
agiva unilateralmente e imperativamente, godeva della riserva di legge e la sua
attività era, sostanzialmente, sottoposta al mero vaglio del controllo di
legittimità e alle norme di contabilità pubblica. Non scendeva a compromessi con
il mercato perché non ne aveva bisogno.
La pubblica amministrazione di oggi si muove sempre più in settori
tradizionalmente affidati al settore privato: agisce attraverso strumenti di
diritto privato, pur dovendo perseguire interessi pubblici. (2)
Nasce in questo contesto l’istituto dell’in house. Inizialmente definito come
ipotesi residuale che consentiva la non applicazione delle norme in materia di
appalti pubblici, si è poi diffuso negli ambiti più diversi, per comprensibili
motivazioni di organizzazione della pubblica amministrazione, ma anche, per
esempio, per la genuina mancanza di professionalità di punta o la necessità di
perseguire attività sempre più complesse. Il soggetto in house, che agisce come
privato, è una modalità per riuscire a superare questi limiti operativi. Ma
allora non sarebbe meglio consentire alla stessa pubblica amministrazione di
dotarsi delle competenze che effettivamente le servono, ricorrendo a modalità
più trasparenti e competitive, così da accrescerne la stessa professionalità?
L’in house ha dispiegato tutte le sue potenzialità – buone e cattive –
soprattutto nell’ambito dei servizi pubblici, ove l’assenza di regole precise
rischia di dar luogo ad abusi, creando rendite di posizione incompatibili con il
corretto funzionamento di una concorrenza efficiente. Sono fenomeni presenti in
tutta Europa, come evidenziato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia
europea. (3) Ma in Italia vi si aggiungono la mancata industrializzazione di
alcuni settori, la richiesta di servizi di qualità superiore, tristemente
confrontata con l’assenza di fondi pubblici sufficienti, le difficoltà di
controllare il territorio e le pressioni politiche. (4) E soprattutto la
sostanziale deresponsabilizzazione della pubblica amministrazione, preoccupata
di giustificare la spesa corrente, senza però riuscire ad accrescere la capacità
di project manager delle proprie attività.
La giurisprudenza e l’in house
Lo sforzo ermeneutico della Corte di giustizia europea è quindi tutto volto a
ricondurre l’in house a coerenza, sottolineando che la sua vera natura è quella
di un soggetto che opera dentro la pubblica amministrazione – in house, appunto
– ed è funzionale al perseguimento degli interessi generali, ben diversi da
quelli industriali e commerciali, seppur il confine oggi sia sempre più labile.
Molte operazioni sono state perciò cassate perché rispondenti a logiche ben
diverse. Oggi si può parlare di in house solo per quei soggetti a totale
partecipazione pubblica – che si configurino come vera emanazione
dell’amministrazione anche se formalmente distinti – e siano privi di qualsiasi
autonomia contrattuale e gestionale nei confronti dell’amministrazione di cui
sono emanazione. (5)
Il quadro italiano
Il legislatore italiano non ha ritenuto opportuno intervenire sul fenomeno,
neppure in occasione della titanica – ma, forse, nata già morta – rivisitazione
della materia dei contratti di appalti pubblici, compiuta dal decreto
legislativo del 12 aprile 2006, n. 163, il "Codice degli appalti". (6) Come
sempre, il nostro legislatore preferisce muoversi solo se sollecitato da
possibili contenziosi comunitari, gli stessi, che diedero vita alla riforma
dell’articolo 113 del Testo unico sugli enti locali, unica norma a tutt’oggi in
cui è previsto il ricorso all’in house in diritto italiano.
Emerge quindi un desolante panorama nazionale che conferma la nostra paura
della concorrenza: meglio l’in house che la messa in concorrenza di settori
cruciali per la crescita del paese, come i servizi pubblici locali, o i servizi
di interesse economico generale, secondo la terminologia comunitaria. Si
evidenziano, così, le resistenze della pubblica amministrazione a "crescere",
passando dal ruolo di gestore diretto – anche se con qualche piccolo "strappo"
come l’in house – a controllore della cosa pubblica.
In sintesi, la vera spina non è l’in house, quanto piuttosto, l’uso che ne fa
la pubblica amministrazione per evitare di darsi, e applicare, regole che
definiscano una volta per tutte che chi controlla non deve anche gestire, chi si
deve occupare di identificare l’interesse generale non deve anche concretamente
perseguirlo. Deve dunque essere ben chiaro cosa possa – e debba – fare il
settore pubblico, anche attraverso l’in house legittimamente costituito e
utilizzato, e cosa debba – e possa – fare il settore privato. La contaminazione
di ruoli attraverso il ricorso a confusi strumenti giuridici non serve al
mercato.
Urge allora chiarire che la concorrenza per il mercato è un valore per la
stessa pubblica amministrazione. Gli importanti processi di liberalizzazione che
il paese deve affrontare possono trovare un vero ostacolo anche in un istituto
come l’in house, che non deve divenire lo schermo giuridico dietro il quale
proteggere attività e mercati dalle regole e dalla concorrenza. Solo così si
potrà fare il salto logico – e di qualità, si auspica – dalla concorrenza per il
mercato alla concorrenza nel mercato.
Una soluzione si potrebbe trovare in una progressiva liberalizzazione dei
servizi. Come è avvenuto per l’elettricità, dovrebbe mirare a contenere il
numero dei settori ancora sottoposti alle regole generali sui servizi pubblici,
riducendo gli spazi per forzose applicazioni dell’in house.
L’adozione di misure liberalizzatrici più spinte, nei settori a chiara
vocazione industriale, potrebbe indurre la pubblica amministrazione a cercare di
catturare i vantaggi di un mercato effettivamente concorrenziale a tutto
beneficio della sua crescita professionale e, perché no?, degli utenti finali.
(1) L’istituto nacque nel Regno Unito per consentire una maggiore
flessibilità d’azione alle nuove tipologie di organizzazione della pubblica
amministrazione.
(2) La legge n. 15/2005, privilegia il ricorso al diritto privato, eccetto
ove vi sia una riserva di legge.
(3) Si vedano, in particolare, le sentenze della Corte nelle cause "Teckal"
(sentenza del 18 novembre 1999, causa C-107/98, Italia), "Stadt Halle" (sentenza
del 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Germania), "Parking Brixen" (sentenza del 13
ottobre 2005, causa C-458/05, Italia), "Modling" (sentenza del 10 novembre 2005,
causa C-29/04, Austria), "Carbotermo" (sentenza del 11 maggio 2006, causa C-
340/04, Italia).
(4) Il settore dell’acqua è emblematico. L’efficiente gestione degli Ato
richiede perfetta sintonia tra tutti i soggetti pubblici coinvolti, il che
spesso non è possibile a causa di contrapposizioni politiche. Mentre il mancato
ingresso dei privati, attraverso il ricorso al project finance, è anche dovuto
all’assenza di un mercato contendibile.
(5) L’ostacolo non è la forma societaria – società per azioni o a
responsabilità limitata – del soggetto in house, ma la possibilità
dell’amministrazione di esercitare un controllo analogo a quello che esercita
sui propri servizi.
(6) Quest’ultimo episodio desta preoccupazione. La sistematizzazione dell’in
house era cosa fatta e annunciata. All’ultimo momento, l’intervento di Sviluppo
Italia – in house (?) del ministero dell’Economia e finanze – ha fatto sparire
l’articolo in questione.
Indice Tutto sul Decreto Bersani e le Liberalizzazioni
Il governo approva la manovra: vendita dei farmaci nei supermercati e inasprimento fiscale per le rendite. Soddisfatti sindacati e consumatori
Liberalizzazione delle licenze dei taxi, vendita dei farmaci da banco nei supermercati, aumento delle imposte sugli affitti stagionali, dell’imposizione fiscale sulle stock option, i pacchetti azionari appannaggio dei manager aziendali, attualmente molto basse, e sulle rendite finanziarie. E poi ancora liberalizzazione delle tariffe dei professionisti e possibilità di effettuare il passaggio di proprietà dell’auto presso i comuni e non più presso i notai....
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