Nonostante qualche recente passo avanti, l'Istat è ancora molto
lontano dagli standard di altri paesi per quel che riguarda la quantità, la
qualità e la facilità di accesso ai dati per la ricerca. Questo ritardo
è dovuto in parte alla famigerata disciplina per la tutela della privacy (vedi
i precedenti interventi su www.lavoce.info)
(1). Tuttavia, grazie al "Codice
deontologico"
recentemente approvato, l'Istituto ha margini di azione che potrebbe
sfruttare meglio.
Non solo tutela della privacy
Ma agli effetti della tutela della privacy, si aggiunge anche un'inspiegabile
inefficienza dell'Istat nel fare almeno quello che in altri paesi è considerato
del tutto normale. Ad esempio, rendere i dati del censimento disponibili in meno
di quattro anni dalla raccolta (2).
Oppure, fare in modo che i file standard delle poche banche dati
disponibili siano direttamente scaricabili dal sito dell'Istat a prezzi
accessibili a chi fa ricerca (si veda ad esempio quello che offre lo UK Data
Archive: http://www.data-archive.ac.uk).
O, almeno, raccogliere quelle informazioni elementari la cui mancanza in Italia
lascia letteralmente di stucco chi ci osserva dall'estero.
Per esempio, non è possibile ottenere attraverso l'Istat il salario individuale in
un campione rappresentativo della popolazione. E tanto meno è possibile
ottenere questo dato per un numero sufficiente di anni insieme ad altre
informazioni sugli individui stessi, tra cui, in particolare, la loro
collocazione geografica.
Dati e dibattito politico-economico
In un paese in cui si discute all'infinito nei salotti televisivi, sulle pagine
dei quotidiani e nelle famiglie di fenomeni statistici come la "perdita di
potere d'acquisto dei salari", il "costo del lavoro", le
"gabbie salariali", la "disuguaglianza salariale", le
"insostenibili condizioni economiche dei lavoratori precari", l'Istat
non è in grado di offrire a chi fa ricerca il dato statistico elementare con
cui misurare e spiegare questi fenomeni. E il risultato è che tutti discutono
sulla base di pregiudizi ideologici e di aneddoti privi di qualsiasi
rappresentatività, senza minimamente curarsi di misurare correttamente i fatti.
L'Istat mi risponderà che, riguardo ai salari, le cose cambieranno presto con
la nuova Indagine trimestrale sulle forze di lavoro. Ma allo stato attuale,
l'informazione non è ancora disponibile perchè, dice il sito, ancora in fase
sperimentale e soggetta al controllo dell'Eurostat. In ogni caso, con o senza i
salari, gli altri dati dell'Indagine trimestrale non sono scaricabili
direttamente dal sito e costano la ragguardevole cifra di 90 euro per
quadrimestre (irraggiungibile, ad esempio, per i giovani ricercatori
universitari notoriamente privi di fondi di ricerca). Un prezzo così elevato
scoraggia chiunque dall'eseguire quelle elaborazioni preliminari necessarie per
decidere se effettuare ricerche più approfondite. Anche se l'Istat fosse
un monopolista che massimizza i profitti (cosa che chiaramente non è, e non
dovrebbe essere), non sarebbe probabilmente conveniente fissare un prezzo così
alto
Le colpe di Eurostat
A giustificazione dell'Istat, bisogna ammettere che la Comunità europea e
Eurostat non sono esenti da colpe gravi in fatto di dati per la ricerca, sia
per quel che riguarda le direttive sulla privacy, sia per quel che riguarda la
predisposizione di dati per la ricerca. Ad esempio, è totalmente
inspiegabile la decisione di Eurostat di interrompere la raccolta dello European
Community Household Panel che dal 1994 al 2001 ha fornito ai ricercatori europei
una fonte inestimabile di micro-dati longitudinali comparabili tra paesi sulla
situazione demografica, economica e lavorativa di individui rappresentativi
delle rispettive popolazioni. (3) In altri paesi europei, dati simili
venivano raccolti già prima e continuano a essere raccolti adesso. In Italia,
per quel che ne so, l'indagine è stata interrotta. Il nostro Governo si scaglia
contro l'Europa su questioni molto più controverse come la revisione del Patto
di Stabilità, ma quando si tratta di fornire dati per la ricerca non esita ad
allinearsi con le arretratissime posizioni di Eurostat.
Perché, nonostante le direttive europee, la situazione in altri paesi europei
è migliore? Vorrei invitare i lettori a sfogliare gli indici delle riviste
scientifiche internazionali, non solo in campo economico, per toccare con mano
la quantità di questioni di enorme interesse per il dibattito politico che i
nostri colleghi stranieri possono studiare grazie ai dati a loro disposizione.
Un esempio per tutti: pensate a quanto si discute di immigrazione nel nostro
paese senza uno straccio di banca dati che ci consenta di studiare il fenomeno.
In Italia, se non fosse per l'Indagine sui bilanci delle famiglie italiane
effettuata dalla Banca d'Italia, la ricerca microeconomica applicata sarebbe
praticamente assente.
La situazione in altri campi
Qualcuno potrebbe pensare che solo gli economisti abbiano queste esigenze.
Non è così. Il cardiochirugo Giulio Rizzoli scrive: "Tra gli ostacoli che
il nostro paese pone al progresso scientifico ricordiamo la recente adozione di
regole sulla privacy che impediscono all’Istat di permetterci la consultazione
delle schede di mortalità, compilate dai colleghi. L’indagine sulle modalità
o le cause di morte è indispensabile alla comprensione dei rischi legati
all’uso di nuove tecnologie biomediche, valvole incluse. Nel nostro caso deve
rispondere al quesito se la morte è dovuta a complicanze della protesi o a
cause cardiache o se non è a esse correlata". (4)
Questo è un esempio particolarmente significativo del fatto che la privacy
non può esser considerata un bene assoluto. I dati che Rizzoli non può
ottenere fornirebbero informazioni fondamentali per migliorare la terapie
cardio-chirurgiche con ricadute positive per l'intera collettività.
L’Istat sognata dai ricercatori (e che i politici dovrebbero desiderare)
Qual è allora l'Istat che vorremmo? Vorremmo un Istat che facesse meno
rapporti sintetici, meno comunicati stampa e meno tabelle aggregate su dati
elementari che poi si tiene per sé. Vorremmo un Istat che invece usasse le sue
risorse finanziarie e umane per raccogliere e rendere disponibili i micro-dati
elementari di cui i ricercatori italiani hanno bisogno per poter fare
un'attività di ricerca comparabile a quella dei loro colleghi stranieri. E si
noti che gran parte di questi dati sono di fonte amministrativa e quindi
raccolti con costi solo parzialmente a carico dell'Istat.
Vorremmo un Istat che catalizzasse e organizzasse la raccolta di dati in Italia
seguendo le orme dello UK Data Archive, per evitare lo spreco attuale dei fondi
spesi dai singoli ricercatori per raccogliere dati utilizzati una tantum
e poi abbandonati. (5)
Vorremmo un Istat che sfruttasse in modo ampio e pro-attivo i margini di
manovra lasciati aperti dal nuovo
Codice
deontologico, almeno nella forma di permessi
individuali su richiesta motivata nel caso di dati particolarmente sensibili e
di ricercatori che diano prova di affidabilità. Vorremmo un Istat che si
battesse a fianco dei ricercatori perché in Italia prevalga il principio
enunciato nel progetto
di legge sulla tutela della privacy
presentato al Parlamento da Nicola Rossi, che mira a "consentire un
accesso ampio e facile ai dati per la ricerca scientifica, anche in forma
integrata tra archivi diversi, punendo però duramente un loro eventuale uso che
danneggi i diritti della persona". Vorremmo un Istat che ci aiutasse a
convincere il Garante per la privacy del fatto che i ricercatori non
hanno alcun interesse a usare i dati individuali in contrasto con il rispetto
del diritto alla tutela della riservatezza delle persone.
È anche una questione di democrazia e trasparenza: la comunità scientifica
deve poter controllare e replicare i risultati che l'Istat trae dai dati che
raccoglie. E per questo deve poter accedere ai micro-dati elementari.
Archivio Codice Deontologico
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