Chi o cosa è l’embrione? Un convegno scientifico,
poi un volantino e una semplice, fatidica domanda: ne viene fuori la
polemica mediatica con accuse reciproche e pretese assai curiose. Forse
non si possono più fare domande? E perché?
In tempi di
confronto anche all’interno del mondo cattolico, in tempi di
manifestazioni di piazza prima annunciate, poi inseguite, poi rinviate,
e poi semplicemente convertite da anti-Dico a pro-famiglia, non poteva
certo mancare la ciliegina sulla torta della polemica sull’embrione, da
lungo tempo ormai segno di contraddizione dei tempi moderni. Se ne parla
ormai da anni, ci si confronta e ci si scontra, e però ancora è lì,
protagonista indiscusso della discussione bioetica, e ospite spesso
niente affatto gradito alle tavole rotonde dei grandi nomi della ricerca
scientifica.
La storia è ormai conosciuta: un gruppo di studenti della Statale di
Milano – sono giovani di Comunione e Liberazione, la qual cosa non
appare decisiva, anche se ad alcuni sembra essere di fondamentale
importanza… - scrive una lettera aperta alla professoressa Elena
Cattaneo, direttore del laboratorio sulle cellule staminali e malattie
degenerative della Statale, per esprimere preoccupazione e contrarietà
riguardo a quanto da loro ascoltato in un recente convegno organizzato
dalla stessa ricercatrice sulle cellule staminali embrionali umane. “Ci
sembra che ogni serio impegno di ricerca” –scrivono i ragazzi – “metta
in gioco due attori protagonisti: la nostra domanda, la nostra sete di
capire e la realtà. C’è qualcosa che sta più in profondità di qualsiasi
brevettabilità futura, che è più originale di qualunque possibile
applicazione, pur importante che sia: è l’oggetto del nostro studio, che
detta sempre il metodo al nostro lavoro. Per questo siamo usciti molto
preoccupati, forse anche un po’ sconcertati, dal convegno pubblico che
lei ha organizzato nella nostra Facoltà. È possibile fare ricerca, senza
porsi la domanda principale: che cosa ho di fronte? Nella fattispecie:
che cosa è l’embrione? È vita umana?”.
La domanda, in sé quanto mai legittima, ha provocato un effetto a catena
in seguito al quale la vicenda si è trascinata sui maggiori quotidiani
nazionali, dal Corriere della Sera al Foglio, da Repubblica all’Unità,
con tanto di editoriale in prima pagina su Avvenire. “Comunione e
Liberazione contro l’università”, “la ricercatrice contro gli
studentelli”, e simili amenità hanno accompagnato le pagine di questi
giorni, e a poco sono servite, se non ancora una volta ad eludere le
domande. Si discute del metodo, della lettera, del volantinaggio
abusivo, degli spazi appositi previsti per manifestare le proprie idee,
e si lascia perdere il cuore della questione.
Non perché non si abbia una risposta, ma perché su quel versante
l’incomunicabilità di fondo è innegabile. L’invito a delegare una simile
risposta alla coscienza personale del singolo (posizione sostenuta da
molti e certamente già non priva in se stessa di alcuni limiti e
contraddizioni) non può essere invocata come risolutiva, per di più
quando si descrivono le altrui posizioni come oltranziste, estremiste e
oscurantiste, indirizzate solo alla sacralizzazione dell’embrione e
dunque di per se stesse inaccettabili. Qualcuno è perfino arrivato a
parlare del ritorno dell’Inquisizione: non c’è che dire, evviva
l’originalità!
Se si riporta l’attenzione sull’essenza ontologica dell’essere umano
nella prima fase della sua esistenza non è – lo dovrebbero intuire, i
professori e i ricercatori – per banale esercizio di speculazione
teologica, e né per volontà di normalizzazione, ma perché attorno al
“chi è l’embrione” ruotano le domande più sostanziali del nostro tempo,
alle quali non si può fuggire. Ti seguono anche sotto forma di email o
di lettera aperta, e non vale la pena lasciarle cadere con quel poco
tatto di cui i ricercatori chiamato in causa hanno dimostrato. A domanda
pertinente, si risponde nel merito, e non sindacando sul fatto che non è
quello il modo e il momento, o peggio ancora sottintendendo che con
“quelli di CL” non val la pena neppure parlare, perché così sono fatti e
non c’è motivo di perderci troppo tempo. Insomma, l’automatica
interdizione dai pubblici uffici per tutti i ciellini non è ancora
fissata per legge: quando mai non possono porre domande. Del resto, lo
sanno tutti: domandare è lecito, rispondere è cortesia. Alla Statale le
buone maniere non sembrano essere di casa.
Archivio Cellule Staminali
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