Ci sono cellule staminali 'buone' e cellule staminali 'cattive': quelle
utili a combattere il tumore e quelle che invece sono responsabili della sua
crescita. Su entrambe si sono attivati i ricercatori dell'Istituto Nazionale
dei Tumori di Milano, che hanno pubblicato recentemente due distinte ricerche
che, per ragioni assai diverse, possono aprire nuove frontiere alla lotta sul
cancro.
Particolarmente significativa la ricerca sulle cellule staminali 'cattive'
(pubblicata su Cancer Research di luglio), che il ricercatore
dell'Istituto, Dario Ponti (del gruppo diretto da Marco Pierotti)
e' riuscito a moltiplicare in vitro, fino ad averne un quantitativo
sufficiente per testare nuovi farmaci. Queste staminali costituiscono il 2%
della popolazione di cellule di un tumore, ma sono mille volte piu' nocive
delle altre. Tanto che se per far attecchire un tumore mammario in un topo e'
necessario inoculargli un milione di cellule tumorali 'normali', di queste
staminali ne bastano appena mille. Sono quelle che, una volta eradicato
chirurgicamente il tumore della mammella, ne causano la recidiva e sono le
stesse che determinano la resistenza ai farmaci e posseggono molecole in grado
di inibire la morte cellulare, perche' ricche di survivina, proteina che, come
indica il nome, permette alle cellule tumorali di sopravvivere e proliferare.
"Il poter disporre di colture cellulari arricchite di queste cellule staminali/progenitori
tumorali -ha detto Pierotti, illustrando la ricerca davanti al ministro della
Salute Francesco Storace, intervenuto alla manifestazione per gli 80 anni
dell'Istituto milanese l'11 luglio- rappresenta un'opportunita' oggi unica,
con applicazioni dirette in campo diagnostico e nella gestione terapeutica di
pazienti con carcinoma mammario", per testare reagenti e farmaci diretti
proprio contro questo 'nocciolo duro' di cellule irriducibili. "Averle
individuate e fatte moltiplicare in vitro consente ora di sviluppare nuove
terapie per andare alla radice dell'insorgere del tumore, di distruggerle e di
evitare che il tumore si riformi".
Di altro tenore, ma non meno importante per la terapia, e' la ricerca sulle
cellule staminali 'buone', in corso di stampa sul Journal of Clinical
Oncology, condotta dal gruppo del professor Paolo Corradini,
direttore del Dipartimento di medicina Oncologica dell'INT, Universita' di
Milano.
Queste staminali 'buone' sono quelle chiamate 'ematopoietiche', che danno
origine al sangue e che da 30 anni vengono trapiantate insieme al midollo
osseo per la cura dei linfomi, della leucemia mieloide, del mieloma multiplo.
Ventimila trapianti di questo tipo sono stati eseguiti in Europa nel 2003.
"Globalmente -ha spiegato Corradini- il 50% dei pazienti con malattie
oncoematologiche viene guarito dal trapianto di midollo, tuttavia le alte dosi
di chemio-radioterapia che vengono somministrate (sia per distruggere il
tumore che per abbassare il rischio di rigetto) sono associate ad una elevata
incidenza di mortalita' (il 40-50%). In particolare, il rischio di complicanze
infettive e di reazioni immunologiche gravi, ha limitato fino ai primi anni
Novanta l'applicabilita' di queste procedure solo alle persone con meno di 50
anni e in buone condizioni generali".
Il fatto e' che, al contrario, l'eta' media di insorgenza di queste malattie
e' attorno ai 60 anni e la gran parte dei pazienti veniva esclusa dalla
terapia trapiantologica. Ora, lo studio condotto da Corradini (su 150 pazienti
sottoposti dal 1999 al 2004 a un trapianto di midollo da donatore familiare),
ha provato a comparare la mortalita' delle due fasce d'eta' (sotto e sopra i
50 anni, fino a 69) utilizzando chemio a ridotta intensita', con nuovi
farmaci. E ha dimostrato che in queste condizioni la mortalita' delle due
fasce di pazienti (sotto e sopra 50 anni) e' paragonabile, con enormi riflessi
di ordine pratico per i malati, una volta scartati da queste procedure di
trapianto e privati della possibilita' di guarire.
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