Lyndon LaRouche ha in più occasioni sottolineato come la crisi
finanziaria sia legata a doppio filo al diffondersi della guerra asimmetrica.
Un aspetto particolarmente minaccioso del crac finanziario è rappresentato dalla
bolla immobiliare USA, nella quale concorrono i fattori dell'edilizia abitativa,
il meccanismo dei mutui e i prezzi esorbitanti delle abitazioni.
Secondo i dati diffusi il 15 agosto dall'associazione degli immobiliaristi
americani, la National Association of Realtors, in 28 stati e nel Distretto di
Columbia (la capitale), nel secondo trimestre le vendite sono diminuite rispetto
allo stesso periodo del 2005. A livello nazionale le vendite sono diminuite del
7% nel secondo trimestre di quest'anno rispetto a quello dell'anno precedente.
Secondo l'indagine, le flessioni più acute si sono verificate negli stati in cui
le vendite erano state maggiori negli ultimi cinque anni, a cominciare da
California e Florida. Gli stati in cui il calo trimestrale delle vendite è stato
maggiore sono: Arizona (-26,9%), Florida (-26,7%), California (-25,3%), Virginia
(-23,9%), e Nevada (-23,5%).
Gli immobiliaristi hanno condotto anche un'indagine sulla variazione dei prezzi
in 151 città, da cui risulta nel secondo trimestre del 2006 una riduzione netta
in 26 città.
Secondo il Dipartimento del Commercio, le nuove costruzioni sono diminuite a
luglio del 18,9% nel Nordest, del 16,6% nel Midwest, del 13,9% nel West e del
10,7% nel Sud, rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Ancora più grave
è la situazione delle case monofamiliari. Secondo “foreclosure.com” nel luglio
di quest'anno gli espropri delle abitazioni sono stati 28.130, con un aumento
del 5% rispetto a giugno e del 10% rispetto al luglio 2005. “Gli espropri delle
abitazioni aumentano in tutto il paese soprattutto a motivo della diffusione dei
mutui a tasso variabile”, ha dichiarato Brad Geisen, amministratore delegato di
foreclosure.com. Maggiormente colpiti dagli espropri sono stati: Illinois
(11.6%); Colorado (12.9%); Ohio (14.3%); Alabama (21.3%); Minnesota (31.1%);
Michigan (38%); Missouri (48.2)%.
Vanno in orbita le private equities
Dopo il crollo della bolla speculativa chiamata “New Economy”, per
reggere il sistema speculativo fu gonfiata la bolla immobiliare. Ora che questa
si sta afflosciando, ad esibirsi nell'ultimo tango sul Titanic sono i private
equity funds, i fondi attraverso cui investitori istituzionali investono nelle
imprese, soprattutto quelle non quotate. Fondi pensione, assicurazioni e altri
investitori riversano denaro in questi, che sono famosi anche come “fondi
locuste”, per dare la scalata alle imprese ricorrendo a rapporti di
indebitamento enormi, la famosa tecnica del leveraged buy-out (LBO). A
finanziare le operazioni LBO sono banche che concedono credito a breve. Una
volta acquisita, l'impresa viene “ristrutturata”, ovviamente nella prospettiva
di farle pagare dividendi per i nuovi padroni e i debiti da essi contratti,
quindi o viene rapidamente rivenduta ad altri fondi o costretta ad andare in
borsa.
Questi nuovi private equity funds, creati da gruppi come KKR o Blackstone,
raggiungono o superano ormai dimensioni da 15 miliardi di dollari. Mettendo a
punto strategie concertate e sfruttando rapporti d'indebitamento di almeno 3:1
(tre euro presi in prestito per ogni euro di capitale disponibile), i private
equity groups sono in grado di dare la scalata a quasi ogni impresa al mondo,
non importa quanto sia grande. La KKR, pioniere delle operazioni LBO negli anni
Ottanta, qualche settimana fa ha costituito una cordata di fondi simili per
rilevare la catena ospedaliera statunitense HCA, spendendo 33 miliardi di
dollari. Si è trattato della più grande operazione del genere, che ha sorpassato
la famosa acquisizione di Nabisco per la quale nel 1989 la stessa KKR sborsò 31
miliardi di dollari.
Megaoperazioni del genere ora sono quasi all'ordine del giorno. Il 17 agosto è
stato annunciato che KKR, Carlyle e CVC Asia Pacific si accingono ad offrire 12
miliardi per la Coles Myer, la seconda distributrice australiana. Il giorno
prima KKR, Blackston e Cinven avevano offerto 14,8 miliardi di euro per NTL,
provider TV britannico, in quella che sarebbe la più grande acquisizione europea
dei private equity. Nel frattempo Carlyle e Cinven si sono scambiati tra loro
Fiat Avio, naturalmente dopo che Carlyle, nei tre anni di gestione passati, ha
accumulato un grasso bottino. Amministratore delegato di Carlyle Italia è Marco
De Benedetti, figlio e degno continuatore del proprietario di Espresso e
Repubblica.
Persino il Financial Times si è sentito in dovere di lanciare l'allarme
di fronte al volume insostenibile del debito che viene contratto da queste
transazioni LBO. In un editoriale del 18 agosto, intitolato “La moda delle
ricapitalizzazioni riecheggia la mania delle dotcom”, Gillian Tett fa notare:
“Ricordate la mania per la bolla internet alla fine degli anni Novanta? Un
gruppo di Cassandre ... regolarmente lamentò che i mercati erano impazziti ...
Echi di ciò che adesso sembra avvenire nel mondo delle private equities”.
Attaccando le “ricapitalizzazioni con effetto leva”, Tett spiega che si tratta
del modo in cui un gruppo di private equities consuma una LBO e poi si paga
grassi dividendi estraendoli dall'impresa vittimizzata. I fondi di private
equities ne traggono grossi profitti mentre sull'impresa viene a gravare un
grosso debito. Un esempio tipico è la Burger King, che alla fine del 2002 fu
acquisita da tre imprese - Texas Pacific Group, Goldman Sachs e Bain Capital.
Nel febbraio di quest'anno, dopo tre anni di “ristrutturazioni”, i tre
proprietari hanno annunciato piani per vendere azioni di Burger King. Tre mesi
prima della vendita hanno costretto Burger King a versare loro dividendi per 367
milioni di dollari.
“Fino a poco fa questo modo di fare era alquanto raro”, spiega Lett; “Quest'anno
invece le 'recaps' si sono diffuse come fuoco nella prateria. Un rapporto
agghiacciante della Standard & Poor, l'agenzia di rating, annunciava lunedì che
quest'anno, negli USA ed in Europa, sono avvenute 63 tali recaps ad alto
rapporto d'indebitamento, alimentate da un impressionante debito di 25 miliardi,
per lo più prestiti bancari. Non ci vuole un'agenzia di rating per accorgersi
che questo può in futuro condurre ad un'ondata di insolvenze”.
Archivio Casa Condominio
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