Uno studio utilizza l'acido zolendronico, già usato per le neoplasie
delle ossa, nella lotta al cancro al seno. Con ottimi risultati. Parla
l'oncologo che ha diretto lo studio. Colloquio con Michael Gnant
Se uno studio clinico europeo, e per di più indipendente, va nella sessione
plenaria del maggiore congresso dell'oncologia mondiale, l'attenzione è
d'obbligo. Se poi a presentarlo è un giovanottone austriaco di cui nessuno
ha mai sentito parlare prima, scatta anche la curiosità.
Michael Gnant è un quarantenne professore all'Università di Vienna e la
ribalta della mitica sessione plenaria dell'Asco, il congresso che si tiene
ogni anno negli Stati Uniti, con quasi 50 mila medici e un giro d'affari di
milioni di dollari, lo mette palesemente a disagio. Ha dovuto parlare con la
Cnn, col 'New York Times', e ci dice con l'inglese aspro dei germanici che
la cosa non lo diverte. Ma il suo lavoro fa notizia. Perché segna un punto
nel nuovo fronte caldo della guerra al cancro: la caccia ai farmaci capaci
di bloccare la malattia prima che invada l'organismo.
Nel caso del lavoro di Gnant, il tumore da battere è il cancro del seno
delle donne non ancora in menopausa: ovvero quelle che sono più a rischio di
veder ricomparire la malattia, dopo l'intervento chirurgico che ha asportato
il tumore e ha ridato loro la speranza di una vita normale.
Se oltre l'80 per cento delle donne colpite da un cancro del seno
sopravvive, lo dobbiamo di certo all'efficacia della prevenzione primaria e
alla potenza delle terapie, ma anche a quella manciata di farmaci capaci di
impedire che la malattia ritorni e che le donne devono prendere per anni
dopo l'intervento. Perché ormai è chiaro che i tumori sono diversissimi
l'uno dall'altro, ci sono quelli che fortunatamente cedono subito alle cure,
altri che invece resistono, si nascondono e proliferano nell'ombra, magari
per anni e anni. E poi tornano, il più delle volte letali. Quindi, ecco la
necessità di mettere le mani su farmaci che li stronchino quando ancora
nessuno sa che stanno nascosti a proliferare. E quello di Gnant è uno di
questi.
Professore, cosa avete scoperto?
"Abbiamo trattato oltre 1.800 malate di tumore del seno cosiddetto
ormono-responsivo. Sono proprio gli ormoni che fanno proliferare questo tipo
di cancro e diventano quindi il primo bersaglio cui indirizzare una terapia.
Per questo abbiamo somministrato alle pazienti i farmaci che bloccano gli
ormoni, anastrozolo e tamoxifene. A cui, però, abbiamo aggiunto acido
zoledronico. E abbiamo visto che questa sostanza, così utilizzata, aumenta
la sopravvivenza del 36 per cento, più di un terzo".
Che cosa è l'acido zoledronico?
"È una sostanza comunemente usata per trattare le neoplasie
dell'apparato scheletrico. Appartiene alla famiglia dei bifosfonati, usati
per molte malattie delle ossa, anche per l'osteoporosi. Con questo studio
abbiamo visto che è capace di ridurre ogni tipo di ricorrenza del cancro, le
metastasi così come un nuovo cancro al seno".
Come è possibile?
"Sappiamo che i bifosfonati bloccano la crescita delle cellule tumorali sia
inibendo l'angiogenesi, lo sviluppo dei vasi sanguigni essenziali nella
crescita di un tumore, sia inducendo l'apoptosi, la morte programmata, delle
cellule tumorali, sia stimolando il sistema immunitario".
E come fa a prevenire la malattia?
"Nel trattamento post operatorio, lo scopo è quello di attaccare i residui
della malattia. Se una paziente ha un cancro al seno allo stadio iniziale e
viene operata, il tumore sarà rimosso con successo. Ma potrebbero rimanere
alcune cellule tumorali nascoste nel corpo, che attendono per tre, cinque,
dieci anni e poi determinano un'altra ricaduta nella malattia. Ma in questi
anni, le cellule maligne hanno bisogno di stare da qualche parte. Il midollo
osseo e le ossa sono alcuni dei posti dove sospettiamo che esse si
nascondano. Se riusciamo a creare un ambiente ostile alla cellula tumorale,
e questo è ciò che l'acido zoledronico fa, quando essa si sveglia viene
subito uccisa dal farmaco che è lì, proprio dove sono queste cellule. Questa
è la novità: noi non trattiamo le cellule tumorali, ma l'ambiente in cui
loro vivono o in cui sono uccise".
Non colpite il cancro, ma gli impedite di vivere?
"L'obiettivo di colpire con le terapie le cellule tumorali è un obiettivo
limitato. Perché non sappiamo come catturarle. Per questo abbiamo bisogno di
avere un impatto sull'ambiente che le ospita, e attaccarle in modo
indiretto, privandole del nutrimento di cui hanno bisogno per crescere ed
eventualmente uccidere il paziente".
Questi risultati come possono cambiare gli schemi terapeutici?
"Ci sono due risposte a questa domanda. Come scienziato voglio cercare la
conferma di ogni cosa e fare un altro trial e un altro ancora, e ogni trial
fa aumentare le domande. Come dottore, o come persona, se a mia sorella
venisse diagnosticata questa malattia domani, io direi che abbiamo un
farmaco studiato in uno studio esaustivo, con un follow up di cinque anni,
che mostra benefici significativamente alti. Perché non somministrarlo?
Penso che la strada sia segnata. E che andare a scovare e distruggere le
cellule che si nascondono nelle ossa e nel midollo sia un'idea giusta".
Daniela Minerva intervista Michael Gnant
Fonte: http://espresso.repubblica.it/
Link: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Terapia-in-agguato/2038066//0
21.08.2008
link
http://www.comedonchisciotte.org
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