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09/04/2008 Sto per morire e mi diverto... (http://www.canisciolti.info)

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«Mi restano dai tre ai sei mesi…»

«Bene, eccoci qui… Nelle mie Tac compaiono una decina di tumori al fegato, e il dottore mi ha detto che mi restano dai tre ai sei mesi di buona salute.»

Chi parla è Randy Pausch, 47 anni, professore di Scienze Informatiche, Interazione uomo-computer, Design, alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, e “molto altro”, come si legge in un articolo dedicato a lui. È la sua Last lecture, l’ultima lezione tenuta il 18 settembre 2007 in un’aula della Carnegie Mellon University traboccante di gente, studenti, colleghi, pubblico. Il video su YouTube è passato sotto gli occhi di milioni di persone. Ora esce il libro. La versione italiana, L’ultima lezione, è stata messa in vetrina da Rizzoli il 17 marzo scorso.

Nel 2006 al professor Randy Pausch hanno diagnosticato un cancro al pancreas, tumore per il quale non esiste un metodo di accertamento precoce, che uccide, entro un anno dalla diagnosi, il 75 per cento di malati. Randy Pausch è ancora tra noi, appartato in Virginia con la famiglia, “i miei tre bimbi, mia moglie… Abbiamo comperato una splendida casa in Virginia… un posto bellissimo per viverci”.

L'ultima lezione procede a ritmo veloce: «… le cose stanno così. Non possiamo cambiarle. Possiamo soltanto decidere in che modo reagire alla situazione… Se non vi sembro depresso come immaginate che dovrei essere, mi rincresce deludervi… sto per morire e mi diverto.»

Lungo una corsa di un’ora e venti, in un intenso quanto straziante, estremo inno alla vita che gli sfugge, Randy Pausch avvince la platea, la intrattiene, strappa applausi, standing ovations e risate.

“Come realizzare i sogni dell’infanzia.”

È il titolo della lezione. Randy esplora i desideri, le illusioni che si hanno da piccoli. Non vanno accantonati come chimere. Dobbiamo prenderli sul serio e far sì, con forza e passione, con tutta la nostra tensione d’intelletto e sentimento, che divengano realtà.

«Non perdete mai la capacità di stupirvi, proprio quella dei bambini. È troppo importante. È questa che ci sprona ad andare avanti… »

Senza paramenti accademici, grisaglia, camicia bianca e cravatta, il professore si presenta in toilette casual, polo blu e pantaloni chiari. Asciutto, sorridente e abbronzato, ha una forma smagliante e seducente. Si sdraia per terra e dà spettacolo dei suoi muscoli: flessioni, torsioni, stacchi dal suolo che miriadi di “sportivi” non farebbero nemmeno dopo una vita murata in palestra.

«… davvero è l’esempio di dissonanza cognitiva più plateale che vi possa capitare di vedere.»

Un tale esempio di “dissonanza cognitiva” è frequente in un gran numero di malati di cancro sotto chemioterapia, in metastasi, in fase terminale. Si sentono in perfetta forma fisica, leoni e gazzelle nella savana, finché, d'un tratto, non scatta il punto di rottura. Dopo, non c’è morfina, non c’è cocktail di antidolorifici capaci di sedare la tortura del tumore che ai più ardenti amanti della vita — davanti all’ipocrito “come stai?” degli amici durante la visita di prammatica che precede le onoranze funebri — fa dire: «Chiedo solo di morire».

Prima di darsi a un andirivieni ininterrotto sogno-realtà, Randy Pausch avverte: «Non parleremo di cancro perché ne ho già parlato abbastanza e non m'interessa davvero… Se avete qualche integratore a base di erbe o altri rimedi, state alla larga, per favore.»

Troppe volte, più il tempo passa, più si allunga la lista dei cicli di chemioterapia che invadono l'organismo fra mille patimenti, nell’attesa di una remissione delle metastasi, e più le metastasi prendono campo e invadono l'organismo; ma se una finestra si chiude, non si chiudono caparbie speranze. Si guarda alle ultime spiagge, fatte di erbe indiane, aloe arborescens, bicarbonato di sodio, miracolose guarigioni attestate da centinaia di pazienti, tranne quelli che abbiamo conosciuto, amato e di tanto in tanto salutiamo al cimitero.

«Non parleremo di mia moglie e non parleremo dei miei bambini, perché sono bravo, sì, ma non così bravo da poterne parlare senza scoppiare a piangere.»

Parla invece dei suoi sogni di fanciullo: «Sognavo molto. C’era tanto da sognare a occhi aperti. Sono nato nel 1960. A otto o nove anni, se guardavo la televisione vedevo l’uomo sbarcare sulla luna… L’ispirazione e la possibilità di sognare sono immense».

Il sogno di galleggiare in aria

Si avventura in una carrellata di sogni dell’infanzia, i più diversi e disuguali, galleggiare in aria, giocare nella Nazionale di football, essere “uno di quei tipi che vincono i pupazzi giganti al luna park”, diventare “uno degli imagineer della Disney”, cioè uno di coloro che pianificano e mettono in opera le attrazioni dei parchi giochi. Randy Pausch, i suoi sogni, li ha realizzati quasi tutti, poi si è dedicato a realizzare i sogni degli altri.

Non si è fermato neanche di fronte alla Nasa, nemmeno allorché qualcuno della National Aeronautics and Space Administration, dove si era intrufolato, gli ha domandato se non gli pareva di essere uno sfacciato bell’e buono a voler provare la gravità zero da semplice individuo con i piedi attaccati al suolo. Nondimeno, Randy è arrivato a realizzare il sogno n. 1. «… la Nasa disponeva di una cosa detta “La cometa del vomito” con la quale si addestravano gli astronauti… un apparecchio che effettua paraboliche. Alla sommità di ogni arcata per 25 secondi circa si diventa proiettili e si sperimenta un vago equivalente dell’assenza di gravità.»

Il sogno di giocare nella Nazionale di football e i pupazzi di peluche

Con la Nazionale di football non gli va bene, ma la lezione è memorabile. A 9 anni firma un contratto con un mostruoso allenatore, alto 1,90, che gli sta alle costole e lo fa sgobbare. «Questo lo hai sbagliato, ripetilo. Hai sbagliato quello. Fallo ancora. Torna indietro e ricomincia. Me lo devi… dopo l’allenamento fa’ le flessioni». Un giorno un altro allenatore gli dice: «Il coach ti ha lavorato ben bene, eh? Buon segno. Se sbagli e nessuno te lo dice, vuol dire che non gliene frega nulla». Una lezione che Randy ha tenuto a mente per tutta la vita: «Quando metti il piede in fallo e nessuno si prende la briga di dirti qualcosa, è meglio cambiare aria. Chi ti critica lo fa perché gli stai a cuore… L’esperienza è ciò che ottieni quando non sei riuscito a ottenere ciò che volevi». Il suo pensiero vaga altrove. Cambia registro: «Potrà sembrare banale, ma quando si è piccoli e al luna park si vedono dei tizi con grandiosi peluche sottobraccio… Sì, ne ho vinti un sacco… È una parte della mia vita».

Vengono portati in scena enormi pupazzi di peluche. «… ecco i miei orsacchiotti… se qualcuno vuole conservare un pezzetto di me, si accomodi.»

Il sogno di Disneyland

Un altro bollente desiderio, diventare Imagineer, «Ecco, proprio difficile. Credetemi: sperimentare l’assenza di gravità non è niente rispetto a diventare un Imagineer! Avevo otto anni quando la mia famiglia traversò il Paese per andare a Disneyland… un’odissea… ma quello era l’ambiente più fantastico che avessi mai visto, e invece di pensare ‘Voglio visitarlo’, mi dicevo ‘Voglio costruire cose così’. Ci investii tutto il mio tempo, mi laureai, presi un dottorato, supponendo che ciò mi qualificasse a fare ogni cosa. Spedii caterve di lettere alla Walt Disney Imagineering chiedendo di assumermi, e loro mi mandarono le più dannate lettere di vaffa che io abbia mai ricevuto».

Pausch, al solito, non si arrende e infine la spunta, con un anno sabbatico alla Walt Disney Imagineering. Fonda, assieme a Don Marinelli, il Centro di Tecnologia dell’Intrattenimento, un modo inedito d’insegnare a programmare un computer, facendo credere ai ragazzi che stanno facendo film o videogame. Il miglior metodo d’insegnamento è, appunto, di convincere l’allievo che quanto sta imparando è un’altra cosa. Pausch lo ha fatto in tutta la sua carriera. «Col Centro di Tecnologia dell’Intrattenimento abbiamo creato la fabbrica dove si realizzano i sogni». Si tratta di un master di due anni basato sul lavoro di artisti e tecnologia. «Sono un po’ a disagio come docente universitario; provengo da una famiglia che lavorava per vivere… Dividevo con Don lo stesso ufficio, minuscolo da principio. Sapete, vista la mia situazione di oggi, c’è chi mi domanda: “Pensi di andare all’inferno o in paradiso?”. Non saprei, ma se mi toccherà di andare all’inferno, spero mi scontino i sei anni che ci ho già passato!». Il perfetto Centro di Tecnologia dell'Intrattenimento, organizzato per la nuova, prossima versione, è la Terra Promessa di Randy-Mosè, “ma io non vi metterò piede… Ricordate: ogni ostacolo, ogni muro di mattoni, è lì per un motivo preciso… per fermare le persone che non hanno abbastanza voglia di superarli… Da qualche parte, lungo il cammino di ciascuno, deve esserci qualcosa che ci consente di realizzare i nostri sogni. Questa è mia madre, nel giorno del suo settantesimo compleanno”. Mostra una diapositiva della mamma che guida un’automobile in un Luna Park. «Io sto dietro, alle sue spalle, sono stato appena catapultato fuori… Quando ero qui a studiare per il dottorato, preparandomi a una cosa chiamata “Teoria qualificativa” — la seconda cosa peggiore della mia vita dopo la chemioterapia —, mi lamentavo con mia madre. E lei: “Sappiamo bene come ti senti, tesoro, ma il babbo alla tua età combatteva contro i tedeschi”.»

«Il mio discorso non l'ho fatto per voi, ma per i miei bambini.»

Siamo al traguardo. Nelle ultime frasi di Randy Pausch si compendia più che mai il perché del clamore suscitato nel mondo dalla Last lecture, il perché dell’aver trasformato questo professore in un eroe. Non è un atto di eroismo avere un cancro che non perdona, lo è uno stile di vita che non cede di fronte alla sofferenza e alla morte. Alle interazioni che ha indagato fra uomo e macchina, fra scienze e arti, Randy ne antepone una tutta sua, che gli sta addosso giorno per giorno, l’interazione fra morte e vita, fra la smisurata tristezza della sconfitta e una speranza di felicità che non abbassa la guardia, non si rassegna alla perdita.

«Non rammaricatevi. Lavorate più sodo… Trovate il meglio in ogni persona… Aspettate, non importa quanto ci vorrà… Siate pronti. La fortuna è quel momento in cui la preparazione incontra l’opportunità… oggi vi ho parlato dei sogni dell’infanzia… di alcune lezioni imparate nel corso della vita… Non è importante realizzare i sogni; vivere è importante. Se vivrete nel modo giusto, il vostro karma si prenderà cura di ciò che fate e i sogni verranno… Il mio discorso non l'ho fatto per voi, ma per i miei bambini.»

Pagine di diario (dal sito di Randy Pausch)

2 aprile 2008

«Torno a lottare Per quelli, fra voi, che hanno dimestichezza col pugilato, descriverei le settimane dopo il cedimento che ho avuto dei reni e del cuore come un “conteggio fino a otto in piedi”». È il conteggio di protezione dell’arbitro quando un pugile si rialza dopo un knock down, per valutare se è in grado di proseguire il match. «Sono andato al tappeto alla grande e mi ci è voluto del tempo per riprendermi. Ora sono di nuovo in piedi, un po’ traballante, ma pronto a lottare ancora». Sta battendo a macchina in una stanza di ospedale. Ha riacquistato forza e speranza. La speranza gli viene dalla Tac e dalla RM, fatte il giorno prima. Mettono in evidenza un’altra metastasi al fegato. Ora sono undici. Alcune delle dieci già presenti sono ingrossate, ma di poco. Non si è sviluppato all’impazzata il tumore più importante, di due centimetri e mezzo, che costituiva la paura principale, essendo stata sospesa la chemio per sei settimane, in seguito al collasso dei reni e del cuore. In prospettiva, cure all’avanguardia. Adesso Randy spera di rimontare in sella sulla bici in una settimana o suppergiù.


9 aprile 2008

«Pronto a fare il prossimo passo, Non sono ancora rimontato sulla bici, ad ogni modo mi sento abbastanza bene per muovermi e andare avanti con la terapia.»

Carlottta Martini



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