«Se si disponesse di un metodo sufficientemente
sicuro per debellare qualunque traccia delle vestigia di
un tumore – commenta in generale il professor Luigi Di Bella
– allora, e solo allora, si potrebbe parlare di arresto
o di blocco, che allude ad una sempre potenziale ripresa,
in un prossimo futuro, per cause ipotetiche. Lo stesso intervento
chirurgico è chiara espressione della coscienza della mancanza
di un mezzo di guarigione. La che mio o radio terapia preoperatoria
non migliorano apprezzabilmente la prognosi.
(…)
Tuttavia, anche prendendo per buoni i dati secondo i quali
«uno su due dei pazienti che si ammalano di cancro guarisce»,
non si può non scorgere lo zampino della sintesi statistica,
zampino che quasi sempre la stampa fa finta di non vedere.
«Quando oggi si afferma che in linea di massima i tumori
guariscono al 50 per cento dei casi – si ammetteva in un
articolo pur teso a esaltare i successi della medicina convenzionale
– ci si riferisce alla media delle guarigioni dei diversi
tipi di tumore, che possono andare da un 97 per cento dei
casi a un 3 per cento dei casi»[1] Un piccolo passo verso
la verità, ma pur sempre piccolo. Anche perché una tabella
che correda l’articolo in questione e che indica la sopravvivenza
a 5 anni in una dozzina di tumori, presenta percentuali
molto discutibili sul piano della credibilità: basti pensare
che il tumore alla mammella viene presentato come guaribile
nel 70,8 per cento. Cosa vuol dire questo dato? A quale
stadio del tumore (quanto grande? metastatizzato oppure
no? quante metastasi, con quali siti metastatici?) esso
si riferisce? Evidentemente, si riferisce a quella parte
di disgraziate che si accorgono (grazie alla diagnosi precoce)
di avere un tumore quando esso assume una dimensione millimetrica.
(…)
Ma quale 50% delle guarigioni Lo stesso discorso si può
fare per quasi tutti i tumori: per ogni malattia esiste
una statistica medica pronta a dare i suoi numeri… Ma il
punto vero è un altro. La verità, ancora più sconcertante,
emerge dalle parole di un esperto come Francesco Bottaccioli[2]
è che «il 50 per cento di cui parlano gli oncologi – commenta,
nella sua Inchiesta sul cancro – non è effettivamente la
metà del numero dei malati di tumore, come si è indotti
a credere, ma la media delle varie percentuali di guarigione
dei diversi tipi di cancro. Per capirci, si somma, per esempio,
l’87 per cento di guarigione del cancro al testicolo con
il 10-12 per cento di quella del polmone e si fa la media
delle percentuali di guarigione, non calcolando che i malati
di carcinoma al testicolo in Italia, per fortuna, sono solo
200 l’anno, mentre le persone che si ammalano di tumore
al polmone ogni anno sono attorno a 40.000! I nostri grandi
oncologi quindi, quando parlano di progressi nella sopravvivenza,
dovrebbero essere più precisi»[3] Sarà così?
C’è poi la questione dell’aumentata capacità della nostra
medicina di diagnosticare precocemente molti tumori. Questa
capacità, che è una importante conquista, produce, al contempo,
una falsa interpretazione del rapporto tra il numero di
certi tumori (che è aumentato non nella realtà ma grazie
alla capacità di individuarlo nei primi stadi) e la mortalità
(che è rimasta invariata). Ad esempio, 50 pazienti morti
su 100 che hanno il cancro indicano un 50 per cento di sopravvivenza.
Se nel corso degli anni i 100 pazienti che hanno il cancro
diventano 150 (perché le nuove tecnologie consentono di
individuare tumori che prima non erano individuabili), ma
rimane invariato il numero dei morti (50) allora il rapporto
non è più di 50 morti su 100 ma di 50 morti su 150: l’indice
di sopravvivenza, come si vede, è in questo esempio aumentato
considerevolmente…Questo effetto ottico distoglie dalla
vera questione che è la mortalità, rimasta pressoché invariata.
Bottaccioli, nell’opera citata, riprende un importante studio
del 1986, condotto dal ricercatore statunitense John C.
Bailar III, insigne professore di Epidemiologia e Biostatistica
alla McGill University. Bailar scrisse che a fronte degli
eccezionali impegni finanziari profusi nella ricerca contro
il cancro, si doveva registrare una secca sconfitta. Bailar
addusse un semplice ma sconcertante confronto numerico:
nel 1962 negli USA morivano 277.000 persone, nel 1982 ne
morivano 434.000. Bailar, in effetti, è tornato più volte
sulla questione. Dopo lo scompiglio causato dal suo cupo
resoconto del 1986 circa il fallimento della guerra contro
il cancro dichiarata da Nixon nel ’71, Bailar intervenne
nel settembre 1993 a una riunione del President’s Cancer
Panel, gelando l’entusiasmo indotto nella platea dalle solite
cifre rassicuranti sulla curabilità dei tumori. L’epidemiologo
tirò fuori le sue cifre: «Tutto sommato – disse – i resoconti
sui grandi successi contro il cancro devono essere messi
a confronto con questi dati. (…) Io non penso che questo
sia possibile e torno a concludere, come feci sette anni
fa, che i nostri vent’anni di guerra al cancro sono stati
un fallimento su tutta la linea. Grazie»[4] I numeri di
Bailar (nel 1993 si ritiene siano morte 526.000 persone
per cancro negli USA) erano tutti basati su dati forniti
dal National Cancer Institute e stavano a indicare che la
mortalità per cancro negli USA era aumentata del sette per
cento dal 1975 al 1990. E questa cifra è stata corretta
per compensare il cambiamento nelle dimensioni e nella composizione
della popolazione rispetto all’età. In sostanza questo sette
per cento in più non può essere attribuito al fatto che
si muore meno frequentemente per altre malattie e che si
vive generalmente di più. Se ci fate caso, ogni volta che
in televisione o sulla carta stampata vengono forniti i
dati della mortalità per tumore, l’esperto di turno precisa
che l’aumento della mortalità è una illusione dovuta all’aumentata
soglia di vita e alla diminuzione di mortalità per malattie
progressivamente debellate.
Trascorsero quattro anni dal President’s Cancer Panel. Nel
1997, in uno «special article» pubblicato dal prestigioso
New England Journal of Medicine, Boiler conferma: «La guerra
contro il cancro è lontana dall’essere vinta. L’efficacia
dei nuovi trattamenti contro il cancro sulla mortalità è
molto deludente»
[1] Edoardo Stucchi: «Le vere conquiste contro i tumori»,
Corriere Salute, 27 gennaio 1998, pag. 17§
[2] Scrittore e giornalista medico-scientifico, membro dell’Accademia
delle Scienze di New York, docente di Psico-oncologia applicata
alla Facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di
Roma
[3] «Inchiesta sul cancro», pubblicata in supplemento dal
quotidiano «Il Giornale» nel 1998
[4] Tim Beardsley, «Cancro, una guerra non vinta», «Le Scienze»,
n.307, marzo 1994, pag.70
Archivio Cancro
|