
Premessa:
è opportuno ricordare che per 'anatocismo' si intende la c.d.
'capitalizzazione degli interessi', ovvero la pratica di rendere gli
interessi dovuti su alcune somme, a loro volta produttivi di ulteriori
interessi.
Conviene, sul punto, partire dall'inizio, ovvero dal Codice civile, che
all'art. 1283 stabilisce che "in mancanza di usi contrari, gli
interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda
giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e
sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi". In
altre parole, il codice civile impedisce che gli interessi possano
produrre a loro volta ulteriori interessi prima che vi sia una formale
domanda giudiziale in tal senso, ovvero in virtù di uno specifico accordo
comunque successivo, rispetto alla loro scadenza. Dunque, secondo la
previsione civilistica, MAI gli interessi potrebbero produrre ulteriori
interessi, se non in virtù di una richiesta o di un accordo comunque
SUCCESSIVI al loro prodursi.
Come è agevole intuire, dunque, il fattore temporale, sul punto, è
fondamentale.
Già poco tempo dopo l'emanazione del codice civile, tuttavia, gli istituti
di credito hanno interpretato la frase 'in mancanza di usi contrari'
dell'articolo come la possibilità, da parte loro, di stabilire delle
prassi (contrattuali) uniformi, che sarebbero divenute veri e propri
‘usi’.
Su esplicita iniziativa dell'ABI, dunque, a partire dal 1952, le banche
hanno previsto nei loro contratti la capitalizzazione degli interessi a
favore della banca con decorrenza trimestrale, mentre quelli a favore del
cliente venivano capitalizzati solo con decorrenza annuale.
Dopo quasi cinquant'anni, quindi, precisamente nel 1999, la Corte di
Cassazione per ben due volte interveniva finalmente sull'argomento,
dichiarando illegittima la suddetta prassi bancaria sino ad allora
adottata da tutti gli istituti di credito, ma prontamente il legislatore
interveniva sull'argomento (D.Lgs. 218/2010), modificando l'art. 120 del
Testo Unico Bancario e demandando al Comitato Interministeriale per il
Credito ed il Risparmio (C.I.C.R.) le modalità e i criteri per definire la
produzione di ulteriori interessi sugli interessi sulle operazioni
bancarie. Il CICR, quindi, ha rimesso alle parti, nei contratti di conto
corrente, la possibilità di determinare la periodicità degli interessi,
disponendo comunque la medesima periodicità sia per gli interessi a
credito che per quelli a debito, permettendo di fatto alle banche, pur
sotto condizione di reciprocità, di poter applicare l'anatocismo
trimestrale.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, quindi, nel 2010 sono tornate
sull'argomento, che ha nuovamente 'rivisitato' l'orientamento
giurisprudenziale sia di legittimità che di merito, in ordine al termine
prescrizionale per la ripetizione degli interessi anatocistici
indebitamente corrisposti dal correntista dalla data di chiusura del conto
corrente, e ciò in virtù dell'unitarietà del rapporto contrattuale. Le
SS.UU., così, hanno chiarito che qualora il correntista agisca "per
far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di
interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto indebitamente pagato
a questo titolo, il termine di prescrizione decennale di cui tale azione
di ripetizione è soggetta a decorrere, qualora i versamenti eseguiti dal
correntista abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista,
dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui
gli interessi dovuti sono stati registrati”.
Ancora una volta, quindi, il legislatore è intervenuto, nell’agosto 2010
(c.d. ‘decreto mille proroghe’), con una previsione prontamente
ribattezzata ‘salva banche’, con la quale ha cercato di limitare
fortemente il contenzioso nei confronti degli istituti di credito,
prevedendo una norma di interpretazione autentica avente portata
retroattiva specificando che “in ordine alle operazioni bancarie
regolate in conto corrente, l’art. 2935 del codice civile si interpreta
nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti
dall’annotazione in conto corrente inizia a decorrere dal giorno
dell’annotazione stessa. In ogni caso, specifica infine la norma, non si
fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto legge”.
Infine, la previsione sopra citata è stata dichiarata incostituzionale a
sèguito del recentissimo intervento della Corte Costituzionale (sent. n.
42 del 2 aprile 2012) che ha non solo ricondotto il quadro normativo a
quello oggetto della sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione del
2010, ma ha anche ripristinato, come vedremo, logica e senso delle
precedenti pronunce del Giudice di legittimità.
1 - continua
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