Negli ultimi giorni il neo
governatore Draghi ha riportato alla ribalta il tema della nazionalizzazione
della banca d’italia (il carattere minuscolo non è un errore) attualmente in
mano proprio a quelle banche sulle quali avrebbe il compito istituzionale di
vigilanza. Questa, come sappiamo dalle cronache degli ultimi anni, non è
un’anomalia solo italiana, ma comune a molti paesi tra cui la fed americana (http://it.wikipedia.org/wiki/Federal_Reserve).
Noi non possiamo sapere come
sia avvenuto questo colpo di mano, l’art.3 dello statuto di bankitalia prevede
che la maggioranza delle azioni sia in mano pubblica, perché gli azionisti sono
stati a lungo celati da una spessa cortina di nebbia ed il loro elenco è stato
reso pubblico solo fortunosamente per un controllo incrociato sui bilanci fatto
dall’ufficio studi di Mediobanca nel 2003 e ufficialmente apparso (purtroppo
ancora incompleto) sul sito di bankitalia
http://www.bancaditalia.it/la_banca/partecipanti/Partecipanti.pdf solo
dal settembre dello scorso anno grazie agli sforzi della controinformazione.
Ora, cacciato con disonore
Fazio, si vuole ridare una mano di onorabilità a bankitalia rivedendo il suo
statuto e restituendola al controllo pubblico. Una delle poche favole a lieto
fine? Neanche per sogno e vediamo perché.
Il fatto della proprietà è
importante solo ai fini di un corretto controllo dell’attività di credito svolta
dalle banche, il fatto che con un blitz le banche si siano impossessate del
controllo dell’istituzione che dovrebbe vigilare sul loro operato la dice lunga
sulla serietà dei controlli messi in atto da bankitalia e profumatamente pagati
dal contribuente (allo stato sono rimasti tutti i pesantissimi oneri della
gestione – una manovrina finanziaria - compresi stipendi, spese, pensioni ecc.
tutti d’oro naturalmente). I risultati sono sotto gli occhi ancora esterrefatti
dei sottoscrittori di obbligazioni Cirio, Parmalat, Argentina o dei clienti
truffati di Monte dei Paschi e Banca 121 per non parlare della BPL di Fiorani e
di Banca Unipol di Consorte solo per citare gli ultimi fatti di cronaca
Le banche azioniste dal
canto loro, con la consueta e sempre più insopportabile arroganza del potere, si
sono dichiarate “preoccupate” di dover svendere la loro partecipazione in
bankitalia valutata da 800 milioni di euro dall’ex ministro Tremonti ai 23 mld
di euro dell’ABI. Uno strano senso di giustizia non c’è che dire. Invece di
vergognarsi di essere state colte con le mani nella marmellata, restituendo con
mille scuse la proprietà di bankitalia alla comunità e dover rispondere nelle
opportune sedi di tutte le malefatte compiute con la silenziosa complicità del
controllore in questi anni, compreso un congruo risarcimento ai cittadini
loro vittime, si preoccupano di quanto incasseranno dalla vendita della loro
partecipazione (posseduta illegittimamente) in bankitalia.
Ma ci faccia il piacere!
direbbe il
Principe De Curtis, in arte Totò
La questione della proprietà
della banca d’italia, pur importante, passa però in secondo piano quando
esaminiamo il cuore del problema ovvero l’emissione monetaria. (su questo tema
consigliamo anche di rileggere un nostro “profetico” articolo del settembre 2005
http://www.centrofondi.it/articoli/bankitalia_signoraggio.htm )
Una comunità evoluta per agevolare gli scambi usa il denaro come controvalore
delle merci e dei servizi prodotti oltre a quella necessaria per gli
investimenti futuri. Semplificando il fabbisogno di moneta è pari all’incremento
del PIL più la quota relativa agli investimenti come infrastrutture, strade,
ponti, ferrovie. La comunità invece di emettere in proprio questo fabbisogno
monetario, come sarebbe legittimo e sancito dalla Costituzione della Repubblica
quando dice che il popolo è sovrano, la fa emettere dalla banca centrale (ora la
bce).
Il problema è che alla banca
centrale lo stato non rifonda i soli costi di stampa per il servizio, non
essendoci oramai alcuna copertura di oro o di altra ricchezza a garanzia del
denaro emesso, ma paga questo servizio indebitandosi emettendo obbligazioni (Bot,
Btp, Cct ecc.) per un importo pari al valore facciale delle banconote con il
risultato che così facendo tutta la comunità si indebita per un qualcosa che
invece gli dovrebbe appartenere di diritto, generando il famigerato e
pesantissimo debito pubblico oggi al 106% del Pil.
Questa enorme massa di
denaro invece di essere accreditata alla comunità crea un
debito che nemmeno con tutta la buona
volontà sarà possibile ripianare facendoci precipitare nell’inferno più
orribile. Diventa superfluo dire che tutto ciò non sarebbe potuto accadere se
tutta la classe politica passata e presente non fosse stata complice attivo e
consapevole di questi misfatti .
Di tutta questa enorme
ricchezza che entra nelle tasche della bc, misteriosamente non ne rimane traccia
nei bilanci. Perché?
Semplicemente perché la bc iscrive al passivo quel guadagno come se si fosse
privata di tanta ricchezza pari al valore facciale del denaro emesso oltre alla
carta e all’inchiostro. E’ chiaro anche ai non addetti ai lavori che con queste
premesse il bilancio di bankitalia è sempre in perdita e quindi non c’è nessun
utile da ripartire tra gli azionisti.
Che strada prenda tutto quel ben di Dio non è dato sapere anche se lo
scandalo delle stanze di compensazione delle segretissime Euroclear e
Clearstreem e qualche conto scoperto nei paradisi fiscali, qualcosa fa
immaginare.
Allora, rebus sic
stantibus mentre è chiarissima la ragione per cui le “controllate” hanno
preso il controllo del “controllore”, meno chiara appare la ragione per cui lo
stato dovrebbe riprendersi bankitalia senza riappropriarsi della sovranità
monetaria e oltretutto pagare per qualcosa che è suo.
Pagare qualcosa che ci appartiene però, come abbiamo spiegato prima, speriamo
con la dovuta chiarezza, sembra essere lo sport nazionale e la proprietà
pubblica della banca centrale di stati come Canada, Inghilterra, Svezia,
Svizzera ecc. e soprattutto il loro debito pubblico dimostra che è una pratica
diffusa anche all’estero.
In questo caso lasciateci
dire che il detto “mal comune mezzo gaudio” non ci soddisfa per niente.
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