Il caffè che beviamo tutti i giorni o le sigarette che
fumiamo, fino ai gelsomini che ci vengono regalati: di tutti questi prodotti
dovremmo ringraziare le infaticabili mani dei milioni di bambini che sull'intero
pianeta vengono sfruttati per realizzarli. In occasione della giornata mondiale
contro il lavoro minorile, promossa come ogni anno dall'Organizzazione
internazionale del lavoro, emerge la geografia di uno sfruttamento che fa
rabbrividire e che non risparmia nemmeno il nostro paese, che si vuole moderno,
democratico, civile. Le cifre di questo fenomeno ricordate oggi ci parlano di
218 milioni di piccoli lavoratori fra i 5 e i 17 anni in tutto il mondo, spesso
costretti in condizione di schiavitù e impegnati in attività illecite. Tra di
loro, 126 milioni sono coinvolti in occupazioni pericolose. Il maggior numero di
bambini lavoratori, 122 milioni, si concentra in Asia e nell'area del Pacifico;
segue l'Africa Sub-Sahariana che ne conta quasi 50 milioni, mentre in America
Latina sono 5,7 milioni. Nei paesi industrializzati invece il numero si attesta
ai 13 milioni, di cui 400 mila, fra i 7 e i 14, proprio in Italia (come
fotografano l'ultimo rapporto in materia dell'Ires-Cgil).
Quest'anno il focus di attenzione è dedicato in particolare al settore
dell'agricoltura, dove si concentra il 70% dello sfruttamento dei baby
lavoratori (Programma internazionale sull'eliminazione del lavoro minorile
dell'Ilo), considerato per altro come uno dei settori maggiormente pericolosi
vista l'esposizione che esso richiede a sostanze nocive come i pesticidi, le
condizioni ambientali che portano a lavorare nei campi anche sotto il sole
cocente e ad elevate temperature, o l'uso di macchinari e attrezzi rischiosi.
Non a caso l'obiettivo di quest'anno è quello di una alleanza mondiale per
combattere il fenomeno, lanciata dall'Ilo insieme ad altre cinque organizzazioni
internazionali come Fao, Ifad, Ifpri, Cgiar, Iuf.
Una proposta che spinge il direttore dell'associazione, Juan Somavia, a
pronostici ottimistici: "Attraverso uno sforzo concordato possiamo raggiungere
l'obiettivo di porre fine alle peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016",
ha dichiarato forse alla luce del dato secondo cui tra il 2000 e il 2004 si è
registrata una diminuzione dell'11% del fenomeno, passato dai 246 milioni di
baby lavoratori a 218. A questo nobile fine potrebbe contribuire anche la
politica di introdurre obbligatoriamente nell'Ue l'etichetta di provenienza dei
prodotti agricoli e alimentari affinché si instauri un vero commercio equo e
solidale improntato al rispetto dell'ambiente e, soprattutto, dei lavoratori,
scoraggiando così lo sfruttamento minorile. Del resto, secondo un sondaggio
realizzato dalla Coldiretti, il 20% degli italiani chiede all'Unione Europea,
massimo importatore nel settore agroalimentare, controlli che vadano in questa
direzione garantista.
All'origine della precoce entrata nel mercato del lavoro ci sarebbero la povertà
e l'impossibilità di accedere ad un'istruzione adeguata. Le disuguaglianze di
censo, casta, etnia, religione e disabilità favoriscono l'esclusione dalla
scuola e dalla formazione spingendo in direzione del lavoro prima del tempo.
Per quanto riguarda il nostro paese, il fenomeno del lavoro minorile appare
fortemente radicato anche se in leggera diminuzione, con settori come il
comparto agricolo e artigianale che registrano la maggiore presenza di piccoli
lavoratori (28,3% e 22,1%, secondo una indagine Ires-Cgil condotta intervistando
quasi due mila consulenti del lavoro), seguiti dal terziario , dal commercio e
dalla ristorazione (17,3% e 17,9%). Il settore dell'edilizia invece registra un
"confortante" 5,39%. E' soprattutto nel periodo estivo, quando la stagione
richiede una più nutrita manovalanza e possibilmente a basso costo, che la
tendenza ad impiegare i minori cresce, soprattutto al Sud dove le famiglie sono
più numerose e la dispersione scolastica più radicata. Causa principale, anche
nel bel Paese, una condizione di disagio familiare (25,47%), un'economia
sommersa (19,81%) e la povertà del contesto (18,87%). Anche l'inadeguatezza
scolastica fa la sua parte: molto spesso infatti la scuola non garantisce una
formazione tale da consentire un sano ingresso nel mercato del lavoro. In
Italia, dove la recente Finanziaria ha indicato nei 16 anni l'età possibile per
l'acceso al mondo del lavoro conformemente all'innalzamento dell'obbligo
scolastico, sono soprattutto i minori stranieri a rischiare un inserimento
precoce nell'occupazione, che per loro si traduce in lavoro in nero e
sfruttamento, anche in attività illecite come la prostituzione o
l'accattonaggio.
Il nostro paese, pur avendo ratificato nel 2000 la Convenzione Ilo 182 sulle
forme peggiori di lavoro minorile (1999), non ha ancora predisposto il Piano
d'Azione in materia, così come previsto dalla Convenzione e dalla
Raccomandazione 190 Ilo ad essa allegata. Il Piano sarebbe invece di grande
importanza per sviluppare strategie in grado di affrontare il problema delle
peggiori forme di lavoro minorile, a partire dalla raccolta dei dati sul
fenomeno fino ad approntare interventi concreti di prevenzione e di contrasto.
Marzia Bonacci - aprileonline
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