Mentre 2,5 miliardi di persone vivono ancora senz’acqua, ogni
giorno il mondo occidentale ne consuma oltre 4mila litri al giorno. Ecco 10
paradossi sul consumo “inconsapevole”

(foto: Corbis Images)
L’acqua che assumiamo ogni giorno non è solo quella dei
famosi otto bicchieri che ci rendono più sani e più belli. Esiste anche un
consumo idrico meno noto ai consumatori di tutto il mondo, che però finisce
dritto sulle nostre tavole: si chiama acqua virtuale e ogni
giorno ne consumiamo oltre 4mila litri per alimentarci. Questo
è solo uno dei dieci paradossi evidenziati da uno studio condotto dalla
Fondazione Barilla Centre for Food and Nutrition in collaborazione con Marta
Antonelli, in occasione della
Giornata mondiale dell’acqua che si celebra il 22
marzo.
1. Un uomo usa in media 2 litri al giorno di acqua per bere, 4mila
per alimentarsi
Pensiamo che il nostro consumo d’acqua si limiti ai due litri che
beviamo ma, a nostra insaputa, ne usiamo fino a 4mila litri. Si chiama acqua
virtuale ed è la quantità di acqua usata per produrre i cibi.
2. Servono 15mila litri d’acqua per produrre un chilo di carne
Secondo questo studio questo è il quantitativo necessario per ottenere un
chilo di carne bovina. Il dato può variare a seconda del tipo di
allevamento: rispetto agli impianti al pascolo, quelli intensivi richiedono il
triplo in termini di apporto idrico, a causa dei mangimi concentrati che
richiedono ingenti quantità di acqua per essere prodotti.
3. Quasi il 90% di acqua consumata è destinata alla produzione del
cibo
Marta Antonelli, autrice del libro L’acqua che mangiamo ha
messo in evidenza che l’89 % del nostro consumo idrico è riconducibile al solo
consumo di cibo.
4. Se tutti seguissero la dieta occidentale: +75% acqua utilizzata
Altro paradosso: nonostante tra le diete occidentali ci sia anche quella
mediterranea, particolarmente economica per il consumo idrico virtuale, questi
regimi sono basati sul consumo di carne. Aumentando il consumo di prodotti di
origine animale, lo spreco idrico mondiale aumenterebbe del 75%.
5. Si usa più acqua per produrre prodotti di origine animale che per
le verdure
Contrariamente a ogni aspettativa, la produzione di alimenti di origine animale
è più idro-esigente di quella di frutta e verdura.
6. 1,3 miliardi di tonnellate di cibo buttato all’anno corrispondono
a 3 Laghi di Ginevra evaporati
Il consumo eccessivo di acqua virtuale non è creato solo dalla produzione di
cibo, ma anche dal suo spreco. Ogni anno 1,3 miliardi
tonnellate di cibo vengono sprecate (circa un terzo della produzione
mondiale), con una conseguente perdita 250 chilometri cubi di acqua all’anno,
una quantità pari a tre volte il volume del Lago di Ginevra.
7. In Italia ogni anno si sprecano 706 milioni di metri cubi di acqua
a causa del cibo inutilizzato
L’Italia, terzo importatore di acqua virtuale al
mondo, ne spreca ogni anno 706 milioni di metri cubi solo per
il cibo che non utilizza.
8. 43% di acqua sprecata in Italia da cibo è per spreco di carne
Questa è l’incidenza idrica della carne non consumata sul suolo italiano. Se
consideriamo anche le perdite di alimenti che avvengono durante la filiera
alimentare e che non raggiungono mai la distribuzione, il bilancio sale a
1.226 milioni di metri cubi d’acqua.
9. Nel 2050 servirà il 20% di acqua in più per nutrire tutti
Ma cosa succederà quando nel 2050 sulla Terra ci saranno nove
miliardi di persone? Per nutrirsi, faranno lievitare i consumi idrici del 20%.
10. 2.400 chilometri cubi all’anno è il deficit globale di acqua in
futuro (30 laghi di Ginevra)
Aumenterà anche il deficit idrico: saranno 2.400 i chilometri cubi annui d’acqua
perduti per il cibo. Riuscite a immaginare trenta laghi di Ginevra che
scompaiono? È questo il volume idrico che si manderebbe in fumo.
La riduzione dello spreco alimentare del 50% entro il 2020
(e quindi anche dello sperpero idrico) è uno degli obiettivi del
Protocollo di Milano, un progetto messo a punto nel 2013 dalla
Fondazione Barilla con il contributo di oltre 500 esperti internazionali, in
risposta ai grandi paradossi moderni sull’alimentazione. Ma il cambiamento parte
dall’informazione verso chi ogni giorno si siede a tavola e consuma.
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