Mentre
i politici israeliani giocano alla guerra-lampo prima
dell'arrivo dell'Uomo Nero alla Casa Bianca, il tempo
scorre indifferente ai piani dei grandi leader e la vita
continua a proporsi una strada piena di minacce e di
imprevisti. Così può capitare che mentre le energie del
paese sono assorbite dalla guerra, gli esperti alzino la
mano per annunciare che è finita l'acqua. L'inverno poco
piovoso, se non secco, ha dato una mano, il più avaro di
pioggia da ottanta anni, ma il problema per Israele è
serio e sistemico ben oltre una pur severa siccità
incombente. Il consumo di acqua pro-capite è cresciuto
esponenzialmente dalla fondazione del paese e sebbene
rappresenti un indicatore di benessere, per un paese con
scarse risorse idriche è il sistema più semplice e sicuro
per prosciugare ogni riserva in fretta. Secondo gli
esperti Israele è più o meno a questo punto.
Ci sono alcuni margini di risparmio possibile, ma il
problema rischia di essere già prossimo al momento nel
quale la disponibilità di acqua crollerà precipitosamente.
La situazione in sintesi è che Israele trae acqua da due
bacini acquiferi, uno lungo la fascia la costiera che
fornisce un terzo dell'acqua e uno in West Bank che
provvede agli altri due terzi. Occasionalmente quello
della West Bank è al di fuori dei confini riconosciuti di
Israele, ma casualmente nella Palestina occupata, mentre
Gaza preleva da quello costiero.
Dei due bacini quello costiero è quello messo peggio, c'è
rimasta poca acqua, tanto poca che già il mare ha invaso
le cavità che un tempo custodivano l'acqua dolce. Il
bacino in West Bank non è ancora a secco, ma non riesce a
ricaricare i livelli nemmeno negli anni piovosi, oltre ad
essere inquinato dagli scarichi e dai prodotti chimici
usati nell'agricoltura. Proprio l'agricoltura è sotto
accusa, come in molti paesi avanzati opera in un mercato
falsato dalle sovvenzioni, tanto che esistono sovvenzioni
anche per la produzione del cotone e altre colture che
richiedono molta irrigazione.
La questione è abbastanza semplice e già vista altrove,
Israele e i palestinesi si riforniscono dai due bacini e
consumano troppa acqua. Ovviamente Israele fa la parte del
leone e anche il taglio delle forniture idriche a Gaza ha
sicuramente aumentato lo sbilancio nella disponibilità. Da
qualunque parte si voglia guardare la questione è chiaro
che Israele deve ridurre il consumo idrico, visto che
quello dei palestinesi difficilmente potrebbe essere
compresso ulteriormente e visto che Israele non ha modo di
procurarsi acqua dai paesi vicini come la Siria o la
Turchia stante la situazione politica.
Per strappare la terra al deserto occorre acqua, ma
occorre acqua anche per le piscine e per consumi
relativamente voluttuari poco consoni ad una terra che non
ha acqua sufficiente per una tale consumo da parte di un
numero tanto alto di persone. Un'evidenza che precede
anche le questioni etiche e le opportunità politiche, per
le quali sembra comunque ingiusto che i legittimi
proprietari delle risorse siano quelli che ne hanno goduto
di meno, per non parlare di quanto possa simpatico vivere
con la tua acqua razionata mentre il tuo vicino-invasore
ci riempie le piscine sotto i tuoi occhi.
Come in molti altri paesi, quando si viene ai temi
dell'acqua la classe politica ed economica faticano a
comprendere la minaccia dello sfruttamento eccessivo delle
risorse, così succede che in Israele per lunghi anni la
questione è stata posta e spostata più volte senza esiti
apprezzabili . Anche oggi la situazione non è tanto
diversa, visto che la proposta più “attiva” è stata quella
di costruire enormi dissalatori per coprire il buco tra
domanda e offerta, senza nemmeno fare la fatica di
spiegare con quale energia e quali soldi farli funzionare.
Ma soprattutto senza considerare che una volta che i
bacini acquiferi saranno pieni di inquinanti e di acque
nere, per trarne acqua utile bisognerà separare l'acqua da
tutto quello che è stato buttato dentro queste enormi
vasche geologiche negli ultimi decenni.
Per il momento le uniche iniziative concrete sono state
nel segno del già visto, da quella di porre limiti al
prelievo per l'irrigazione a quella di aumentare le
trivellazioni in West Bank, sul Golan e ovunque sia
plausibile trovare acqua, compresi i parchi e le riserve
naturali che poi moriranno perché resteranno senza acqua,
nulla più che perdere tempo perpetuando comportamenti
autolesionisti e logicamente sbagliati. Il liberismo
sregolato in Israele ha da tempo soppiantato il sobrio
collettivismo da Kibbutz del tempo dei pionieri e così
sembrano essersi dimenticati dell'importanza e la
preziosità dell'acqua, per non parlare della
pianificazione nell'interesse pubblico, tanto che se per
un accidente del caso Israele riuscisse ad escludere i
palestinesi dall'accesso all'acqua, il problema sarebbe
esattamente della stessa gravità, perché non basterebbe e
perché l'acqua sarà sempre di meno e sempre più costosa da
sfruttare se non si ridurranno drasticamente e velocemente
i prelievi e gli sversamenti inquinanti.
I politici israeliani come molti altri colleghi di altri
paesi non amano investire nelle fogne, i loro omologhi
palestinesi non sono certo incentivati a farlo, senza
considerare che anche se volessero avrebbero comunque
bisogno del consenso dell'occupante distratto e forse
sospettoso che diventino depositi di armi pericolosissime.
Milioni di abitanti in più nell'arco di qualche decennio,
che gravitano sulle stesse fonti e consumano acqua in
misura molto maggiore di quanto non facessero gli
antenati, hanno finito i giacimenti d'acqua, dopo aver
succhiato a lungo molta più acqua di quanta non ritornasse
ai bacini sotterranei attraverso le piogge. Senza
considerare che ogni anno le precipitazioni calano, sia o
non sia a causa del global warming.
Una banalità scontata, una realtà inevitabile, che però è
rimasta per anni ignorata anche in Israele per dare fondo
allo sfruttamento accelerato, non sostenibile oltre la
velocità di rigenerazione della fonte naturale. Fa
riflettere vedere governi dopo governi che hanno sempre
qualche problema più importante di quelli che realmente
minacciano la vita dei loro amministrati, Israele in
questo senso non è un'eccezione, basta pensare alla sorte
dei provvedimenti contro l'inquinamento ambientale o
proprio alla privatizzazione delle acque in tanti paesi
per concludere che segare il ramo sul quale si sta seduti
è un comportamento tipicamente umano.
Se il controllo delle falde è stato uno dei pilastri della
politica d'Israele, viene da chiedersi perché i governi
che si sono succeduti non ne abbiano curato la salute, ma
viene anche da considerare l'amara ironia di vecchi
generali che combattono per decenni per ritrovarsi alla
fine con un pugno di sabbia perché l'acqua se la sono già
bevuta tutta senza che nessuno facesse niente per
impedirlo.
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