«Meno bottiglie, meno rifiuti».
Legambiente e Altreconomia per il consumo di acqua del rubinetto al
posto della minerale nei locali pubblici. La campagna per la Giornata
mondiale/ Sito
Acqua del rubinetto al posto della
minerale nei locali pubblici. In occasione della giornata mondiale
dell’acqua che si festeggia il 22 marzo, Legambiente e Altreconomia
rilanciano “Imbrocchiamola”, la campagna nazionale della rivista dei
consumatori nata per promuovere nei ristoranti, nelle pizzerie e nei bar la
somministrazione di acqua del
rubinetto piuttosto che quella minerale imbottigliata. L’obiettivo:
essere sempre più numerosi a bere, mentre si mangia un panino al bar o una
pizza tra amici, l'acqua “del sindaco”, anche perché non esiste nessun
obbligo di legge a vendere esclusivamente le bottiglie di minerale, mentre
esistono ottime ragioni, ambientali ed economiche, per scegliere quella
dell’acquedotto.
Sono quasi 600 gli esercizi pubblici segnalati negli ultimi 12 mesi
dai lettori di Altreconomia sul sito
www.imbrocchiamola.org in tutta
Italia, nessuna regione esclusa.
Da oggi, ognuno di questi potrà anche esporre l'adesivo di Imbrocchiamola in
bella mostra sulla vetrina del locale: è il segno che è possibile ordinare
una brocca di acqua del rubinetto senza essere guardati male dal
ristoratore. A Milano sono già ventidue i ristoranti che hanno aderito
all'iniziativa e che hanno già applicato la vetrofania di Imbrocchiamola.
«L'acqua di acquedotto è buona, sicura, controllata, economica. E non
inquina -dichiara Pietro Raitano, direttore del mensile Altreconomia-. Va
detto una volta per tutte: i consumatori e i clienti devono avere il diritto
di chiedere l'acqua di rubinetto anche nei locali, che non possono
rifiutarsi di servirla».
L'Italia è il Paese in cui si ha il maggior consumo di acqua in
bottiglia nel mondo, con 194 litri pro capite solo nel 2006 (oltre mezzo
litro a testa al giorno). Un dato in costante aumento, triplicato in poco
più di 20 anni (nel 1985 erano appena 65 litri), e con esso anche il volume
di affari per i produttori di acqua minerale è aumentato e di molto.
Nel 2006, in Italia, erano attive 189 fonti e 304 marche di acque minerali
in grado di generare un volume di affari di 2,2 miliardi di euro, grazie
all’imbottigliamento di 12 miliardi di litri di acqua (Beverfood). Il
business miliardario per le industrie dell'acqua minerale è favorito,
secondo Legambiente e Altreconomia, anche dai canoni di concessione molto
bassi che vengono versati alle Regioni, costi che spesso non tengono conto
neanche dei reali volumi di acqua prelevati.
Sono solo otto infatti le regioni italiane che prevedono un canone in
base alla quantità di acqua imbottigliata: si va dai 3 euro ogni mille litri
prelevati in Veneto ai 5 centesimi ogni mille litri della Campania. In
sostanza le industrie pagano alle Regioni molto poco l'acqua che prelevano,
rispetto a quanto guadagnano dalla vendita del loro prodotto. In molti casi
questi introiti non sono neanche sufficienti a coprire le spese sostenute
per lo smaltimento delle numerose bottiglie in plastica derivanti dal
consumo di acque minerali che sfuggono alle raccolte differenziate. «È
giunto il momento di definire e applicare una volta per tutte un criterio
unitario a livello nazionale e più oneroso per il rilascio delle
concessioni, fondato su sistema penalità e premialità – dichiara Stefano
Ciafani, responsabile scientifico nazionale di Legambiente – penalizzando ad
esempio chi utilizza bottiglie di plastica o esegue il trasporto su gomma e
premiando invece chi favorisce il vuoto a rendere o utilizza la ferrovia».
L’impatto ambientale derivante dalla filiera delle acque minerali è
altrettanto preoccupante: nel 2006, per la sola produzione delle bottiglie,
sono state utilizzate 350 mila tonnellate di polietilene tereftalato (Pet),
con un consumo di 665 mila tonnellate di petrolio e un'emissione di gas
serra di circa 910 mila tonnellate di CO2 equivalente. Ma anche la fase del
trasporto dell’acqua minerale influisce non poco sulla qualità dell’aria:
solo il 18% del totale di bottiglie in commercio viaggia sui treni, tutto il
resto lo fa su strada. Inoltre solo un terzo circa delle bottiglie di
plastica utilizzate sono state raccolte in maniera differenziata e destinate
al riciclaggio. Secondo i dati forniti dall’associazione di categoria
Mineracqua e dal Corepla, il consorzio per il recupero degli imballaggi in
plastica, nel 2006 sono stati immessi al consumo circa 2,2 milioni di
tonnellate di imballaggi plastici, di cui 409mila in polietilene tereftalato.
Delle tonnellate di Pet utilizzate per la produzione di bottiglie di
acqua minerale solo il 35% sono avviate a riciclo. «Tutto questo si potrebbe
evitare riducendo il consumo di acque minerali e bevendo sempre di più
quella del rubinetto, con evidenti vantaggi ambientali per la riduzione del
consumo di una fonte fossile come il petrolio, di emissioni inquinanti in
atmosfera, compresi i gas serra, e della produzione di rifiuti – conclude
Ciafani - con conseguente risparmio economico per la collettività».
Ma quali sono i reali motivi che spingono gli italiani a preferire le
acque minerali in bottiglia? Secondo Legambiente ed Altreconomia,
innanzitutto una forte pressione pubblicitaria, per la quale, solo in
Italia, si spendono oltre 370 milioni di euro: «Le minerali – spiega Raitano
– sono sostenute dalla macchina da guerra di un marketing martellante, fatto
di spot e sponsorizzazioni, che nessuna procedura di pubblicità ingannevole
riesce a scalfire». Ma le cause sono riconducibili anche alla sfiducia nei
confronti della risorsa distribuita attraverso gli acquedotti: si pensa cioè
che l'acqua in bottiglia sia più controllata e quindi migliore di quella
pubblica. In realtà l'acqua del rubinetto subisce, per legge, controlli
regolari sia da parte del gestore del servizio idrico e sia dell'Asl: per
fare un esempio, solo a Milano, vengono effettuati ogni anno 21mila analisi
di controllo.
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http://www.lanuovaecologia.it
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