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23/02/2007 Mettiamola fuorilegge. La pubblicità, non l’acqua in bottiglia (http://www.altreconomia.it/acqua/aderisci.php)

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Oggi le acque minerali sono uno dei maggiori inserzionisti pubblicitari in Italia: per convincerci a comperare “l’acqua da bere” nel 2005 gli imbottigliatori hanno acquistato spazi pubblicitari per 379 milioni di euro.
Perché tanto sforzo? L’acqua in bottiglia ha un concorrente formidabile, che è l’acqua degli acquedotti: buona (poche le eccezioni), controllata (più dell’acqua in bottiglia, come hanno dimostrato diverse inchieste), comoda (arriva in casa), e poco costosa.
Se le acque minerali non fossero sostenute da una pubblicità martellante, nessuno o pochi sentirebbero il bisogno di comperarle.
Di fatto l’acqua in bottiglia fa concorrenza a un bene comune, lo ha riconosciuto anche l’Antitrust nel 2005 nel caso “Mineracqua contro Acea”. Solo che le forze in campo sono impari: contro i 379 milioni di euro che l’industria spende per sostenere l’acqua in bottiglia, gli acquedotti non investono una lira per pubblicizzare il proprio servizio.

Senza pensare di ridurre la libertà di produrre e vendere acqua minerale, non si potrebbe invece legittimamente pensare di limitarne l’invadenza pubblicitaria?

C’è già almeno un caso in cui non si può fare pubblicità di prodotti pur buoni: in quasi tutto il mondo è vietato promuovere latte in polvere per la prima infanzia (e ad altri prodotti di questo genere) perché fa concorrenza all’allattamento al seno, che è riconosciuto come “un bene primario”.
Ma non c’è solo questo: in 14 regioni su 20 le aziende non pagano alcun canone per la quantità di acqua effettivamente prelevata e imbottigliata, ma solo un “canone di coltivazione”, in pratica l’affitto del terreno all’interno del quale si estrae l’acqua.
E a fare affari d’oro sulla dabbenaggine dei nostri consumi sono i soliti noti: Nestlé, ad esempio, che vende nel mondo 19 miliardi di litri d’acqua e anche in Italia è leader del mercato. In Trentino imbottiglia tra i 90 e i 110 milioni di litri d’acqua (“Pejo fonte alpina”) ma paga al Comune di Peio meno di 30 mila euro l’anno. Uno scandalo.

Per difendere l’acqua degli acquedotti (buona, controllata, comoda e poco costosa) e garantirle un futuro forse è necessario limitare l’invadenza pubblicitaria delle acque minerali.

Mettiamola fuori legge. La pubblicità, non l’acqua minerale.
Voi che ne dite?

Se vi sembra un’ipotesi da approfondire e siete d'accordo con il nostro appello sostenetelo con il vostro nome.

Alcuni commenti

In Australia, terra vicina alla desertificazione, l'acqua del rubinetto, buonissima e che bevono tutti, te la danno per legge anche gratuitamente in ogni bar e ristorante! Una bottiglia intera fresca fresca! Solo qua con tutta l'acqua buona che abbiamo andiamo a pagarla!!
barbara tonoli

Ri-sottoscrivo l'appello con ri-confermata convinzione. Ho sempre bevuto acqua dal rubinetto dalla diga di Ridraculi: buona e ambientalista! Inoltro ad amici la campagna, come in precedenza. Ciao
Angela Ottaviani

Sarebbe opportuno far pagare alle aziende produttrici di acqua in bottiglia, non solo il canone, ma una quota supplementare su tutta l'acqua che prelevano per imbottigliarla, a danno dei cittadini (ved. caso Rocchetta. Tali quote dovrebbero poi essere impiegate per migliorare ed assicurare acqua potabile a tutti dal rubinetto di casa.
Stefania Stefanelli

utile sarebbe analizzare periodicamente le acque dei nostri rubinetti per ritornare a bere l'acqua corrente evitando l'enorme consumo di plastica derivante dall'acquisto di acqua in bottiglia che inevitabilmente subisce alterazioni chimiche.
maria santoro

Io bevo l'acqua del rubinetto; mi piacerebbe essere sicura che sia buona per la salute! Si potrebbe istituire un servizio d'informazione giornaliera che renda pubbliche le analisi dell'acqua.
Gaia Giuntini

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