L’industria dell’acqua imbottigliata è un primo esempio di come P.T Barnum,
non Adam Smith, dovrebbe essere incoronato santo patrono del capitalismo.
Fatta eccezione per la sua utilità nei casi di emergenza in zone lontane
durante disastri ed emergenze, l’acqua imbottigliata è soltanto un lusso di
cui si potrebbe fare a meno. Le preoccupazioni inerenti la sicurezza
dell’approvvigionamento dall’acquedotto pubblico su cui fanno leva i
rifornitori delle bottiglie di acqua sono del tutto immotivati. In realtà
l’immensa industria mondiale dell’acqua imbottigliata, cresciuta grazie a
questi falsi timori, sfrutta l’acqua pubblica, deturpa i paesaggi ed espone
i suoi fiduciosi consumatori a seri rischi per la salute.
Sospinta da immagini, pubblicitarie e sull’etichetta, di rupi montagnose e
torrenti cristallini, ogni bottiglia di comunissima acqua (insieme alle sue
varianti aromatizzate ed arricchite di vitamine e minerali) rappresenta una
caratteristica onnipresente della vita moderna. L’acqua imbottigliata più
che un prodotto è una moda. I suoi venditori di fumo hanno sapientemente
usato la pubblicità per trasformare banali prodotti in simboli di salute,
linea, giovinezza e bellezza, e vorrebbero perfino farci credere che quest’
acqua provenga da pure sorgenti.
Nel 1990, quasi due miliardi di galloni [oltre 7 miliardi di litri] di acqua
imbottigliata sono stati smerciati in tutto il mondo. Dal 2003 più di 30
miliardi di galloni sono stati consumati e le vendite (in quell’anno sono
stati fatturati 35 miliardi di dollari) sono continuate a salire. Decine di
milioni di consumatori oggi rifiutano l’acqua di rubinetto e si affidano
esclusivamente a quella confezionata. Per questo incomprensibile privilegio,
secondo il Consiglio di Difesa delle Risorse Naturali (NRDC, Natural
Resources Defense Council), essi pagano fra 240 e 10.000 volte il prezzo
dell’acqua di rubinetto - incluso 10-15 centesimi per bottiglia che servono
a coprire le spese pubblicitarie. Ciò che sorprende è che malgrado
l’impennata dei costi di gasolio, la maggior parte dei consumatori
nord-americani starebbero insomma sborsando senza motivo più per l’acqua
imbottigliata che per la benzina.
Approssimativamente, un quarto di tutta l’acqua imbottigliata corrispondente
al 40 per cento di quella venduta in America del nord è semplicemente acqua
municipale di rubinetto fatta scorrere attraverso filtri e trattata con
l’aggiunta di minerali o altri additivi. Il resto dell’acqua in bottiglia
che si trova nei centri commerciali è attinta da falde idriche (acque
sotterranee) molte delle quali sono già state intensamente svuotate da
questi prelievi di acqua.
I test per la sicurezza dell’acqua imbottigliata sono raramente richiesti o
effettuati, ma alcuni studi pubblicati indicano che metalli pesanti e altre
sostanze chimiche tossiche, così come batteri pericolosi per la salute, sono
stati rinvenuti con sorprendente frequenza nell’acqua imbottigliata che,
ironia della sorte, è commercializzata sulla base di una pretesa “purezza”.
Sia le contaminazioni chimiche che quelle batteriche tendono ad aumentare
quando l’acqua è depositata in bottiglie sigillate per un lungo periodo di
tempo.
I batteri possono passare attraverso i sistemi di filtraggio, che, se non
controllati accuratamente, possono contaminare loro stessi l’acqua che
avrebbero dovuto purificare. Uno studio olandese, condotto nel 2004, ha
trovato che il 40 per cento delle 68 acque minerali testate (e in commercio)
risultavano contaminate da batteri o da funghi. L’autore dello studio
avverte che i batteri nell’acqua confezionata possono minacciare la salute
di quei consumatori che hanno un sistema immunitario già compromesso e ha
sollecitato una più efficace regolamentazione sull’acqua in bottiglia. Uno
studio del 1993, pubblicato sul Canadian Journal of Microbiology e
uno studio successivo del 1998 hanno trovato che quasi il 40 per cento dei
campioni di acqua imbottigliata venduta in Canada dal 1981 fino al 1997
conteneva batteri in quantità superiore ai livelli di sicurezza richiesti.
L’acqua imbottigliata è responsabile di un enorme aumento di produzione di
bottiglie di plastica nel mondo. L’incremento della sua vendita non solo ha
coinciso ma può aiutarci a spiegare l’aumento del 56% nella produzione di
resina plastica fra il 1995 e il 2001 negli Stati Uniti ( da 32 milioni di
tonnellate a più di 50 milioni su base annua). Usando quantità critiche di
gas naturale e petrolio, le industrie produttrici di bottiglie di plastica
producono e rilasciano nell’ambiente circostante rifiuti tossici, inclusi
benzina, xilene, e ossidi di etile. Gli elementi cancerogeni e tossici che
costituiscono le bottiglie di plastica, come gli ftalati usati per rendere i
contenitori più flessibili, possono contaminare il contenuto durante il
trasporto o la permanenza nei magazzini. Praticamente in ogni parte del
mondo l’abbandono delle bottiglie di plastica è divenuto il principale
componente dei rifiuti sui bordi delle strade. Queste bottiglie inoltre
ingrossano le discariche e rilasciano pericolose tossine nell’aria e
nell’acqua quando sono bruciate nei contenitori di scarico o negli
inceneritori industriali. Nonostante le immagini deliberatamente ingannevoli
delle frecce circolari mostrate sulle bottiglie, nella maggior parte dei
luoghi dove vengono vendute, richiedendone la restituzione in appositi
contenitori, in realtà queste non vengono né riciclate né rimborsate.
Queste sconvolgenti informazioni, e molte di più, si trovano in un’ampia
rassegna sul business dell’acqua imbottigliata, In the Bottle, An Exposé
of the Bottled Water Industry, [Nella Bottiglia, una denuncia
dell’industria dell’acqua imbottigliata], (Istituto Polaris, Ottawa, 2005).
Grazie all’aver messo a fuoco le conseguenze derivanti dal trattare l’acqua
come una merce, In the Bottle è stato usato come fonte di
informazioni e come guida da gruppi politici e ambientalisti in Canada,
incluso il Council of Canadians and Kairos, il network canadese dei
cristiani progressisti. Curato dal direttore dell’istituto Polaris, Tony
Clarke, questa prima edizione di In The Bottle offre un assaggio di
quella che è solo da tempo una vasta strategia di vendita. Alla fine di ogni
capitolo Clarke invita a informarsi localmente e suggerisce ai lettori di
porre domande e richiedere risposte per email.
In the Bottle include inoltre alcuni fatti ben documentati sul boom
dell’acqua imbottigliata in tutto il mondo:
- Quasi un quinto di nord-americani usa acqua confezionata solo per
l’idratazione quotidiana.. I canadesi consumano più acqua imbottigliata che
caffè, te, succo di mela o latte. Nei due decenni scorsi la vendita di
quest’acqua è esplosa e ora supera di gran lunga quella delle bevande
analcoliche ed è prossima a tutte le altre fonti di entrate da bevande e
cibi.
- Quattro compagnie – due in U.S.A., Coca-cola e PepsiCo, e due in Europa,
Nestlé e Danone (i produttori dello yogurt Danone) – detengono le maggiori
vendite mondiali di acqua confezionata. L’acqua imbottigliata con i marchi
della Nestlé, quali Perrier, Poland springs, Pure Life, Calistoga e un’altra
decina, e quella con i marchi della Danone, quali l’Evian, la Crystal e
altri, viene pompata da falde acquifere naturali in molti paesi, qualche
volta prosciugandole, impoverendo le fonti di acqua locale, scatenando
proteste.
L’Aquafina della Pepsi (la più venduta nel nord America ) e la Dasani della
Coke sono il risultato del filtraggio e/o “ri-mineralizzazione” dell’acqua
di rubinetto. (A complicare il quadro, per licenza, commercializza in Nord
America alcuni dei marchi della Danone, compreso Evian e Sparkletts.
- Annunci pubblicitari, linguaggio e immagini sulle etichette sono spesso
madornali mistificazioni. Per esempio, secondo il rapporto Polaris, l’acqua
in bottiglia Alaska Premium Glacier “ è ricavata semplicemente dalla
conduttura dell’acqua municipale di Juneau, in Alaska, in modo specifico,
dal condotto 111241, che non è affatto un ghiacciaio [in inglese Glacier,
come sull’etichetta].
- In U.S.A. e in Canada, l’acqua confezionata è soggetta a controlli molto
meno rigorosi rispetto all’acqua di rubinetto . In Nord America i centinaia
di stabilimenti d’imbottigliamento dell’acqua (Nell’appendice di In The
Bottle si trova la lista di ben 70 di questi stabilimenti, le loro fonti
d’acqua e i marchi che producono ) sono monitorati da funzionari di salute
pubblica il cui numero è però esiguo. Riprendendo quello che si afferma in
un dossier del Consiglio di Difesa delle Risorse Naturali del 1999 (Bottled
Water: Pure Drink or Pure Hype? [Acqua imbottigliata : Bevanda pura o
pura invenzione?]) l’istituto Polaris fa osservare che questo staff
amministrativo dell’US Food and Drug Administration che ha il compito di
controllare le acque imbottigliate è composto da meno di due posti di lavoro
a tempo pieno.
- Di conseguenza, la maggior parte degli stabilimenti di imbottigliamento in
U.S.A. sono ispezionati solamente una volta ogni cinque o sei anni. La
Canadian Food Inspection Agency compie ispezioni sulle acque confezionate
circa ogni tre anni. Tuttavia le campagne pubblicitarie per la vendita delle
bottiglie di acqua invitano i consumatori a porsi domande sulla sicurezza
dell’acqua di rubinetto, che nei paesi sviluppati è costantemente
monitorizzata e mantenuta nei limiti stretti di qualità, cosa che sarebbe
impossibile per molte acque imbottigliate.
In più, per dimostrare l’irresponsabile strategia usata dai quattro
principali attori nel commercio dell’acqua imbottigliata, In The Bottle
viene svolta una convincente tesi per tenersi l’acqua pubblica. Informa pure
i suoi lettori sul penoso impiego della mastodontica cifra (12 miliardi di
dollari) derivata dalla vendita dell’acqua che nel 2002 ha prodotto appena
6.709 nuovi posti di lavoro, in maggior parte con bassa retribuzione.
Dal momento che questo dossier a favore dell’acqua pubblica elenca il danno
causato da quella confezionata, incluso l’impoverimento delle falde
acquifere, punto chiave per l’agricoltura, e la contaminazione con pesticidi
dell’acqua venduta in India (Coke) e il subappalto per il lavoro degli
schiavi in Burma (Pepsi), esso cerca di mitigare il quadro raccontando il
successo di campagne e di modelli di educazione che hanno svolto un’azione
correttiva sul fronte interno in USA e Canada.
Mentre il rapporto comprende molti grafici utili, pagine di note e ulteriori
statistiche provenienti da molte fonti, la cascata di informazione che In
The Bottle contiene non salta però subito all’occhio dall’indice. A
parte questo unico inconveniente, il dossier dell’istituto Polaris offre ai
lettori una pronta osservazione degli elementi base che costituiscono le
acque in bottiglia in un opuscolo interessante e invogliante a leggere.
Insieme a una perfetta strategia di distribuzione che mira a motivare e
unire la comunità, In The Bottle può certamente colpire e ispirare
abbastanza lettori da produrre un qualche utile cambiamento nella
popolazione nord-americana, inerente l’acqua, che molti di noi ritengono una
cosa scontata.
Il capitolo conclusivo di In The Bottle mette in evidenza promettenti
misure – la maggior parte delle quali richiede un’efficace regolamentazione
governativa – per ridurre i rischi alla salute e i danni ambientali causati
dalle acque imbottigliate. A parte l’ovvio primo passo che tutti possiamo
prendere, cioè stare lontano dalle acque in bottiglia, e incoraggiare gli
altri a farlo, il primo dei buoni proponimenti raccomandato in In The
Bottle è un adeguato stanziamento di fondi per ricostruire le
infrastrutture dell’acquedotto pubblico. Le future edizioni del rapporto
Polaris dovrebbero poi includere un resoconto sull’originale ma determinato
Movimento di liberazione dell’acqua attivatosi in Germania . I suoi membri,
dopo aver calcolato che più dell’uno per cento delle acque superficiali in
Europa è stata “imprigionata nelle bottiglie”, hanno invaso i supermercati e
i discount e versato il contenuto di tutte le bottiglie che potevano
afferrare, nelle fogne, nelle strisce di verde e nei canali ai bordi delle
strade. Hanno sperato così che “liberata” da quelle bottiglie l’acqua
sarebbe ritornata nel suo ciclo naturale e nei rubinetti per soddisfare la
sete di una umanità dissipatrice e per proseguire nello stesso tempo il suo
cammino non commerciale verso il mare.
Larry Lack è uno scrittore che vive a New Brunswick, Canada. Può
essere contattato all’indirizzo email lackward@nbnet.nb.ca
Larry Lack
Fonte: http://www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/lack07252006.html
25.07.2006
Traduzione per www.comedonchisciotte.org di PLACIDO
Archivio Acqua
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