Il 25 aprile è il 115º giorno del
Calendario Gregoriano (il 116º negli
anni bisestili). Mancano 250 giorni alla fine dell'anno.
In Italia è
festa nazionale in commemorazione della
liberazione dal
regime fascista. .
« Tu non sai
le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome. » |
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Nel corso della
seconda guerra mondiale, la Resistenza italiana (chiamata anche
Resistenza partigiana o più semplicemente Resistenza) sorse
dall'impegno comune delle ricostituite forze armate del
Regno
del Sud, di liberi individui, partiti e movimenti che, dopo l'armistizio
dell'8 settembre
1943 e la conseguente invasione dell'Italia
da parte della
Germania nazista, si opposero - militarmente o anche solo politicamente -
agli occupanti e alla
Repubblica Sociale Italiana, fondata da
Benito Mussolini sul territorio controllato dalle truppe germaniche.
Il movimento resistenziale - inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno
europeo della resistenza all'occupazione nazista - fu caratterizzato in Italia
dall'impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici (cattolici,
comunisti, liberali,
socialisti,
azionisti,
monarchici,
anarchici). I partiti animatori della Resistenza, riuniti nel
Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), avrebbero più tardi costituito
insieme i primi governi del dopoguerra.
La Resistenza costituisce il fenomeno storico nel quale vanno individuate le
origini stesse della
Repubblica italiana. Infatti, l'Assemblea
costituente, eletta il 2 Giugno
1946
contestualmente allo svolgimento del
referendum
istituzionale, fu in massima parte composta da esponenti dei partiti del CLN
(PCI, PSIUP, DC) che, in tale veste, elaborarono la
Costituzione, ispirata ai princìpi della
democrazia
e dell'antifascismo.
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« Se voi
volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra
Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri
dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto
un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani,
col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione. » |
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( Piero
Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla
Resistenza. Milano, 26 gennaio 1955)
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Generalità
Alla Resistenza presero parte gruppi organizzati e spontanei di diverse
estrazioni politiche, uniti nel comune intento di opporsi militarmente (ove
possibile collaborando con le truppe alleate) e politicamente al governo della
Repubblica Sociale Italiana (RSI) e degli occupanti
nazisti tedeschi. Ne scaturì la "guerra partigiana", conclusasi il
25 aprile
1945, quando
l'insurrezione armata proclamata dal
Comitato di liberazione nazionale per l'Alta Italia (CLNAI) consentì di
prendere il controllo di quasi tutte le città del nord del paese. Era l'ultima
parte di territorio italiano ancora occupata dalle truppe tedesche in ritirata
verso la
Germania e soggetta all'azione repressiva delle formazioni repubblichine
della Repubblica Sociale Italiana cui il movimento partigiano opponeva la
propria resistenza. La resa incondizionata dell'esercito tedesco si ebbe il
29 aprile,
anche se in alcune città come Genova le forze tedesche si erano già arrese alle
milizie partigiane nei giorni precedenti.
Per estensione, viene da taluni chiamato "Resistenza" anche il periodo che va
dagli anni
trenta (in cui presero vita i primi movimenti) alla fine della guerra,
inglobando nel concetto di resistenza ogni forma di opposizione alla
dittatura
di
Benito Mussolini. Si potrebbe affermare addirittura l'esistenza di un
movimento resistenziale ante litteram consistente nell'opposizione anche
armata all'ascesa del fascismo e alle violenze squadriste, tentata negli
anni venti
in particolare dalle forze di sinistra (socialisti, comunisti, anarchici,
sindacati).
Le opposizioni al regime
Partigiani in festa a Milano
Dopo l'omicidio del deputato socialista
Giacomo Matteotti (1924)
e la decisa assunzione di responsabilità da parte di Mussolini, l'Italia si
incammina verso un
regime
dittatoriale. Il sempre maggiore controllo e le persecuzioni degli
oppositori, a rischio di carcerazione e di
confino,
spinge l'opposizione ad organizzarsi in clandestinità in Italia e all'estero,
creando una rudimentale rete di collegamenti e gettando le basi per una
struttura operativa potenzialmente armabile.
Le attività clandestine tuttavia non producono risultati di rilievo, restando
frammentate in piccoli gruppi non coordinati, incapaci di attaccare o almeno di
minacciare il regime se si esclude qualche attentato realizzato in particolare
dagli anarchici. La loro attività si limitava al versante
ideologico:
era copiosa la produzione di scritti, in particolare tra la comunità degli esuli
antifascisti, che però di rado raggiungevano le masse. Le uniche forze che
mantengono una pur labile struttura clandestina in patria sono quelle legate ai
comunisti.
Solo la guerra, e in particolare lo sfascio dello Stato innescato dai fatti
dell'estate del 1943, offre ai clandestini l'occasione di entrare in contatto
(magari immediato) fra loro, in ciò aiutati talvolta dalle
forze angloamericane che ne compresero la strategica importanza per le sorti
del conflitto e che provvidero ad armarle e aiutarle anche per gli aspetti
logistici. Gli esponenti della Resistenza comprendevano allora i militanti dei
partiti di sinistra, i repubblicani e i
popolari che erano stati perseguitati dal fascismo all'inizio degli anni
venti e altre forze di carattere liberale che erano state defenestrate col
consolidamento del regime dittatoriale.
Il CLN
Il movimento partigiano, prima raggruppato in bande autonome, fu
successivamente principalmente organizzato dal
Comitato di liberazione nazionale (CLN), diviso in CLNAI (Comitato di
Liberazione Nazionale Alta Italia) con sede nella Milano occupata e il CLNC
(Comitato di Liberazione Nazionale Centrale). Il CLNAI, presieduto da 1943 al
1945 da
Alfredo Pizzoni, coordinò la lotta armata nell’Italia occupata, condotta da
brigate e divisioni, quali le
Brigate Garibaldi, costituite su iniziativa del partito comunista, le
Brigate Matteotti, legate al partito socialista, le Brigate
Giustizia e Libertà, legate al
Partito d'Azione, le Brigate Autonome, composte principalmente di
ex-militari e prive di rappresentanza politica, talvolta simpatizzanti per la
monarchia
e spesso legate ad idee
imperialiste, riportate come
badogliani, ma talvolta anche dichiaratamente apartitiche come l'XI
Zona Patrioti guidata dal Comandante
Manrico Ducceschi ("Pippo").
Al di fuori del controllo del CNL e dei partiti che vi si riconoscevano,
agirono altri piccoli gruppi partigiani, come i
trockijsti di
Bandiera Rossa Roma, di cui ben 68 appartenenti vennero fucilati alle
Fosse Ardeatine.
Specialmente nel periodo dall'8
settembre 1943
(data della proclamazione dell' armistizio e conseguente
proclama Badoglio) al
25 aprile
1945 il territorio
italiano occupato dai nazisti visse una vera e propria guerra nelle retrovie.
L'azione della Resistenza italiana come guerra patriottica di liberazione
dall'occupazione tedesca, implicava anche la lotta armata contro i fascisti e
gli aderenti alla
RSI che sostenevano gli occupanti.
Il ruolo giocato nella guerra
Ad essere coinvolti in quella che viene anche chiamata guerra partigiana,
si calcola siano stati dalle poche migliaia nell'autunno del 1943 fino ai circa
300.000 dell'aprile del 1945 gli uomini armati che, specialmente nelle zone
montuose del centro-nord del Paese, svolsero attività di
guerriglia
e controllo del territorio che via via veniva liberato dai nazifascisti.
Nell'Italia centro-meridionale il movimento partigiano non ebbe altrettanta
crucialità militare, sebbene nelle aree conquistate dagli Alleati nella loro
avanzata verso settentrione si riunissero i principali esponenti politici che da
lontano coordinavano le azioni militari partigiane, insieme alle armate alleate.
Infatti l'esercito anglo-americano aveva sospinto sulla
linea
Gustav già dal
12 ottobre
1943 le forze tedesche che risalivano verso il nord.
Con mezza penisola liberata e la restante parte ancora da liberare, con
violente tensioni sociali ed importanti scioperi operai che già nella primavera
del 1944 avevano
paralizzato le maggiori città industriali (Milano,
Torino e
Genova), le
popolazioni del nord Italia si preparavano a trascorrere l'inverno più lungo e
più duro, quello del 1945. Sulle montagne della
Valsesia,
sulle colline delle
Langhe e sulle asperità dell'Appennino
Ligure le formazioni partigiane erano ormai pronte a combattere.
I GAP e le SAP
Nelle città cominciarono a costituirsi nuclei partigiani clandestini
denominati GAP (Gruppi
di azione patriottica) formati ognuno da pochi elementi pronti a svolgere
azioni di
sabotaggio e di
guerriglia
nonché di
propaganda politica. Accanto ad essi, nei principali centri urbani sorsero
all'interno delle fabbriche le SAP (Squadre
di azione patriottica), ampi gruppi di sostegno alle formazioni partigiane
belligeranti, con l'obiettivo specifico di rendere più ampia possibile la
partecipazione popolare al momento insurrezionale. Attriti sorsero, però, a
questo punto su quale sarebbe stato per il movimento partigiano l'interlocutore
privilegiato, politico o militare che fosse, italiano oppure alleato.
Bologna festeggia la Liberazione
Sotto questo aspetto a poco era servita la militarizzazione "ufficiale" dei
partigiani, avvenuta nel giugno 1944 con l'istituzione - riconosciuta sia dai
comandi militari alleati che dal governo nazionale - del
Corpo volontari della libertà (o Corpo italiano di liberazione, CIL). A capo
dei circa 200 mila combattenti che formavano il nuovo esercito italiano era
stato posto il generale
Raffaele Cadorna Jr, con vicecomandanti l'esponente del
Partito Comunista Italiano
Luigi
Longo e quello del
Partito d'Azione
Ferruccio Parri).
Mentre si cominciava comunque a guardare al futuro, un altro punto di
contrasto era costituito, appunto, da quello che sarebbe accaduto nel
dopoguerra,
che veniva avvertito ormai come prossimo. Se da un lato la guerra di liberazione
accomunava diverse forze politiche, sia pure nella clandestinità e nella
diversità ideologica, l'obiettivo successivo - la nuova Italia - era fonte di
divergenza: i partiti della sinistra - peraltro divisi al loro interno -
paventavano particolarmente un ripristino dello stato liberale prefascista; dal
canto suo, il Partito d'Azione sosteneva la necessità che alle organizzazioni
partigiane venisse attribuito un ruolo di rilievo nell'edificazione di una nuova
democrazia
in grado di sovvertire il vecchio ordinamento monarchico.
La monarchia, del resto,
continuava ad essere sostenuta anche dai gruppi partigiani che si riconoscevano
nell'ala
democratico-cristiana, liberale ed autonoma, oltre che dai soldati dell'esercito
che non avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana.[citazione necessaria]
Dall'insurrezione alla liberazione
Il 19
aprile, mentre gli Alleati dilagavano nella valle del Po, i partigiani su
ordine del CLN diedero il via all'insurrezione generale. Dalle montagne, i
partigiani confluirono verso i centri urbani del Nord Italia, occupando
fabbriche, prefetture e caserme. Mentre avveniva ciò, le formazioni fasciste si
sbandavano e le truppe tedesche allo sfacelo battevano in ritirata. Si consumava
il disfacimento delle truppe nazifasciste, che davano segni di cedimento già
dall'inizio del 1945 e i cui vertici si preparavano alla resa agli Alleati.
Molti centri (quali
Torino,
Genova e
Bologna)
vennero liberati ancora prima dell'arrivo degli alleati, rendendo l'avanzata di
questi più rapida e meno onerosa in termini di vite e rifornimenti. In molti
casi avvennero drammatici combattimenti strada per strada; i resti dell'esercito
tedesco e gli ultimi irriducibili fascisti della
Repubblica Sociale Italiana sparavano asserragliati in vari edifici o
appostati su tetti e campanili su partigiani e civili. Tra essi e le forze
partigiane avvennero talvolta vere e proprie battaglie (come a
Firenze nel
settembre 1944), ma solitamente la loro resistenza si ridusse a una
disorganizzata guerriglia, per esempio a
Parma e a
Piacenza.
Il 27
aprile 1945,
Mussolini, indossante la divisa di un soldato tedesco, fu catturato a
Dongo, in
prossimità del confine con la
Svizzera,
mentre tentava di espatriare assieme all'amante
Claretta Petacci. Riconosciuto dai partigiani, fu fatto prigioniero e
giustiziato il giorno successivo
28 aprile
a
Giulino di Mezzegra, sul
lago di
Como; il suo cadavere venne esposto impiccato a testa in giù, accanto a
quelli della stessa Petacci e di altri gerarchi, in
piazzale Loreto a
Milano, ove fu
lasciato alla disponibilità della folla. In quello stesso luogo otto mesi prima
i nazifascisti avevano esposto, quale monito alla Resistenza italiana, i corpi
di quindici partigiani uccisi.
Il 29
aprile la resistenza italiana ebbe formalmente termine, con la resa
incondizionata dell'esercito tedesco, e i partigiani assunsero pieni poteri
civili e militari.
Il 30
aprile 1945 il
Comitato di liberazione nazionale Alta Italia ebbe a commentare che
|
« la
fucilazione di Mussolini e dei suoi complici è la conclusione necessaria di
una fase storica che lascia il nostro paese ancora coperto di macerie
materiali e morali. » |
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Il 2 maggio
il generale britannico
Alexander ordinò la smobilitazione delle forze partigiane, con la consegna
delle armi. L'ordine venne in generale eseguito e le armi in gran parte
consegnate, in tempi diversi nei vari luoghi in dipendenza dell'avanzata
dell'esercito alleato, della liberazione progressiva del territorio nazionale, e
del conseguente passaggio di poteri al governo italiano; una parte delle forze
partigiane fu arruolato nella polizia ausiliaria ad hoc costituita.
Alcune cifre sulla Resistenza
Secondo diverse fonti il numero di partigiani, partendo dalle poche migliaia
dell'autunno del 1943, raggiunse alla fine della guerra una consistenza di circa
300.000 uomini. Molti studiosi
pongono però dei dubbi sul reale numero di partigiani attivi alla fine della
guerra[citazione necessaria],
riportando cifre ben più modeste relative agli uomini e alle donne impegnati
direttamente nella lotta armata, sostenendo che tra i circa 300.000 che si
definiranno partigiani dopo il 25 aprile molti siano semplicemente simpatizzanti
della resistenza che, pur non partecipando direttamente alle azioni partigiane,
avevano fornito (rischiando comunque la vita) supporto e rifugio e che in alcuni
casi vennero conteggiati tra i partigiani anche ex-fascisti ed ex-repubblichini
saliti sul carro del vincitore grazie a conoscenze, alla
corruzione
o alla
delazione di altri sostenitori della dittatura fascista o sostenitori della
Repubblica Sociale Italiana (secondo le loro indicazioni non necessariamente
veritiere).
Va ricordato poi che dopo il bando del febbraio 1944, che prevedeva la
pena
di morte per i renitenti alla leva e ai
disertori, seguito nell'aprile dello stesso anno da un altro decreto che
estendeva la pena di morte anche a chi aveva dato appoggio o rifugio alle
brigate partigiane, e dopo diversi casi di arruolamenti forzati da parte di
soldati della RSI, molti giovani preferirono cercare rifugio tra le formazioni
partigiane rispetto al partire per una guerra che non condividevano (e che molti
ritenevano ormai persa) o al rischiare di essere catturato e giustiziato in
città insieme ai propri familiari colpevoli di avergli dato rifugio, pur non
condividendo sempre gli orientamenti politici che animavano chi aveva dato vita
a queste formazioni.
Alla lotta partigiana in Italia aderirono anche alcuni gruppi di disertori
tedeschi, il cui numero è difficile da valutare in quanto, per evitare
rappresaglie contro le loro famiglie residenti in Germania, usavano nomi fittizi
e spesso venivano considerati dai loro reparti d'origine come dispersi e
non disertori per una questione d'immagine. Un caso emblematico di
adesione alla lotta partigiana è quello del capitano
Rudolf Jacobs.In certe zone vi fu anche la presenza, notevole, di soldati
sovietici passati dopo la fuga dai campi di prigionia, con i partigiani, casi
eclatanti sono
Fëdor_Andrianovič_Poletaev e
Nikolaj Bujanov, entrambi decorati con medaglia d'oro al valor militare.
Decine di migliaia di caduti: il tributo di sangue
dei partigiani
Si calcola che i caduti per la Resistenza italiana (in combattimento o uccisi
a seguito della cattura) siano stati complessivamente circa 44.700; altri 21.200
rimasero mutilati ed invalidi; tra partigiani e soldati regolari italiani
caddero combattendo almeno in 40.000 (10.260 della sola
Divisione Acqui impegnata a
Cefalonia
e a Corfù);
Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, mentre 70 mila fecero parte
dei Gruppi di difesa della donna; 4.653 di loro furono arrestate e
torturate.
2.750 furono deportate in
Germania,
2.812
fucilate o
impiccate; 1.070 caddero in combattimento; 15 vennero decorate con la
medaglia d'oro al valor militare.
Dei circa 40.000 civili
deportati, per la maggior parte per motivi politici o razziali, ne
torneranno solo 4.000. Gli
ebrei deportati nei
lager furono più di 10.000; dei 2.000 deportati dal
ghetto di Roma il
16 ottobre
'43 tornarono vivi
solo in quindici.
Tra i soldati italiani che dopo l'8 settembre decisero di combattere contro i
nazifascisti sul territorio nazionale continuando a portare la divisa morirono
in 45.000 (esercito 34.000, marina 9.000 e aviazione 2.000), ma molti dopo
l'armistizio parteciparono alla nascita delle prime formazioni partigiane (che
spesso erano comandate da ex ufficiali).
Furono invece 40.000 i soldati che morirono nei
lager nazisti, su un totale di circa 650.000 che fu deportato in
Germania e
Polonia dopo
l'8
settembre e che, per la maggior parte (il 90% dei soldati e il 70% di
ufficiali), rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della RSI
in cambio della liberazione.
Si stima che in Italia nel periodo intercorso tra l'8 settembre 1943 e
l'aprile 1945 le forze tedesche (sia la
Wehrmacht
che le
SS) e le forze della Repubblica Sociale Italiana compirono più di 400
stragi
(uccisioni con un minimo di 8 vittime), per un totale di circa 15.000 caduti tra
partigiani, simpatizzanti per la resistenza, ebrei e cittadini comuni.
Processi e copertura ai nazifascisti nel
dopoguerra
Per diversi motivi molti procedimenti giudiziari relativi a queste stragi non
furono mai portati avanti, in parte a causa di tre successive amnistie. La prima
intervenuta il
22 giugno
1946 detta "amnistia
Togliatti"[1];
la seconda approvata il
18
settembre 1953
dal
governo Pella che approvò l'indulto
e l'amnistia
proposta dal
guardasigilli
Antonio Azara per i tutti i reati politici commessi entro il
18 giugno
1948,[2];
la terza approvata il
4 giugno
1966.[3]
Inoltre la
Germania Ovest era dal
1952 alleata con
l'Italia sotto l'ombrello della
NATO, per cui non risultava politicamente opportuno dare risalto ad episodi
ormai ritenuti parte del passato coinvolgenti cittadini tedeschi.
C'era poi il rischio giudicato imbarazzante per le istituzioni italiane che il
precedente di un processo in cui si chiedeva la consegna dei
criminali di guerra tedeschi avrebbe poi obbligato l'Italia a consegnare a
Stati esteri o a processare internamente i responsabili di crimini di guerra
commessi dalle forze italiane durante il
ventennio fascista e il periodo della Repubblica Sociale Italiana, sia in
territorio nazionale che straniero, molti dei quali dopo la guerra erano stati
riassorbiti all'interno dell'esercito o delle pubbliche amministrazioni.
Infine durante gli
anni sessanta
seicentonovantacinque fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste in Italia
vennero, per le ragione sopraesposte, "archiviati provvisoriamente" dal
procuratore generale militare e i vari procedimenti furono bloccati, garantendo
quindi l'impunità per i responsabili ancora in vita.
Solo nel 1994,
durante la ricerca di prove a carico di
Erich
Priebke per la
strage delle Fosse Ardeatine, venne scoperta l'esistenza di questi fascicoli
(trovati in quello che giornalisticamente è stato definito l' Armadio della
Vergogna) e alcuni dei procedimenti furono riaperti, ad esempio quello a
carico di
Theodor Saevecke, responsabile della
strage di Piazzale Loreto a
Milano, ove
furono fucilati per rappresaglia 15 tra partigiani ed antifascisti. La maggior
parte delle indagini e delle denunce contenute nei fascicoli non portarono
tuttavia ad un processo, poiché molti degli indagati risultarono essere non
perseguibili in quanto già morti o per l'intervenuta
prescrizione dei reati loro ascritti.
La transizione tra la fine delle guerra e
l'elezione del nuovo parlamento
Con l'avanzare del territorio liberato il potere fu preso dai partiti riuniti
nel Comitato di Liberazione Nazionale CLN, che coordinavano la resistenza, una
coalizione di 6 partiti uniti nella Resistenza: azionisti, comunisti,
democristiani, demolaburisti, liberali, e socialisti.
Il Comitato esprimeva i governi e attraverso il Comando unificato coordinava
la Resistenza. I governi che guidarono l'Italia nel
trapasso furono i governi di
Ivanoe Bonomi, presidente del Consiglio dal
18 giugno
1944 al
26 aprile
1945 e
Ferruccio Parri, presidente dal
21 giugno
1945 al
4 dicembre
1945 preposti dal
Comitato di Liberazione Nazionale CLN.
Nell'Italia liberata questi governi ottennero progressivamente il controllo
dell'apparato civile e militare dello stato, in aggiunta al controllo delle
forze della Resistenza di cui ab origine disponevano, avevano quindi
poteri assai vasti, quasi dittatoriali.
Tuttavia nel trapasso tra la guerra e la formazione della repubblica
costituzionale, vi furono dei momenti complessi, nei quali essi furono spesso
scavalcati dalle singole componenti che li esprimevano.
Le esecuzioni post-conflitto e le tensioni in seno
alla Resistenza
|
« Molta
rabbia si era accumulata negli animi. Era impossibile che non esplodesse
dopo il 25 aprile. Violenza chiama violenza. I delitti che hanno colpito i
fascisti dopo la Liberazione, anche se in parte furono atti di giustizia
sommaria, non sono giustificabili, ma sono comunque spiegabili con ciò che
era avvenuto prima e con il clima infuocato dell'epoca. I fascisti non hanno
titolo per fare le vittime.[4] » |
|
|
Diverse fonti stimano
nell'ordine delle poche decine di migliaia le vittime di parte fascista[citazione necessaria]
delle esecuzioni ordinate dalle formazioni resistenziali (comprese le condanne a
morte di esponenti del partito fascista decise dal
CLNAI subito dopo la liberazione di Milano) o eseguite da gruppi ed elementi
facenti riferimento al movimento partigiano, ma di fatto non si hanno cifre
precise su questi fatti.
I governi espressione della Resistenza adottarono una serie di provvedimenti
per identificare i responsabili di abusi (o presunti tali) ed efferatezze
commesse negli anni di guerra. Furono creati organi di indagine e tribunali
specifici per sanzionare tali comportamenti: erano Corti d'Assise straordinarie
sotto la presidenza di un giudice di ruolo nominato dai presidenti delle Corti
d'Appello (anche
Oscar Luigi Scalfaro ne fece parte). Essi agirono con prontezza e severità,
si ebbero numerose condanne a morte (eseguite) o a lunghe pene detentive.
I governi dell'Italia liberata furono spesso scavalcati fu nel comportamento
di partigiani che non volevano smobilitare, non accettando una normalizzazione
che dava impunità a numerosi criminali fascisti. Essi usarono il potere locale,
che si erano guadagnati nella lotta di liberazione, autonomamente e spesso in
contrasto con le direttive del governo espressione del
Comitato di Liberazione Nazionale per effettuare una serie di esecuzioni,
che proseguirono circa fino al 1949.
Successivamente alla "normalizzazione" post-bellica, anche un alcuni
partigiani vennero sottoposto a processi per presunte "stragi" e "assassinii"
compiuti nella Liberazione: il tema della persecuzione dei partigiani da parte
della magistratura e delle forse politiche su cui si fondava la giovane
repubblicana divenne un simbolo per molte forse di sinistra, soprattutto causa
lo stridente contrasto con l'impunità di cui godettero la maggior parte degli
ex-fascisti che si erano macchiati di reati simili, quando non più gravi.
Le vendette colpirono principalmente chi si era reso responsabile dei
massacri del periodo squadrista, dell'entrata in guerra del Paese con le
tragedie che ne sono conseguite, della deportazione di decine di migliaia di
italiani in Germania (circa 650 000 militari e 40 000 civili, tra cui 7 000
ebrei), delle torture e delle persecuzioni anche indiscriminate condotte dagli
occupanti nazisti e dai loro alleati "repubblichini", tuttavia non mancarono
violenze di altro tipo che sfruttarono le tensioni dell'immediato dopoguerra
solo come copertura.
Le ragioni di questi comportamenti sono molteplici, si può ritenere che i
partigiani temessero da parte dello Stato una punizione poco efficace o peggio
una totale impunità verso i gerarchi fascisti che si erano macchiati di efferate
azioni contro il popolo italiano, da cui nacque la sensazione di resistenza
tradita.
Questi timori risultarono spesso fondati (quasi sempre nel caso degli organi
militari e di polizia), in quanto i governi successivi effettuarono una
de-fascistizzazione molto blanda soprattutto nella pubblica amministrazione,
provocata da necessità politiche di pacificazione nazionale che ebbero il loro
culmine nell'amnistia firmata dall'allora
Ministro di
Grazia e Giustizia[5]
Togliatti il 22 giugno
1946 seguita, il 7
febbraio 1948, da
un decreto del sottosegretario alla presidenza
Andreotti con cui si estinguevano i pochi giudizi ancora in corso dopo
l'amnistia.
Si possono citare tra i tanti esempi il caso del fascista
commissario-torturatore
Gaetano Collotti (capo della famigerata "banda Collotti" attiva nel
Nord-Est), premiato dopo la guerra con un'onorificenza militare(per questo
motivo
Ercole Miani torturato proprio da Collotti rifiutò la medaglia d'oro al
valor militare,assegnatagli postuma); il caso del funzionario di polizia che
aiutò a stendere gli elenchi per la strage delle
fosse Ardeatine che fece carriera dopo la Liberazione; il caso analogo dei
funzionari fascisti che collaborarono alla cattura di
Giovanni Palatucci (il commissario di polizia che aiutò la fuga di migliaia
di ebrei); il caso del comandante della
X MAS della RSI
Junio Valerio Borghese, i cui uomini si erano macchianti di numerosi ed
efferati crimini durante la repressione della lotta partigiana, che venne
condannato a soli dodici anni di carcere per "collaborazionismo" di cui
nove furono condonati per interessamento e pressioni dei servizi segreti
statunitensi che lo avevano arruolato, permettendo la sua scarcerazione subito
dopo il processo e il suo ingresso nella vita politica del paese come presidente
onorario del
MSI.
Va anche ricordato che numerose bande armate fasciste operanti durante la RSI
furono composte essenzialmente da efferati criminali e che numerosi effettivi
delle forze armate fasciste si fecero strumento dei nazisti, talora al di là
degli stessi desideri dei loro padroni, consumando innumerevoli atti di
indicibile ferocia.
Le diverse anime della Resistenza
Va sottolineato che la Resistenza antinazista fu un fenomeno generale,
presente in quasi tutti i paesi controllati dalla Germania, a partire dalla
Francia e che la parte finale della guerra vide il convergere sulla Germania
dei sovietici da est e degli Alleati da ovest.
Nella fase finale della guerra essi erano ancora alleati ma si vedevano
chiare le tensioni per la suddivisione dell'Europa post-bellica in sfere di
influenza, sia militare sia economica sia ideologica e di concezione della forma
dello Stato. Nei paesi liberati dai sovietici si impose sempre il loro modello,
nei paesi liberati dagli angloamericani si impose sempre il loro.
Non sempre la divisione fissata con agli accordi di Yalta era accettata dalle
parti in causa. In due paesi liberati dagli Anglo-Americani, la Grecia e
l'Italia, le maggiori forze della Resistenza inclinavano verso il modello
sovietico, di cui tra l'altro non erano all'epoca noti alcuni aspetti. Sia in
Grecia sia in Italia queste aspirazioni dei comunisti vennero frustrate
dall'instaurazione di uno Stato più o meno democratico basato su un'economia di
tipo capitalistico.
Viceversa in
Jugoslavia l'esercito
partigiano guidato da
Tito instaurò un regime di tipo comunista nonostante il Paese fosse stato a
Yalta parzialmente attribuito al blocco occidentale.
Nella Resistenza italiana vi erano (in forma più o meno esplicitata) due
correnti maggiori di pensiero: una che vedeva la Resistenza come braccio armato
di un "nuovo
Risorgimento" avente lo scopo di espellere dall'Italia i tedeschi e
rovesciare i loro alleati fascisti, ripristinando il regime pre-fascista o
comunque liberale e democratico, basato su una democrazia parlamentare di tipo
occidentale, ed una più decisamente orientata a sinistra, in genere
filosovietica, che considerava (pur in contrasto con le indicazioni ufficiali
delle direzioni nazionali dei principali partiti di sinistra) la vittoria
militare solo un presupposto per un nuovo ordine politico in Italia basato su
qualche forma di
comunismo,
come si pensava sarebbe avvenuto nei paesi assegnati a
Yalta all'area di influenza sovietica.
In verità, questa ultima interpretazione della Resistenza non era condivisa
da tutti i dirigenti del
PCI, in particolare
Palmiro Togliatti, aveva impresso a partire dal 1944 (e non senza incontrare
una certa opposizione di alcuni elementi della base) una forte moderazione della
linea politica del PCI arrivando addirittura (con la cosiddetta
svolta di Salerno dell'aprile
1944) a dichiarare
secondaria la questione repubblica-monarchia che divideva in quel periodo il
fronte antifascista.
Era tuttavia diffusa tra i militanti comunisti l'idea dell'"ora X", ossia
l'illusione che dietro l'atteggiamento togliattiano di accettazione della
democrazia capitalista si nascondesse un'astuta manovra tattica volta a
scatenare, al momento opportuno (l'ora X), un'insurrezione comunista.
Questa parte "rivoluzionaria" della Resistenza, in molti casi militarmente
maggioritaria, non considerava finita la sua funzione armata con la vittoria
dell'aprile 1945 e
la battaglia continuava, assumendo il carattere di lotta rivoluzionaria,
eventualmente in forme nuove, con un parziale spostamento dell'identità degli
avversari.
Anche da ciò derivò l'elevato numero delle vittime, principalmente fasciste,
ma anche appartenenti a brigate partigiane di diverso colore politico (fiamme
verdi, democristiani, liberali), preti e in molti casi semplici esponenti delle
classi sociali a loro non favorevoli in caso di scontro aperto (perciò si è
anche parlato di una forte componente di
lotta di classe all'interno del movimento resistenziale).
Nei mesi seguenti si si ebbero fatti sanguinosi, che con intensità calante
proseguirono per alcuni anni. Talvolta i responsabili o i semplici accusati di
questi omicidi nel dopoguerra trovavano rifugio o venivano fatti espatriare in
paesi filosovietici come la
Cecoslovacchia o la
Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia.
Tuttavia i sovietici, rispettando le spartizioni tra i due blocchi prese a
Yalta, non promisero alcun appoggio ad un tentativo di presa armata del potere e
il risultato negativo del tentativo rivoluzionario in Grecia smorzò molto il
movimento. Lo scontro all'interno della sinistra comunista perdurò fino alla
elezioni del
18 aprile 1948,
quando fu del tutto chiaro che l'Italia era ormai saldamente inserita nel blocco
occidentale, contrapposto a quello sovietico nell'ambito della nascente
Guerra Fredda.
Episodi particolari di scontri all'interno del
movimento resistenziale
-
La Strage della Missione Strassera, avvenuta il
26
novembre 1944.
-
Eccidio di Porzûs, avvenuto il
7
febbraio 1945.
- L'omicidio di
Mario Simonazzi, il comandante Azor[6]
[7],
cattolico militante nelle
SAP, ucciso
probabilmente a causa della sua popolarità, quasi certamente qualche giorno
prima della liberazione (il corpo venne ritrovato alcuni mesi dopo) e
l'agguato subito il
27
gennaio 1946
dal giornalista
Giorgio Morelli, che accusò dell'omicidio Azor i comunisti locali. Morelli
morì a sua volta qualche tempo dopo a seguito delle ferite riportate
nell'attentato del quale era rimasto vittima
- 10 maggio 1945, dottor Carlo Testa, membro del Cln per la Democrazia
Cristiana assassinato a Bomporto (Modena) a raffiche di mitra.
Episodi particolari di esecuzioni sommarie dopo la
fine della guerra
Città decorate al valor militare per il contributo
dato alla guerra di liberazione
Alla fine della guerra di liberazione la neonata Repubblica ha sentito
l'obbligo di segnalare come degni di pubblico onore gli autori di atti di
eroismo militare (come riporta il Regio Decreto 4 novembre 1932, n. 1423 e
successive modificazioni, oltre che ai singoli combattenti, anche alle
istituzioni territoriali, le Città, i Comuni, intere Regioni, Università, con la
decorazione al
valor militare.
Note
- ^ Tale amnistia
promulgata con il D.P.R. 22 giugno 1946, n. 4, il cui testo è disponibile
sul sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo:
italgiure lex 139245 , comprendeva i reati comuni e politici, compresi
quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi ivi compreso il
concorso in omicidio, pene allora punibili fino ad un massimo di cinque
anni. I reati commessi al Sud dopo l'8
settembre 1943
e l'inizio dell'occupazione militare
alleata
al Centro e al Nord.[1]
[2]
- ^
D.P.R 19 dicembre 1953, n. 922, testo disponibile sul sito della
Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo
- ^ D.P.R. 4
giugno 1966, n. 332, testo disponibile dal sito della Corte Suprema di
Cassazione all'indirizzo:
http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1966/lexs_39092.html
- ^ Ermanno
Gorrieri e Giulia Bondi, Ritorno a Montefiorino - Dalla Resistenza
sull'Appennino alla violenza del dopoguerra, il Mulino, Bologna, 2005,
pag. 183.
- ^ Il Ministero
di Grazia e Giustizia cambiò la propria denominazione che aveva sin dalla
sua nascita con l'entrata in vigore della riforma
Bassanini sull'organizzazione del
Governo
quando, con il
D.P.R. 6 marzo 2001 n. 55, assunse quella attuale di
Ministero della Giustizia
- ^ Massimo
Storchi, Sangue al bosco del Lupo. Partigiani che uccidono partigiani. La
storia di Azor (ISBN
9788874240593)
- ^ Daniela Anna
Simonazzi, AZOR La Resistenza incompiuta di un comandante partigiano
Dettaglio
Filmografia
Letteratura sulla Resistenza
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni
Lapide ad ignominia
Piero Calamandrei, presso il Comune di Cuneo, 1952
Lo stesso testo appare dal 12 agosto 1993 su una lapide nella piazza
di S.Anna di Stazzema, luogo dell'eccidio
del 12 agosto 1944.
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
Più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
23/04/2008 Archivio Giornata della Liberazione - Resistenza Archivio Giornata della Liberazione - Resistenza...
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