Tasso di inflazione nei diversi paesi nel 2007
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« Inflazione
significa essere povero con tanti soldi in tasca. » |
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In ambito economico il termine inflazione (dal
latino inflatio-onis = gonfiore) indica propriamente un incremento
della quantità di moneta circolante. Benché il termine non coincida in senso
stretto con l'aumento dei prezzi dei beni di consumo e dei servizi
(rappresentandone semmai una delle possibili cause) viene comunemente
impiegato per indicare proprio questo fenomeno.
In economia
Vi sono diverse possibili cause dell'inflazione. L'aumento dell'offerta di
moneta
superiore alla domanda, stimolando la domanda di beni e servizi e gli
investimenti, è unanimemente considerata dagli economisti una causa
dell'aumento dei prezzi nel lungo periodo. Altre cause sono l'aumento dei
prezzi dei beni importati, l'aumento del costo dei fattori produttivi e dei
beni intermedi, in seguito all'aumento della domanda o per altre ragioni.
Nell'ambito dell'aumento del costo dei fattori produttivi, è significativo il
ruolo svolto dall'aumento del costo del lavoro. Il costo del lavoro aumenta
sotto la spinta della domanda, ma anche in seguito alle rivendicazioni
salariali, a meccanismi automatici o semiautomatici di adeguamento di salari e
stipendi a precedenti aumenti dei prezzi e al rinnovo dei contratti di lavoro.
L'aumento del livello generale dei prezzi determina una perdita di
potere d'acquisto della moneta: con la stessa quantità di denaro si può
cioè acquistare una minore quantità di beni e servizi. A titolo
esemplificativo, 1
Lira italiana del
1861 (la lira coniata al momento della proclamazione del
Regno d'Italia) equivale ad oltre 6.000 lire del
1999 e ad oltre 3
euro del
2006.
Tuttavia bisogna riconoscere che il fenomeno dell'inflazione permette al
sistema di raggiungere alcuni obiettivi importanti ai fini dell'equilibrio
economico.
Generalmente infatti, questo processo risulta vantaggioso per i soggetti in
posizione debitoria, ed in particolare per le imprese (che frequentemente
attingono capitali per finanziamenti) ed anche per lo Stato, che trae
beneficio poiché lo stesso denaro avuto in prestito in precedenza, al momento
di effettuare la restituzione ha un valore reale minore.
Indicando con p(t) il livello generale dei prezzi, l'inflazione è la sua
derivata prima rispetto al tempo, ovvero la velocità con cui il livello medio
dei prezzi cresce:
-
La derivata può essere positiva, negativa, raramente nulla. L'opposto
dell'inflazione, cioè la diminuzione continuativa del livello generale dei
prezzi, prende il nome di
deflazione.
L'incremento del livello generale dei prezzi espresso in termini
percentuali è il
tasso d'inflazione.
Il calcolo dell'inflazione
Il livello generale dei prezzi viene misurato in economia attraverso
l'utilizzo di
numeri indice.
Viene definito un insieme di beni, detto
Paniere,
rappresentativo dei beni e servizi di cui si vuol calcolare l'aumento dei
prezzi. Si misura la somma di denaro necessaria per comperare tali beni e
servizi. La misura viene ripetuta in un secondo tempo e quindi si procede al
calcolo dell'aumento (o diminuzione) percentuale del valore del paniere.
L'uso di numeri indice prevede l'uso di proporzioni. Fatto pari a 100 il
valore del paniere in un dato momento, si calcola il valore successivo
dell'indice con la seguente proporzione:
-
dove
e
sono, rispettivamente, il valore del paniere al tempo 1 e 2, e
è il valore dell'indice da calcolare.
Al tempo 3 si calcola
con la proporzione:
-
e così via nei periodi successivi.
Calcolando X in occasione di ciascuna rilevazione dei prezzi si ottiene
quindi una serie di valori che indicano l'aumento dei prezzi nel tempo. Così
se il paniere vale 100 al momento della prima rilevazione, diventa, per
esempio, 101,5 al momento della seconda rilevazione, 102 al momento della
terza, eccetera.
La serie di numeri che si ottiene ha il vantaggio di essere facile da
leggere, elaborare e rappresentare graficamente.
In Italia, così come accade nella maggior parte dei Paesi, l'Istituto
centrale di Statistica (ISTAT)
calcola le variazioni nel livello generale dei prezzi utilizzando l'indice
dei prezzi di Laspeyres.
Il
tasso d'inflazione è la variazione percentuale dell'indice
dei prezzi al consumo, cioè l'indice dei prezzi di Laspeyres che fissa le
quantità sulla base di un
paniere
rappresentativo della struttura media dei consumi delle famiglie valutati ai
prezzi di acquisto.
Fino al 1999
si usava l'indice di Laspeyres
a
base fissa ed il paniere era modificato dall'ISTAT ogni 4 anni, al fine di
tenere conto del cambiamento nelle abitudini di consumo.
Dal gennaio 1999 si usa l'indice di Laspeyres
concatenato e il paniere viene modificato annualmente. Si modificano
contestualmente i pesi utilizzati nel calcolo dell'indice, costituiti dalle
quote di spesa per ciascun bene o servizio sul totale della spesa delle
famiglie.
Ciascun mese viene calcolato l'indice dei prezzi assumendo come base il
livello dei prezzi e la struttura dei pesi rilevati al dicembre dell'anno
precedente e si distingue tra:
- tasso di inflazione congiunturale, che esprime la variazione
rispetto al mese precedente; indicando con Ia:m
l'indice dei prezzi del mese m dell'anno
a rispetto al dicembre dell'anno
precedente, si ha:

- tasso di inflazione tendenziale, che esprime la variazione
rispetto allo stesso mese dell'anno precedente:

- tasso di inflazione annuale, che è la variazione della media dei
dodici indici rispetto alla media dei dodici indici dell'anno precedente:

Da notare che, essendo praticamente impossibile che si verifichi una
diminuzione del livello generale dei prezzi, l'indice rilevato a dicembre di
un qualsiasi anno è superiore alla media dei dodici indici dello stesso anno.
Ciò comporta che un tasso di inflazione annuale comprenda una componente
propria (la variazione verificatasi nell'anno) ed una componente
acquisita, ereditata dall'anno precedente:
|
« Il tasso
di inflazione acquisito rappresenta la variazione media dell’indice
nell’anno indicato, che si avrebbe ipotizzando che l’indice stesso rimanga
al medesimo livello dell’ultimo dato mensile disponibile nella restante
parte dell’anno. » |
|
|
In altri termini, supponendo che la media degli indici mensili dell'anno
a − 1 sia pari a 1,02, che l'indice
rilevato a dicembre dello stesso anno sia 1,03 e che non si rilevi alcun
aumento dei prezzi nell'anno a rispetto al
dicembre precedente, il livello dei prezzi nell'anno
a sarebbe comunque superiore di 0,01 alla media degli indici
mensili dell'anno precedente. Se quindi gli indici mensili dell'anno
a restassero tutti al livello di dicembre
dell'anno precedente, con tassi congiunturali tutti nulli, si avrebbe comunque
un tasso annuo di inflazione non nullo, pari a:

Questo 0,98%, che non è altro che la variazione dell'indice di dicembre
dell'anno precedente rispetto alla media di quell'anno, costituisce
l'inflazione acquisita che ciascun anno eredita dal precedente.
Ad esempio, il tasso di inflazione del 2007 in Italia è stato pari
all'1,8%, di cui 0,5% ereditato dal 2006 (differenza tra dicembre 2006 e media
del 2006) e 1,3% dovuto alla dinamica dei prezzi verificatasi nel 2007.[1]
Tutti i tassi citati vengono disaggregati dall'ISTAT in vario modo,
calcolando tassi per singole categorie di beni e servizi (alimentari,
comunicazioni, ecc.), per beni e servizi di diversa frequenza d'acquisto
(alta, media, bassa), ecc. In particolare, si calcola una inflazione di
fondo escludendo i prezzi ritenuti più volatili, quelli dei beni
energetici e gli alimentari non lavorati.
L'ISTAT offre, peraltro, anche coefficienti per il calcolo del valore della
moneta (quindi degli effetti dell'inflazione in generale) a partire dal 1861.
Ad esempio, per calcolare che valore avrebbero oggi 100 lire del 1937, si
applica il coefficiente 1.646,8831 e si divide il risulato per 1.936,27,
ottenendo 85,05 euro.[2]
L'inflazione nella storia economica
Nella storia antica sono numerosi i periodi inflativi. Il primo di tali
periodi storicamente attestati risale all'Antico
Regno dell'Egitto ed al
Periodo Sumero Tardo, intorno al
2100 a.C., ma ne ignoriamo le cause scatenanti. Ancora durante il regno
del faraone eretico
Amenothep
IV Akhenaton e dei suoi successori il venir meno dello sfruttamento delle
miniere nubiane (la
Nubia, attuale
Sudan, era ricca di
miniere
aurifere, tanto che
il termine Nwb in antico
egizio significava appunto "oro"). L'indebolimento del potere interno
egizio di questo periodo si ripercosse sulla fuga centrifuga delle province
lontane quali la Nubia, la
Siria e la
Palestina.
Anche durante la
Guerra del Peloponneso (431
- 404 a.C.)
tra Atene e
Sparta si
verificò un periodo di grave inflazione associata a
recessione a causa del perdurare della guerra che sottraeva artigiani ed
agricoltori al lavoro ed al commercio. Un'inflazione molto grave si verificò
durante il tardo
periodo repubblicano nell'antica
Roma quando lo
Stato, per poter continuare a finanziare le campagne militari, alterò la
lega metallica delle
monete
abbassando il
titolo (la quantità) di
metallo
prezioso in esse contenuto.
Nel periodo di conquista dell'Impero
Persiano da parte di
Alessandro Magno (334
- 323 a.C.),
le ingenti quantità di metalli preziosi sottratte ai paesi assogettati e
dirottati in
Grecia, in
Macedonia ed in
Epiro determinarono un decremento del valore intrinseco dell'oro contenuto
nel Darico
persiano e dell'argento della
Dracma greca.
Una situazione ancora peggiore si verificò tra il
II secolo
d.C. e la definitiva caduta dell'Impero
romano d'occidente, nel
476: durante il
corso del basso impero, si verificarono alterazioni talmente marcate dei
titoli di metallo prezioso che molti commercianti si rifiutarono di esser
corrisposti in moneta per i beni posti in vendita ed anche molti militari
preferirono il pagamento in natura per i servizi resi. Ad esempio,
all'epoca del regno di
Costantino I (312
- 337), l'Asse
bronzeo era
ridotto a dimensioni pari ad 1/4 di quello repubblicano di trecento anni
prima. Analoghe alterazioni subirono il
Denario
argenteo ed
il
Sesterzio argenteo e l'Aureo.
Costantino, per pagare i soldati, fu costretto a far coniare il
Solido aureo (da cui i termini in
lingua italiana "Soldo", "Soldato", "Assoldare", etc.): una moneta
contenente un buon titolo aureo. Precedentemente, trent'anni prima,
l'imperatore
dalmata
Diocleziano introdusse un
paniere di
beni calmierati
(fu la prima esperienza del genere nella storia): beni di prima necessità che
non potevano, per legge, aumentare di
prezzo oltre
una soglia fissata dall'autorità politica, col risultato che tali beni non
vennero più ad esser reperibili sul
mercato, a
meno di non venire pagati a prezzi assai più elevati rispetto a quelli
politicamente imposti (con la creazione, quindi, di un
mercato nero).
Durante l'Alto
Medioevo l'economia europea era un'economia di
sussistenza, ove prevalevano l'autarchia
ed il baratto.
Con la riforma monetaria di
Carlo
Magno, attuata introno al
770 -
780 d.C., venne
introdotta la
lira (dal termine
latino libra, ovvero peso) sia come
unità di misura (di peso) ed
unità di conto: con tale "moneta virtuale", in un'epoca di grave indigenza
e di povertà assai diffusa, si potevano comprare circa 47 appezzamenti di
terreno.
Nel
Basso Medioevo i
comuni
italiani iniziarono a batter moneta aurea (il
fiorino
fiorentino,
il genovino
genovese, etc.),
ed anche altri stati europei s'incamminarono su questa strada, basti ricordare
il penny
argenteo di
Enrico II Plantageneto re d'Inghilterra.
Ma iniziarono presto anche la
contraffazione delle monete (si ricordi l'episodio di Mastro Adamo,
citato da
Dante nell'Inferno,
che falsificò il fiorino fiorentino), la tosatura (limatura) e l'adulterazione
(alterazione del titolo aureo) con una conseguente ripresa dell'inflazione.
Per coloro i quali alteravano la moneta - in qualsiasi modo e sotto qualsiasi
forma - era prevista la
pena di morte.
Il primo grande episodio inflativo della
storia moderna fu determinato dallo sfruttamento spagnolo dell'oro del
Nuovo
Mondo: in seguito alle depredazioni dei
conquistadores a spese delle popolazioni
Maya e
Inca e
all'estrazione mineraria dai giacimenti del Nuovo Mondo, le casse reali
spagnole si
trovarono a disporre di ingenti quantità di oro, argento e merci preziose che
vennero riversate sui mercati europei sia per armare l'esercito e assoldare
mercenari
(il che rese la Spagna del
XVII
e
XVIII secolo la più grande potenza europea) sia da parte della corte e dei
nobili per comprare, importandoli dalle altre nazioni europee, beni e servizi
di ogni genere in tale quantità da causare una loro (relativa) scarsità.
Questo portò, sul finire del
'500, ad un rialzo generalizzato dei prezzi in Europa.
Dopo la
Guerra di indipendenza americana (1775
- 1783), la
stampa di quantitativi di carta moneta al di fuori di qualsiasi controllo
produsse una spirale inflazionistica tale per cui anche al giorno d'oggi,
negli
Stati Uniti, la locuzione "Non vale un Continentale" (dal nome del
dollaro di
allora detto "Dollaro Continentale") indica un oggetto di valore irrisorio.
Durante la
Rivoluzione Francese, prima che
Napoleone Bonaparte istituisse la banca centrale francese, la moneta
semplicemente scomparve e venne sostituita da un titolo (una forma mista tra
una cambiale
ed un
titolo di stato) denominata "Assegnato"
(1792) e
garantita con le proprietà immobiliari confiscate alla nobiltà ed al clero. A
causa dell'eccesso di stampa il valore dell'Assegnato, nel giro di pochi anni,
colò a picco costringendo il governo ad imporne il
corso forzoso, per poi sopprimere del tutto tale forma di pagamento.
Un ulteriore famoso episodio inflazionistico si ebbe poco dopo la
prima guerra mondiale in
Germania,
durante la
Repubblica di Weimar, tra il
1919 ed il
1933: un'errata
gestione del diritto di
battere moneta e la confusione sociale favorirono una spirale perversa che
portò l'inflazione a tassi stratosferici (iperinflazione:
salari e stipendi venivano pagati ogni giorno affinché il loro valore non
venisse azzerato a livelli tali da annullare, nei fatti, il valore della
moneta). Nel 1923
i francobolli vennero a costare miliardi di
Reichsmark e per comprare un uovo occorreva una quantità notevole di carta
moneta priva di qualunque valore. La spirale inflazionistica fece sì che la
gente, appena veniva pagata correva a comperare qualsiasi tipo di merce prima
di trovarsi con denaro privo di valore reale in mano, aggravando così la
scarsità di beni in circolazione. L'iperinflazione associata alla
stagnazione di quel periodo contribuirono non poco all'ascesa del
Terzo Reich di
Hitler che porteranno, in seguito, alla
Seconda Guerra Mondiale.
Il 15
luglio 1939
il Governo tedesco approvò il Reichsbank Act[3],
la legge di riforma che limitava l'autonomia decisionale della Banca Centrale
e la vincolava ad eseguire le indicazioni di politica monetaria, che tornavano
nei poteri dell'esecutivo. Il Consiglio di Amministrazione della Reichsbank
reagì al provvedimento con le dimissioni in blocco, mentre il
Giappone
recepì la legge praticamente tale e quale nel suo ordinamento giuridico.
Nel secondo dopoguerra, la
Reichsbank venne sostituita dalla
Bundesbank e svincolata totalmente dal potere politico, in totale
autonomia. Il
marco tedesco divenne la moneta di riferimento europea, tanto che lo
scellino austriaco, la
corona danese ed il
fiorino olandese vennero "agganciati" ad esso, ovvero legati da un
rapporto di cambio fisso.
Negli ultimi vent'anni una situazione di rapida perdita di valore della
moneta si è verificata, in
Russia e nei
paesi dell'Europa
dell'Est, dopo il
1991 con la fine del
comunismo:
in un mercato essenzialmente chiuso e privo di concorrenza, statalizzato e
politicamente calmierato quale quello dell'Unione
Sovietica e dei paesi satelliti, l'apertura al regime di
libero mercato avvenuta tra il 1991 ed il
1995, ha
provocato in alcuni casi il ritorno al regime del
baratto in
natura ed il rifiuto del pagamento con le monete nazionali.
La polemica sull'inflazione in Italia
Con l'introduzione dell' euro,
in Italia si è verificato un fenomeno particolare: alcuni indicatori
economici segnalavano un aumento dell'inflazione, stimato intorno al 6%
annuo, mentre le rilevazioni ufficiali dell' Istat
si attestavano intorno al 2-3% annuo. Secondo alcuni il primo dato
corrisponde all'inflazione percepita dai consumatori, e a quella rilevata da
altri istituti, come l' Eurispes.
Questo, secondo il parere di alcuni economisti, non tanto perché i dati
siano falsificati, bensì in quanto il campione dell'Istat non è più
rappresentativo dei consumi.
Il campione dell'Istat si basa su di un paniere di prodotti, tra i quali
vengono monitorati esclusivamente i più venduti di ogni categoria. Ad
esempio, per le auto, non si monitorano le auto di lusso, ma le più diffuse
utilitarie, e non tutte, ma solo quella più venduta. Ora, mentre in un
mercato con poche offerte il prodotto di punta facilmente raggiunge valori
significativi, nei mercati attualmente vi sono decine, se non centinaia, di
scelte per ogni prodotto: è dunque difficile che un singolo prodotto, anche
se il più diffuso, sia un campione rappresentativo della categoria. Per fare
un confronto, i dati dell'Eurispes monitorano, oltre al prodotto più
venduto, anche il più caro ed il più economico di ogni categoria. Questo
perché, anche se il prodotto più venduto non aumenta di prezzo, ma lo fanno
tutti gli altri che possono facilmente essere più del 60% del mercato,
l'inflazione misurata resta ferma, ma non quella percepita. Non va però
dimenticato che i punti vendita rilevati dall'Eurispes sono in numero molto
più basso rispetto a quelli dell'Istat.
Secondo alcuni, il tipo di rilevazione dell'Istat non misura il disagio
delle classi medie, che, abituate a comprare prodotti di una certa qualità e
dunque più costosi, non potendoseli più permettere, tendono a comprimere i
loro consumi.E infatti si
è notato un incremento del ricorso ai
discount,
aumentato del 10% dall'introduzione dell'euro, un appiattimento dei consumi
alimentari, un crollo della spesa media pro capite per le vacanze: tutti
indicatori di un aumento dell'inflazione ben al di sopra dell'ufficiale 2-3%[senza fonte].
Un ulteriore elemento di contestazione è il fatto che il tasso
d'inflazione considera allo stesso modo beni durevoli e beni di consumo, che
hanno vita utile e tempi di riacquisto molto diversi. L'impatto che un
rincaro delle automobili ha sui redditi di una famiglia media si manifesta
ogni 10 anni, mentre un aumento del prezzo della benzina ha effetti
quotidiani. I prezzi vengono pesati rispetto alla quantità venduta del
prodotto/servizio, ma non sono moltiplicati per
coefficienti che tengono della loro durata.
Per altro verso, i prezzi dei beni e servizi ad alta frequenza d'acquisto
incidono maggiormente sull'inflazione percepita rispetto a quelli acquistati
più raramente. L'ISTAT annovera tra i beni e servizi ad alta frequenza
d'acquisto i generi alimentari, le bevande alcoliche e analcoliche, i
tabacchi, le spese per l'affitto, i beni non durevoli per la casa
(detersivi, ecc.), i servizi per la pulizia e la manutenzione della casa, i
carburanti, i trasporti urbani, giornali e periodici, i servizi di
ristorazione e i servizi di assistenza. Per essi si è rilevato, a giugno
2008, un tasso di inflazione tendenziale del 5,8%, che può dirsi constatato
quasi quotidianamente dai consumatori. Il tasso tendenziale generale è
nettamente minore (3,8%) in quanto vi contribuiscono i beni a bassa
frequenza d'acquisto (elettrodomestici, servizi ospedalieri, acquisto di
mezzi di trasporto, servizi di trasloco, apparecchi audiovisivi fotografici
e informatici, articoli sportivi), il cui tasso tendenziale è stato
dell'1,6%. Ad esempio, gli alimentari e bevande analcoliche (+6,1%), le
spese per l'affitto, l'acqua, il gas, l'elettricità e i combustibili per la
casa (+7,2%), i combustibili e le spese di manutenzione per i mezzi di
trasporto e le spese per i servizi di trasporto (+6,9%) incidono
sull'inflazione percepita, per via dell'alta frequenza di acquisto, più dei
servizi sanitari (prezzi invariati rispetto al giugno 2007) o delle
comunicazioni (spese postali, tariffe e prezzi di apparecchi telefonici,
diminuiti del 2,4%).[4]
Si può anche supporre che le percezioni individuali siano influenzate più
dai rincari che dalle diminuzioni di prezzo, oppure che sull'inflazione
percepita da alcune categorie di consumatori abbia influito
significativamente la dinamica dei prezzi di beni non compresi nel paniere
sui cui si basano gli
indici dei prezzi. Come in altri paesi, infatti, in Italia il tasso
d'inflazione considera solo i
consumi
finali, non anche l'acquisto dell'abitazione e le relative rate di mutuo
(considerati
investimenti), nonostante costituiscano una spesa rilevante per i
redditi da lavoro dipendente e autonomo.[5]
In seguito alle
polemiche sul livello dell'inflazione, è stata attivata una "Commissione di
studio per il calcolo degli indici dei prezzi", composta da professori
universitari, esperti Istat, rappresentanti delle parti sociali (sindacati
e
Confindustria) e rappresentanti delle associazioni dei consumatori.[senza fonte]
La visione della Scuola Austriaca
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« Inflazione
significa aumento della quantità di denaro e banconote in circolazione e
della quantità di depositi bancari soggetti a controllo. Ma oggi si usa il
termine “inflazione” per riferirsi al fenomeno che è una conseguenza
inevitabile dell'inflazione, la tendenza all'aumento di tutti i prezzi e
gli stipendi. Il risultato di questa deplorabile confusione è che non c'è
più un termine per indicare la causa di questo aumento nei prezzi e negli
stipendi. Non c'è più alcuna parola disponibile per indicare il fenomeno
che, finora, è stato denominato inflazione. Ne consegue che nessuno si
preoccupa per l'inflazione nel senso tradizionale del termine. » |
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Secondo la
scuola austriaca il termine "inflazione" non significa aumento
generalizzato dei prezzi, bensì aumento della massa monetaria in circolazione
nel mercato. Per gli austriaci l'aumento dei prezzi è solo una delle
conseguenze dell'inflazione monetaria, ossia quel processo creato da una
politica monetaria espansionistica di una
banca centrale, attraverso il quale più denaro in circolazione fa perdere
di valore la moneta stessa, creando inevitabilmente un aumento generalizzato
dei prezzi.[7]
Seguendo questo ragionamento si può comprendere perfettamente l'aumento dei
prezzi nella
zona euro e negli
Stati Uniti come naturale conseguenza dell'aumento degli
aggregati monetari, in particolar modo dell'indicatore M3[8][9].
Partendo da tali presupposti la
scuola austriaca critica molto l'attuale sistema monetario (vedi
moneta legale) arrivando a parlare di truffa, in quanto consegna ad organi
statali quali le banche centrali, il potere di inflazionare a piacimento una
moneta, creando quindi perdita di
potere d'acquisto, aumento dei prezzi e, a detta degli economisti
austriaci, i
cicli economici (vedi
teoria austriaca del ciclo economico). In contrasto con questo sistema,
gli austriaci propongono il ritorno ad un sistema denominato free banking
(dove l'emissione di moneta sia gestita da banche commerciali private e non
più dallo Stato
attraverso la banca centrale) che fu utilizzato soprattutto nel
XIX
secolo da diversi paesi, tra i quali proprio gli
Stati Uniti, oppure il ritorno ad un sistema di
parità aurea, nel quale sarebbe ancora presente lo Stato nell'emissione di
moneta, ma quest'ultima sarebbe legata indissolubilmente ad un bene reale
(generalmente oro).
|
« Prendete,
per esempio, un'economia in cui la massa monetaria sia mantenuta costante.
Per ottenere denaro supplementare, gli attori del mercato dovrebbero
scambiare merci e servizi contro moneta. Un rifornimento crescente di
articoli vendibili relativamente alla riserva monetaria spingerebbe verso
la riduzione dei loro prezzi in denaro.
Ora considerate il caso di un'economia la cui massa monetaria possa
essere aumentata con l'espansione del credito bancario – la caratteristica
dell'odierno monopolio della moneta controllato dal governo. Gli attori
del mercato possono ottenere bilanci supplementari con i prestiti bancari
senza essere obbligati a cedere risorse limitate. La richiesta
supplementare finanziata dall'aumentata quantità di denaro ne abbasserebbe
il valore di scambio di fronte alle merci. [...]
La diagnosi degli economisti di scuola austriaca sarebbe che il
continuo aumento nel credito e nella riserva monetaria sta al cuore del
boom inflattivo; il rialzo dei prezzi (dei beni) è solo il relativo
sintomo. Così se la crescita della riserva monetaria e del credito
rallenta, non ci vorrà molto per gli austriaci per prevedere una
recessione, o persino una deflazione.
Tuttavia, la recessione e la deflazione – innegabilmente costose in
termini di perdita di produzione e occupazione – sarebbero i processi
economici di aggiustamento necessari per riportare l'equilibrio
nell'economia attraverso la variazione dei suoi costi.
Non ci vorrebbe molto per attendersi che le banche centrali controllate
dal governo, quando dovessero decidere fra mantenere l'inflazione sotto
controllo o impedire la recessione, molto probabilmente optino per la
crescita, a qualsiasi costo, anche a scapito di una perdita nel potere di
acquisto della moneta.
Una volta che la crisi si diffonde, o anche soltanto si teme che ciò
accada, il pubblico comincia chiedere tassi di interesse ancora più bassi
ed ancora più credito e moneta. L'iniezione di moneta e il credito
“facile” sono largamente considerate la ricetta per evitare la recessione
e la deflazione. I banchieri centrali è improbabile che ostacolino tali
richieste. » |
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Note
- ^ Cfr. ISTAT,
La dinamica dei prezzi al consumo. Dicembre 2007, 15/1/2008, pag. 10.
- ^ ISTAT,
Il valore della moneta in Italia dal 1861 al 2006.
- ^
Testo del Reichsbank Act
- ^ ISTAT,
La dinamica dei prezzi al consumo. Giugno 2008, 15/7/2008, pp. 2, 9 e
12.
- ^ Cfr. Paolo Del
Giovane e Roberto Sabbatini, «L'introduzione
dell'euro e la divergenza tra inflazione rilevata e percepita», Temi
di discussione, n. 532, dicembre 2004.
- ^
Definizione di inflazione di Ludwig von Mises
- ^
Che cos'è veramente l'inflazione, luogocomune.net
- ^
Aggregato M3 negli Stati Uniti
- ^
Aggregato M3 in Europa
- ^
Go for Gold, mises.org
Voci correlate
Link originale
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