Con il nome di Celti si indica un insieme di popoli
indoeuropei che, nel periodo di massimo splendore (IV-III
secolo a.C.), erano estesi in un'ampia area dell'Europa,
dalle
Isole britanniche fino al bacino del
Danubio,
oltre ad alcuni insediamenti isolati più a
sud, frutto
dell'espansione verso le
penisole
iberica,
italica e
anatolica. Uniti dalle origini
etniche e
culturali,
dalla condivisione di uno stesso
fondo linguistico
indoeuropeo e da una medesima
visione
religiosa, i Celti rimasero sempre politicamente frazionati; tra i vari
gruppi di popolazioni celtiche si distinguono i
Britanni,
i Galli, i
Pannoni, i
Celtiberi
e i Galati,
stanziati rispettivamente nelle Isole Britanniche, nelle
Gallie, in
Pannonia,
in Iberia e in
Anatolia.
Portatori di un'originale e articolata cultura, i Celti furono soggetti a
partire dal
II secolo a.C. a una crescente pressione politica, militare e culturale da
parte di altri due gruppi indoeuropei: i
Germani, da
nord, e i
Romani, da sud. I Celti furono progressivamente sottomessi e assimilati,
tanto che già nella tarda antichità l'uso delle loro lingue appare in netta
decadenza. L'arretramento dei Celti come popolo autonomo è testimoniato
proprio dalla marginalizzazione della loro lingua, presto confinata alle sole
Isole britanniche. Lì infatti, dopo i grandi rimescolamenti
altomedievali, emersero gli eredi storici dei Celti: le popolazioni dell'Irlanda
e delle frange occidentali e settentrionali della
Gran Bretagna, parlanti
lingue brittoniche o
goideliche, le due varietà di
lingue celtiche insulari.
Etnonimo
I Celti[1]
sono menzionati dagli storici di
lingua greca come Κελτοί (Keltòi) da
Ecateo di Mileto e da
Erodoto[2]
o Κέλται (Kéltai) da
Aristotele e
Plutarco,
da cui deriva il
latino Celtae. Probabilmente il termine Celti era un
etnonimo
proprio di una singola tribù dell'area della colonia greca di
Marsiglia,
il primo luogo dove i Greci vennero in contatto con il popolo dei Celti; in
seguito, tale termine fu applicato per estensione a tutte le genti affini.
Sempre presso i Greci, a partire dal
III secolo a.C.[3]
è attestato il nuovo etnonimo Γαλάται, corrispondente al latino
Galli[4].
Di questa denominazione è stata ipotizzata una derivazione dalla
radice
celtica *gal- ("potere", "forza") o dalla radice
indoeuropea *kelH ("essere elevato")[5].
In entrambi i casi, trattandosi di un attributo positivo, potrebbe essere
stato un
endoetnonimo, anche se probabilmente riferito ancora più al singolo gruppo
spintosi nei Balcani e in Anatolia che all'intero popolo dei Celti[6].
Non si conosce l'endoetnonimo con il quale i Celti indicavano se stessi in
quanto popolo condividente la stessa origine, cultura e fondo linguistico, e
nemmeno se siano mai esistito un simile etnonimo generale, al di là di quelli
indicanti i vari gruppi e
tribù.
Storia
Le origini
Archeologi e
linguisti concordano, a larga maggioranza, nell'identificare i Celti con
il popolo portatore della Cultura di La Tène, sviluppatasi durante l'Età
del ferro dalla precedente
Cultura di Hallstatt. Tale identificazione consente di individuare la
patria
originaria dei Celti in un'area compresa tra l'alto
Reno (da Renos, vocabolo di origine celtica il cui significato è
"mare"[8])
e le sorgenti del
Danubio
(dal celtico Danuvius, il cui significato è "che scorre veloce"[8]),
tra le attuali
Germania
meridionale,
Francia orientale e
Svizzera
settentrionale: qui i
Protocelti si consolidarono come popolo, con una propria
lingua, evoluzione lineare di un vasto continuum
indoeuropeo esteso in
Europa centrale fin dall'inizio del
III millennio a.C.[9].
È stata tuttavia avanzata anche l'ipotesi, sempre fondata su argomentazioni
linguistiche, che i Protocelti fossero il frutto di una penetrazione
secondaria di Indoeuropei in Europa centrale, a metà del III millennio a.C., a
partire dalle steppe a nord del
Mar Nero,
probabile patria originaria del popolo comune.[10].
Nell'area di La Tène si registra una continuità nell'evoluzione culturale
sin dai tempi della
Cultura dei campi di urne (a partire dal
XIII secolo a.C.[11]).
All'inizio dell'VIII
secolo a.C. si affermò la Cultura di Hallstatt, la civiltà protoceltica
che mostrava già le prime caratteristiche culturali che poi saranno proprie
della cultura celtica classica. Il nome deriva da un
importante
sito archeologico austriaco distante una cinquantina di chilometri da
Salisburgo. La Cultura di Hallstatt, con base agricola ma dominata da una
classe di guerrieri, era inserita in una rete commerciale piuttosto ampia che
coinvolgeva
Greci, Sciti
ed
Etruschi. È da questa civiltà dell'Europa centro-occidentale che, intorno
al V secolo a.C., si sviluppò, senza soluzione di continuità, la cultura
celtica propriamente detta: nella terminologia archeologica, la Cultura di La
Tène.
L'ipotesi genetica: i Celti e l'aplogruppo R1b
Recenti
ipotesi genetiche sul popolamento dell'Europa, in via di elaborazione,
propongono una teoria alternativa sull'origine dei Celti. Osservando la
frequente ricorrenza, in alcune aree dell'Europa occidentale, di un
determinato
aplogruppo del cromosoma Y e constatandone invece la rarità nell'area di
sviluppo della Cultura di La Tène, è stata postulata l'ipotesi di
un'evoluzione ininterrotta, fin dal
Mesolitico, di quei popoli che, già stanziati nelle loro sedi storiche,
sarebbero storicamente emersi come Celti. In questo caso, la connessione
linguistica con l'indoeuropeo
e quella archeologica con La Tène sarebbero esclusivamente frutto di una
contaminazione culturale.
Questa prospettiva è compatibile con la
Teoria della continuità proposta, tra gli altri, da
Colin Renfrew, ma viene tuttavia generalmente rigettata dai linguisti.
L'obiezione è imperniata sulla constatazione delle strette prossimità
dialettali tra le varie
lingue celtiche: se queste si fossero effettivamente sviluppate in un'area
tanto vasta, per millenni, senza scrittura e in assenza di qualsiasi unità
politica, avrebbero dovuto differenziarsi tra loro molto di più di quanto non
sia storicamente verificato. Al contrario, la linguistica storica indica,
rispetto alla
lingua protoceltica, un periodo di separazione di poche centinaia di anni[12].
L'espansione in Europa
L'identificazione dei Celti con la cultura di Hallstatt-La Tène consente,
sulla base dei ritrovamenti archeologici, di tracciare un quadro del loro
processo espansivo a partire dalla ristretta area dell'Europa
centro-occidentale nella quale si cristallizzarono come popolo. La
penetrazione nella Penisola iberica e lungo le coste atlantiche dell'attuale
Francia risale quindi all'VIII-VII
secolo a.C., ancora in epoca hallstattiana. Più tardi, quando già avevano
sviluppato la Cultura di La Tène, raggiunsero la
Manica, la foce del Reno, l'attuale Germania nord-occidentale e le Isole
britanniche; ancora successiva fu l'espansione verso le attuali
Boemia,
Ungheria
e Austria.
Contemporanei a questi ultimi movimenti furono gli insediamenti, già
registrati dalle fonti storiche, in
Italia settentrionale e, in parte di
quella centrale (inizio
IV secolo a.C.) e nella
Penisola balcanica. Nel
III secolo il gruppo dei Galati passò dalla
Tracia
all'Anatolia, dove si stanziò definitivamente[13].
L'avanzata fu favorita principalmente dalla superiorità tecnica delle armi in
possesso della bellicosa aristocrazia guerriera, che guidò questi popoli
durante le migrazioni.
L'apogeo (IV-III secolo a.C.)
La diffusione dei Celti in Europa all'epoca dell'apogeo della loro
civiltà (III
secolo a.C.[14])
I Celti toccarono il loro apogeo tra la seconda metà del
IV e la prima metà del
III secolo a.C.. In quell'epoca, la lingua e la cultura celtica
costituivano l'elemento più diffuso e caratteristico dell'intera Europa[13],
interessando una vasta e ininterrotta area che andava dalle Isole Britanniche
all'Italia settentrionale e dalla Penisola Iberica al bacino Danubio. Gruppi
isolati, inoltre, si erano spinti ancor più a sud, come i
Galli Senoni nell'Italia centrale e - soprattutto - i Galati in Anatolia.
Le varie popolazioni costituivano un'unità culturale e linguistica, ma non
politica; al loro interno, già le fonti antiche individuavano diversi gruppi
principali di tribù: i
Britanni
(Isole
britanniche), i
Celtiberi
(Penisola
iberica), i
Pannoni (Pannonia),
i Galati (Anatolia)
e i Galli (Gallie);
questi ultimi erano a loro volta ripartiti in vari gruppi, tra i quali
spiccavano i Belgi,
almeno in parte mescolati con elementi
germanici,
gli Elvezi,
posti all'estremità orientale della Gallia e a contatto con i
Reti, popolo non
indoeuropeo della regione
alpina orientale,
e i
Lepontici dell'Italia settentrionale.
Vestigia dell'antica presenza celtica sono state rinvenute in quasi tutta
Europa, in un'area quindi ancor più estesa di quella, già ampia, occupata dai
Celti in epoca storica. A testimonianza della fitta rete di scambi culturali e
commerciali tra le antiche popolazioni europee, manufatti celtici sono stati
rinvenuti tanto nelle regioni
mediterranee non direttamente raggiunte dalle tribù celtiche, tanto in
vaste aree dell'Europa centro-settentrionale, dalla regione
baltica
alla
Scandinavia. Tra i
toponimi che denunciano una chiara origine celtica, spiccano non solo la
"Galizia" iberica e la
"Galazia"
anatolica, ma anche la
"Galizia" sub-carpatica, un'area che in passato fu al margine estremo
della penetrazione celtica.
I Celtiberi
I Celti stanziati nella Penisola iberica erano indicati, fin
dall'antichità, con il nome di Celtiberi. Il termine è stato a lungo inteso
come sintomo di un'ibridazione tra gruppi celtici e gruppi
iberici,
secondo quanto indicato nell'antichità da
Diodoro Siculo,
Appiano,
Marziale e
Strabone,
che specificava come i Celti fossero il gruppo dominante; tra gli studiosi
moderni, tale interpretazione è stata sostenuta da
Johann Kaspar Zeuss. Più recentemente, tuttavia, l'ipotesi di una
popolazione mista è stata progressivamente scartata, e con il termine
Celtiberi si indicano semplicemente i Celti stanziati in Iberia[15].
Il nucleo centrale dell'insediamento celtiberico corrisponde a un'area
dell'odierna
Spagna centrale, a cavallo tra le regioni di
Castiglia,
Aragona e
La Rioja
e compresa tra il medio bacino dell'Ebro
e l'alto corso del
Tago. La penetrazione in quest'area risale all'VIII-VII
secolo a.C., anche se è possibile che alcune infiltrazioni fossero
avvenute anche in epoche precedenti, fin dal
X
secolo a.C.; in un secondo momento, i Celtiberi si espansero verso sud
(nell'attuale
Andalusia)
e verso nord-ovest, fino a toccare le coste atlantiche della penisola (Galizia).
A indicare i confini esatti della penetrazione celtica nella Penisola iberica
sono la
toponomastica, con i caratteristici prefissi seg- e i suffissi
-samo e, soprattutto, -briga[16],
e la diffusione del corpus delle
iscrizioni in
celtiberico, all'interno del quale spiccano i
Bronzi di Botorrita.
Nel
II secolo a.C. i Celtiberi furono sottomessi da
Roma attraverso una serie di campagne militari, le
Guerre celtibere; la capitolazione fu segnata dalla caduta della loro
ultima roccaforte,
Numanzia,
espugnata nel
133 a.C. da
Publio Cornelio Scipione Emiliano. A partire da quel momento i Celtiberi,
come tutte le altre popolazioni della Penisola iberica, subirono un intenso
processo di
latinizzazione, dissolvendosi come popolo autonomo.
I Galli
Galli era il nome con cui i
Romani indicavano i Celti che abitavano la regione delle Gallie.
Dall'originaria area della Cultura di La Tène i Celti si espansero verso le
coste atlantiche e lungo il corso del Reno tra i secoli
VIII e
V
a.C.; più tardi, a partire dal
400 a.C.
circa, penetrarono nell'odierna Italia settentrionale. Continuarono a premere
verso sud, tanto che nel
390 a.C.,
secondo la tradizione[17],
o più probabilmente nel
386 a.C.[18],
la tribù dei
Senoni guidata da
Brenno mise a
sacco la stessa Roma, per stanziarsi infine sul medio versante adriatico (Piceno)[9].
Come tutte le popolazioni celtiche, i Galli erano frazionati in numerose
tribù, che solo in rari casi riuscirono a coalizzarsi per far fronte a un
nemico comune: come quando, nel
52 a.C.,
numerose tribù guidate da
Vercingetorige si ribellarono alla
conquista cesariana della Gallia. Tra le popolazioni galliche, alcuni
insiemi di tribù erano accomunati da una propria sotto-identità condivisa: i
Belgi,
stanziati tra la Manica e il Reno e variamente mescolati a elementi
germanici;
gli Elvezi,
collocati nell'area dell'alto Reno e dell'alto Danubio e a contatto con i
Reti; gli
Aquitani,
tra la Garonna
e i Pirenei,
mescolati a popoli paleo-baschi;
e i
Lepontici, l'insieme delle tribù penetrate nella Gallia cisalpina, al di
qua delle Alpi.
Tra le popolazioni della regione centrale della Gallia,
Cesare attesta che al momento delle sue campagne si distinguevano due
fazioni, capeggiate rispettivamente dagli
Edui,
tradizionalmente filoromani fin dal
II secolo a.C., e dai
Sequani,
questi ultimi presto scalzati dai
Remi[19].
La sottomissione dei Galli a Roma si avviò nel
III secolo a.C.: una serie di iniziative militare contro i Lepontici portò
alla loro completa sottomissione, attestata dalla creazione della provincia
della Gallia cisalpina intorno al
90 a.C.. A
quella data nel territorio un tempo dei Celti erano già numerose le presenze
romane, sotto forma di
municipi e, soprattutto, di
colonie. La conquista della Gallia transalpina iniziò attorno al
125-121
a.C., con l'occupazione di tutta la fascia mediterranea fra le
Alpi liguri e i Pirenei, costituita successivamente nella provincia della
Gallia Narbonense. La Gallia settentrionale passò sotto il dominio di Roma
in seguito alle campagne condotte da Cesare tra il
58 e il
50 a.C.
Grazie soprattutto alla testimonianza resa da Cesare nel suo
De bello gallico, la civiltà gallica è di gran lunga la più conosciuta
tra quelle sviluppate dai Celti nell'antichità, anche se le osservazioni dello
statista romano sono verosimilmente estendibili - almeno nelle linee generali
- a tutte le popolazioni celtiche. Cesare descrive la società gallica come
articolata in gruppi famigliari e divisa in tre classi: quella dei produttori,
composta da agricoltori provvisti di diritti formali, ma politicamente
sottomessi ai ceti dominanti; quella dei guerrieri, detentori dei diritti
politici, cui era affidato l'esercizio delle funzioni militari; e quella dei
druidi,
sacerdoti, magistrati e custodi della cultura, delle tradizioni e
dell'identità collettiva di un popolo frammentato in numerose tribù[20].
I Britanni
Le principali tribù britanniche e gli insediamenti romani al tempo
della dominazione latina
Popolazioni celtiche raggiunsero la
Gran Bretagna, superando La Manica, nell'VIII-VI
secolo a.C.. Dall'attuale
Inghilterra meridionale si espansero in seguito rapidamente verso nord,
colonizzando l'intera Gran Bretagna e l'Irlanda,
sebbene nell'attuale
Scozia sia a
lungo sopravvissuto il popolo pre-indoeuropeo
dei
Pitti[13].
Cesare attesta gli stretti legami, non solo culturali ma anche economici e
politici, tra i Britanni e i Galli: i domini di
Diviziaco, per esempio, si estendevano su entrambe le sponde della Manica[21]
e sull'isola scampavano esuli dalla Gallia[22],
che a sua volta otteneva, in caso di necessità, aiuto militare dalla Britannia[23].
Una prima spedizione romana, condotta dallo stesso Cesare nel
55 a.C.,
non comportò un'immediata sottomissione dei Britanni. Questa fu compiuta circa
un secolo dopo, nel 43
d.C., dall'imperatore
Claudio. I Romani occuparono l'area degli attuali Inghilterra e
Galles,
erigendo a nord un
limes
fortificato: il
Vallo di Adriano (122),
in seguito spostato ancora più a nord (Vallo
di Antonino, 142).
Al di là del Limes (nell'attuale Scozia e in Irlanda) rimasero sia tribù
britanniche, sia i Pitti.
La latinizzazione delle tribù celtiche soggette a Roma fu intensa, ma meno
di quella subita dai Galli e dai Celtiberi: alla cessazione del controllo
romano della Gran Bretagna (fine
IV-inizio
V secolo)
l'identità etnica e linguistica dei Celti era ancora viva, e sopravvisse a
lungo anche alle successive invasioni
germaniche.
Dalla fusione dei tre elementi — celtico, latino e germanico — si sarebbero
formate, durante l'Alto
Medioevo, le moderne popolazioni di Gran Bretagna e Irlanda[24].
Gli unici eredi diretti degli antichi Celti, tra i popoli moderni, saranno
proprio quelli delle Isole britanniche[25],
che avrebbero conservato ininterrotta la tradizione linguistica dando origine
alle
lingue celtiche insulari, nei due rami
goidelico e
brittonico[26].
I Pannoni
Il processo di espansione dei Celti verso est, a partire dalla culla
originaria della Cultura di La Tène, è storicamente assai meno attestato di
quello avvenuta verso le
Gallie. Comunque, si ritiene che la penetrazione in quella regione
dell'Europa centrale poi individuata con il nome di Pannonia risalga agli
inizi del
IV secolo a.C.[13].
In quell'area, sul medio corso del Danubio, i Celti vennero a contatto con le
tribù illiriche
già presenti; in parte si mescolarono a essi, in parte rimasero sepratai in
gruppi autonomi, etnicamente e linguisticamente omogenei.
Quello dei Pannoni è il ramo della famiglia celtica sul quale le
testimonianze sono più scarse e incerte; nulla resta della loro lingua (certo
una varietà delle
lingue celtiche continentali), salvo forse qualche elemento isolato che
funse da
sostrato per le lingue sviluppatesi successivamente in quella regione. Tra
le tribù celtiche presenti in Pannonia spicca quella dei
Boi, probabilmente
il ramo orientale di una tribù presente anche nelle Gallie e penetrata in
Europa centrale in un secondo momento, forse nel
50 a.C. A
essi si deve il
toponimo
"Boemia".
A partire dal
35-34
a.C. i Pannoni iniziarono a entrare nella sfera di influenza romana, che
in seguito eressero la Pannonia a
provincia, anche se una porzione significativa dei Pannoni rimase tuttavia
inclusa nella vicina provincia del
Norico. Sottoposti a latinizzazione e, più tardi, a
germanizzazione,
slavizzazione e
magiarizzazione,
i Pannoni — sia di ceppo celtico, sia di ceppo illirico — si dissolsero come
popolo autonomo fin dai primi secoli del
I
millennio.
I Galati
La penetrazione dei Celti nella Penisola balcanica è attestata dalle fonti
greche, che testimoniano di una migrazione che sommerse la
Tracia nel
281 a.C..
I Greci, forse adattando un termine impiegato da quelle stesse tribù celtiche,
denominarono gli invasori γαλάται anziché κελτοί o κέλται,
termine con il quale identificavano gli abitanti autoctoni delle aree
grecizzate presso la colonia di
Marsiglia[6].
Incursioni galate si spinsero fin nel cuore della
Grecia. Un'orda, guidata dal condottiero
Brenno[27],
attaccò
Delfi, rinunciando solo all'ultimo minuto a dissacrare il
tempio di Apollo: allarmato da portentosi tuoni e fulmini, rinunciò anche
a riscuotere un riscatto. Sempre nel
III secolo a.C., un'altra frazione del popolo, composta da tre tribù e
forte di diecimila combattenti accompagnati da donne, bambini e schiavi, mosse
dalla Tracia all'Anatolia
su espresso invito di
Nicomede
I di
Bitinia, che aveva chiesto il loro aiuto nella lotta dinastica che lo
opponeva a suo fratello (278
a.C.).
I Galati si stabilirono definitivamente in un'area compresa tra la
Frigia
orientale e la
Cappadocia, in Anatolia centrale; in seguito al loro insediamento la
regione assunse il nome di "Galazia".
San Girolamo attesta la sopravvivenza della loro lingua (il
galato, varietà di
celtico continentale) fino al
IV secolo
d.C.[28];
dopodiché si completò il processo di
ellenizzazione dei Galati.
Latinizzazione e germanizzazione (II secolo a.C.-V
secolo d.C.)
La fase di apogeo dei popoli celtici, tra il
IV e il
III secolo a.C., sembrava preludere a una forte presenza delle loro lingue
e della loro cultura nell'intero continente europeo. Invece, proprio a partire
da quell'epoca ebbe inizio il loro declino, sotto la pressione combinata di
altri due popoli
indoeuropei: i
Germani,
che premevano da nord e da est, e i
Romani, che premevano da sud sul vasto ma poco coeso continuum
celtico, come «due macine del mulino che, stringendo in mezzo i Celti, li
avrebbe fatti scomparire dal continente impadronendosi della maggior parte dei
loro immensi domini» (Francisco
Villar)[29].
Celtiberi e Galli furono interamente
latinizzati nei primi secoli dell'era
volgare; l'assimilazione dei vinti interessò sia il versante linguistico,
tanto da portare alla scomparsa delle
lingue celtiche continentali, sia quello socio-culturale, con l'estensione
della
cittadinanza romana e l'integrazione nelle strutture politiche imperiali[30].
Identica sorte toccò ai Galati, anche se nel loro caso l'agente assimilatore
fu piuttosto di matrice greca.
I Pannoni e i Britanni furono invece soltanto parzialmente latinizzati e
nelle regioni da loro abitate presero il sopravvento - già a partire dal
III
secolo - elementi germanici. Se in
Pannonia
l'assimilazione delle popolazioni preesistenti fu completa, anche a causa
delle successive ondate migratorie
slave e
magiare,
nelle
Isole britanniche il processo seguì una strada differente.
La ripresa altomedievale (VI-X secolo)
Una
croce celtica. Questo tipo di croce, tipicamente irlandese, è uno
dei simboli ripresi dall'antica cultura celtica e adattata alla
religione
cattolica
La latinizzazione delle Isole britanniche era stata solo parziale, e
limitata alla pur vasta parte centro-meridionale della Gran Bretagna (odierni
Inghilterra e Galles). La lingua e la cultura celtica pertanto sopravvissero
al ritiro romano (IV-V
secolo) e poterono così confrontarsi direttamente con le nuove istanze
storiche che, in età
altomedievale, interessarono Gran Bretagna e Irlanda: l'arrivo di vari
popoli
germanici e il processo di
cristianizzazione che, specie in Irlanda, assunse caratteri specifici e
peculiari.
La Gran Bretagna subì, fin dal IV secolo, un processo di re-celtizzazione
da parte di gruppi provenienti dalla vicina Irlanda, mai entrata nei domini di
Roma[31].
A partire dalla missione di
san
Patrizio in Irlanda (432),
l'isola conobbe una fioritura religiosa che, attraverso lo
slancio
missionario, tutelò l'eredità celtica, anche se integrandola ora con nuovi
elementi di matrice
cristiana. A questi anni risalgono le prime testimonianze delle
lingue celtiche insulari, una ripresa delle attestazioni delle
lingue celtiche dopo l'oblio che aveva fatto seguito all'estinzione,
almeno nelle testimonianze, delle
lingue celtiche continentali.
La fase espansiva dei Celti irlandesi caratterizzò gli ultimi secoli del
I
millennio e interessò principalmente la Scozia e l'Isola
di Man. Tale attività fu però esclusivamente culturale e religiosa: dal
punto di vista politico, infatti, l'Irlanda fu invasa e controllata dai
Vichinghi
germanici dall'VIII
al IX
secolo, generando un
sincretismo culturale
vichingo-gaelico.
Il declino definitivo (dall'XI secolo)
Nonostante la vivacità culturale, i Celti superstiti delle Isole
britanniche furono - salvo rari momenti, come dopo la
Battaglia di Carham vinta nel
1018 da re
Malcolm II di Scozia - sempre soggetti a nuovi dominatori, tutti di
lingua germanica: i Vichinghi prima e gli
Anglosassoni poi. L'identità specifica celtica subì un forte processo di
arretramento, testimoniata dalla progressiva riduzione dell'area occupata dai
parlanti madrelingua delle diverse varietà delle
lingue celtiche insulari[31].
Il
II millennio ha registrato una costante regressione dei superstiti
elementi celtici, sottoposti a un continuo processo di
anglicizzazione sia linguistica, sia politica, sia culturale. Dalla
fusione dell'elemento celtico e di quello germanico (vichingo e anglosassone)
sono derivate, etnicamente e culturalmente, le moderne popolazioni di Gran
Bretagna e Irlanda: non più quindi - e fin dal
Medioevo
- popolazioni celtiche in senso stretto, ma eredi moderne degli antichi
Britanni, variamente ibridati - come ogni altro popolo europeo - con numerosi
apporti successivi.
Società
La società celtica ricalcava le strutture fondamentali di quella
indoeuropea, imperniata sulla "grande famiglia"
patriarcale. Tale modello è stato preservato dai Celti anche in età
storica; il gruppo famigliare (clan,
termine
scozzese entrato nell'italiano)
includeva non solo la famiglia in senso stretto, ma anche antenati,
collaterali, discendenti e parenti acquisiti, comprendendo varie decine di
persone. Più clan formavano una
tribù (tuath
in scozzese), a capo della quale era posto un re (in
gallico rix). Alla famiglia - e non all'individuo - spettava anche
la proprietà della terra[32].
La struttura sociale, nota principalmente grazie alla testimonianza resa da
Cesare sui
Galli nei suoi
Commentarii, prevedeva una notevole articolazione in classi.
L'aristocrazia guerriera assolveva i compiti di difesa e di offesa ed
eleggeva, secondo uno schema consueto tra gli Indoeuropei, un re dalle
funzioni principalmente militari mentre prerogativa del popolo libero erano le
attività economiche, imperniate sull'agricoltura e l'allevamento; si ha
notizia poi dell'esistenza di
schiavi. Infine vi erano i
druidi, sacerdoti, magistrati e maghi, depositari delle tradizioni
comunitarie, del sapere collettivo e dell'identità intertribale nella quale
tutti i Celti si riconoscevano[32].
Tale identità non si limitava ai singoli sottogruppi della grande famiglia
celtica, ma l'abbracciava nella sua totalità; Cesare, infatti, attesta più
volte i vincoli che i Galli celtici erano consapevoli di avere, non solo tra
di loro, ma anche con i vicini
Elvezi,
Belgi,
Lepontici e
Britanni[33].
La società celtica (o almeno quella gallica) si presentava quindi come
nettamente articolata in tre "funzioni": quella sacrale e giuridica, quella
guerriera e quella produttiva. Tale struttura ispirò, accanto ad altri
elementi provenienti soprattutto dalle mitologie
romana,
persiana e vedica,
la teoria della tripartizione dell'intero immaginario indoeuropeo, formulata
da
Georges Dumézil. Secondo tale schema, la divisione in tre funzioni era
rigida, discendeva direttamente dal sistema originario degli Indoeuropei e
coinvolgeva tanto la sfera sociale delle tre classi, quanto quella ideale e
religiosa. La teoria, sostenuta soprattutto in area francese, è stata tuttavia
recentemente ridimensionata e considerata il frutto dell'idealizzazione di un
insieme di fattori peculiari e specifici di alcuni gruppi indoeuropei[34].
La donna godeva di uguali diritti all'interno della società dei Celti.
Poteva ereditare come gli uomini ed essere eletta a qualsiasi carica, comprese
quelle di druido o di comandante in capo degli eserciti; quest'ultima
possibilità è attestata dalle figure di
Cartimandua della tribù dei
Briganti o di
Boudicca degli
Iceni al tempo dell'imperatore
romano
Claudio[35].
I druidi
 |
Per approfondire, vedi la voce
Druido. |
I druidi svolgevano, genericamente, le funzioni sacerdotali. Essi tuttavia
non si limitavano a essere il collegamento tra gli uomini e gli dei, ma erano
anche responsabili del
calendario e guardiani del "sacro ordine naturale", oltre che filosofi,
scienzati, astronomi, maestri, giudici e consiglieri del re. Un'iscrizione
gallica rinvenuta in
Gallia
meridionale (il
Piombo di Larzac) conferma l'esistenza anche di donne insignite del
ruolo di druide[36].
Cesare riferisce il carattere elitario della sapienza all'interno della
società celtica, che proibiva l'uso della scrittura per la registrazione dei
precetti religiosi[37].
L'educazione di un druido durava circa vent'anni e comprendeva insegnamenti di
astronomia (disciplina della quale possedevano una padronanza tale da
stupire Cesare), scienze, nozioni sulla natura; il lungo percorso educativo
era dedicato in buona parte all'acquisizione
mnemonica delle loro conoscenze[37].
Queste conoscenze erano poi applicate all'elaborazione di un proprio
calendario: il più antico calendario celtico che si conosca è
quello di Coligny, databile al
I
secolo a.C. Esso era molto più elaborato e sofisticato di
quello giuliano, e prevedeva un complesso sistema di sincronizzazione
della
fasi lunari con l'anno
solare[38].
I guerrieri e l'esercito
L'armatura
dei Celti comprendeva
scudi in legno con rifiniture in bronzo e ferro decorati in vario modo[39].
Su alcuni di questi si trovavano animali in bronzo scolpiti, con funzioni sia
decorative sia di difesa. Sulla testa portavano
elmi di bronzo
con grandi figure sporgenti come corna, parti anteriori di uccelli o
quadrupedi, che facevano apparire giganteschi coloro che li indossavano. Le
loro
trombe di guerra producevano un suono assordante e terrificante per il
nemico. Alcuni indossavano sul petto piastre di ferro, mentre altri
combattevano nudi. Non utilizzavano soltanto
spade corte
simili ai
gladi romani, ma anche lunghe, ancorate a catene di ferro o bronzo, che
pendevano lungo il loro fianco destro, oltre a
lance dalle punte di ferro della lunghezza di un
cubito e di
poco meno di due palmi di larghezza, ed i loro
dardi
avevano punte più lunghe delle spade degli altri popoli[40].
Di loro si racconta, inoltre, che preferivano risolvere le battaglie con
duelli tra i capi o tra i più abili guerrieri di ognuno degli schieramenti
opposti, piuttosto che scontrarsi in battaglia. Essi avevano anche l'abitudine
di appendere le teste dei nemici uccisi al collo del proprio cavallo, e, in
alcuni casi, di imbalsamarle, quando il vinto era un importante guerriero
avversario; consideravano infatti la testa, e non il cuore, la sede dell'anima[41].
La vocazione guerriera di questo popolo, unitamente alla prospettiva di
ottenere un soldo regolare o bottini occasionali, sfociò infine in un'attività
praticata da molte sue tribù: diventare soldati
mercenari. Il primo indizio di una simile scelta risale al
480 a.C.,
quando sembra che alcuni soldati celti abbiano partecipato, a fianco dei
Cartaginesi, alla
battaglia di Imera. Altre partecipazioni di mercenari celtici sono
ricordate durante la spedizione
siracusana
in Grecia del
369-368
a.C.; nel
307 a.C., quando tremila armati galli si unirono ad
Agatocle di Siracusa, insieme a
Sanniti ed
Etruschi, per condurre una campagna in Africa settentrionale; nelle lotte
che seguirono tra gli eredi di
Alessandro Magno (i
Diadochi).
Tale pratica generò non solo un mercato in espansione per parecchie decine di
migliaia di militari coraggiosi, esperti e meno cari dei Greci, ma permise
anche, al ritorno dei soldati da guerre combattute un po' ovunque nel bacino
mediterraneo, di introdurre la monetazione all'interno delle comunità celtiche[42].
Si sostiene che queste popolazioni non invadevano territori già occupati per
conquistarli, ma soprattutto per dimostrare la loro superiorità guerriera alle
popolazioni vicine, oltre che per saccheggiarle (Es:Il santuario di Apollo a
Delfi, in Grecia).
Indole e aspetto fisico
Dai loro contemporanei
Greci e
Romani i Celti erano descritti alti, muscolosi e robusti; gli occhi erano
generalmente azzurri, la pelle chiara e i capelli biondi[43].
Dal punto di vista caratteriale, le stessi fonti descrivono i Celti come
irascibili, litigiosi, valorosi, leali, grandi bevitori e amanti della musica[32].
Religione
La principale testimonianza sulle credenze e sugli usi religiosi dei Celti
è ancora una volta quella fornita da
Cesare nel
De bello gallico, la quale, pur essendo riferita specificamente ai
Galli, attesta
verosimilmente una situazione in larga parte comune all'intero gruppo celtico
all'epoca dei fatti narrati (I
secolo a.C.).
I Celti, probabilmente[44],
condividevano una medesima visione religiosa
politeista e adoravano divinità legate alla natura, con una peculiare
valenza religiosa attribuita alla
quercia, e alle virtù guerriere. Cesare riferisce anche della credenza
nella
trasmigrazione delle anime, che si traduceva in un'attenuazione della
paura della morte tale da rafforzare il valore militare gallico[37].
È nota anche l'esistenza, sempre presso i Galli, di sacrifici umani, ai quali
accadeva anche che le vittime si offrissero volontariamente; in alternativa si
faceva ricorso a criminali, ma in caso di necessità si immolavano anche
innocenti[45].
Nel
pantheon gallico, Cesare testimonia il particolare culto attribuito a un
dio che egli assimila al romano
Mercurio, forse il dio celtico
Lúg[46].
Era l'inventore della arti, la guida nei viaggi e la divinità dei commerci.
Altre figure di rilievo tra gli dei gallici erano "Apollo"
(Belanu, il
guaritore), "Marte"
(Toutatis,
il signore della guerra), "Giove"
(Taranis,
il signore del tuono) e "Minerva"
(Belisama,
l'iniziatrice delle arti)[46].
La religione gallica fu oggetto di dura repressione ai tempi della
dominazione romana;
Augusto proibì i culti
druidici ai
cittadini romani delle Gallie e in seguito
Claudio estese il divieto all'intera popolazione[47].
Diritto
Assai scarse sono le testimonianze sul diritto celtico.
Cesare testimonia, parlando dei
Galli, di un
diritto matrimoniale che prevedeva l'amministrazione congiunta tra gli sposi
del patrimonio familiare, costituito in parti uguali al momento delle nozze[48].
La giustizia veniva amministrata dai druidi, che avevano piena discrezionalità
sulla segretezza delle sentenze[49].
Economia
Popolo frazionato in tribù dall'elevata mobilità, i Celti praticavano
abitualmente la
caccia e il
saccheggio ai danni delle città e delle popolazioni sulle quali si
abbattevano le loro scorrerie; tale abitudine è attestata nell'intera area
occupata dai Celti nell'antichità, come testimoniano, per esempio, le
incursioni galliche
in Italia (sacco
di Roma,
390 a.C.) e quelle
galate in
Grecia (sacco di
Delfi,
281 a.C.).
Oreficeria celtica:
torque
gallici in bronzo conservati al Museo di
Épernay
Nei luoghi in cui l'insediamento celtico fu maggiormente esteso e duraturo
(Gallie
e
Isole britanniche), si sviluppò una fiorente
agricoltura, che accompagnava l'allevamento,
e l'artigianato
metallurgico, con una peculiare e raffinata
oreficeria, di cui costituiscono elemento caratteristico i
torque,
collane rigide in
bronzo, in
argento o in oro.
Da queste regioni, i Celti svilupparono un'ampia rete
commerciale;
in particolare, lo
stagno dalla
Britannia
veniva importato sul continente, dove era convogliato verso il
Mar Mediterraneo: qui, nelle città della
Gallia Narbonese (Marsiglia,
Narbona)
avvenivano transazioni commerciali con i
Cartaginesi, con
Greci ed
Etruschi e, più tardi, con i
Romani.
Caccia e pesca
Benché la
caccia fosse ampiamente praticata, sembra che la
selvaggina non avesse un ruolo fondamentale nell'alimentazione dei Celti.
La caccia al
cervo o al
cinghiale costituiva più che altro una forma di passatempo, in
sostituzione della prodezze militari. Era praticata anche la
pesca, in prossimità di fiumi, laghi e litorale marino; sembra che i Celti
fossero ghiotti di
frutti di mare, come risulterebbe dai rifiuti culinari raccolti nella
regione dell'Armorica[50].
Agricoltura
Abili
agricoltori, i Celti coltivavano campi di forma quadrangolare, non molto
grandi: la dimensione media era di dieci-quindici
are, corrispondenti a quanto era possibile
arare in un
solo giorno. I campi erano delimitati da siepi per proteggerli dal calpestio
degli animali selvatici.
Fondamento dell'agricoltura erano le colture
cerealicole.
I dati archeologici attestano che i Celti coltivavano un'antica varietà di
farro piccolo (Triticum
monococcum) oltre a
frumento,
segale,
avena,
miglio, perfettamente adatti ai terreni di queste regioni con rendimenti
molto elevati (fino a tre tonnellate per
ettaro); ma
coltivavano anche
grano saraceno (cereale particolarmente adatto a terreni poveri e a una
coltura in altitudine)[51]
e
orzo, usato soprattutto per produrre una forma primitiva di birra,
denominata in
gallico cervesia (secondo la trascrizione
latina).[52]
Allevamento
Il bestiame aveva un ruolo fondamentale nell'alimentazione delle genti
celtiche. Di riflesso, il rango dei vari capitribù dipendeva più dal numero
dei capi di bestiame da essi posseduti che dall'estensione dei terreni di loro
proprietà adibiti a coltivazione. Venivano allevati
bovini di piccola taglia e dalle lunghe corna (Bos
longifrons). I
maiali domestici erano di dimensioni assai più piccole rispetto al
cinghiale o ai maiali attuali, ma la loro carne era particolarmente
apprezzata, soprattutto nei banchetti. I ritrovamenti archeologici di resti
ossei, rinvenuti nelle loro
cittadelle, confermano che era certamente la carne maggiormente consumata.
Le
capre, al contrario, erano allevate soprattutto per il loro
latte; nei loro
villaggi erano inoltre presenti
oche e
galline[50].
Artigianato e metallurgia
Già a partire dall'VIII
secolo a.C., la capacità di lavorare il
ferro permise
ai Celti di fabbricare
asce,
falci e altri attrezzi al fine di effettuare sgombri di territori su vasta
scala, prima occupati da foreste impenetrabili, e di lavorare la terra con
facilità. La crescente abilità nella lavorazione dei metalli permise inoltre
la costruzione di nuovi equipaggiamenti, come
spade
e
lance, che li resero militarmente superiori rispetto alle popolazioni loro
vicine e li misero in grado di potersi spostare con relativa facilità, giacché
poco temevano gli altri popoli. Estratto sotto forma spugnosa, il ferro era
sottoposto ad una prima lavorazione di
fucina e
distribuito in lingotti, pesanti cinque-sei chilogrammi e a forma
bipiramidale. In un periodo successivo, i lingotti furono sostituiti da
lunghe barre piatte, già pronte per essere lavorate in lunghe spade; tali
barre erano tanto apprezzate da essere utilizzate perfino come moneta, insieme
al rame e alle
monete d'oro[53].
Monetazione
L'uso della
moneta si diffuse nei territori celtici a partire dalle aree colonizzate
dai Greci, lungo la costa mediterranea della Gallia: fin dal
III secolo a.C. i Galli utilizzarono le
monete greche, per passare in seguito a
quelle romane. I Celti coniarono anche proprie monete, sia in Gallia che
nella Penisola iberica (parte della cosiddetta
monetazione hispanica), ispirate a quelle greche e romane.
Anche presso i Celti, la moneta costituiva un comodo mezzo per la
quantificazione di un metallo prezioso come oro o argento, in transizioni di
una certa importanza. La sua introduzione va ricercata nel soldo che veniva
dato come compenso ai
mercenari celti (come i
Gesati). Non
sarebbero, pertanto dovute a una mera coincidenza le prime apparizioni di
emissioni locali, nel bacino del fiume
Rodano, in seguito al rientro da parte dei mercenari gesati della prima
metà del III secolo a.C. Le successive variazioni, in particolare a partire
dal
II secolo a.C., furono un mezzo per marcare la differenza tra le diverse
comunità territoriali, con l'affermazione progressiva delle
città-Stato. L'obbligo di distinguere ogni emissione successiva di uno
stesso oppidum, mantenendone i tratti principali e distintivi, portò
gli incisori a sviluppare una rara capacità di variazione nell'elaborazione di
immagini sempre più originali[54].
Commercio
Oltre che in direzione del
Mediterraneo, i rapporti commerciali dei Celti si svilupparono anche verso
l'interno del
continente europeo; manufatti di fattura celtica sono stati rinvenuti in
una vasta area dell'Europa centrale, all'epoca abitata da
Germani e
altre popolazioni. Per esempio, uno dei più raffinati esempi della metallurgia
celtica, il
Calderone di Gundestrup (fine
II secolo a.C.), è stato ritrovato nello
Jutland[55].
Ai Celti si deve anche l'apertura di gran parte delle strade dell'Europa
nord-occidentale. Il solo fatto che
Cesare, nel suo resoconto sulla
conquista della Gallia, ripeta più volte che le sue truppe si muovevano
tanto rapidamente attraverso il
territorio
gallico, fa capire quanto fosse allora eccellente il sistema stradale di
questa regione. Nuova conferma dell'eccellenza delle reti viarie celtiche è
stata nel 1985 la
scoperta, nella
contea irlandese di Longford, di un tratto di strada lungo più di
novecento metri, databile al
150 a.C.
Aveva fondamenta di travi di
quercia poste l'una accanto all'altra, sopra sbarre di
frassino,
quercia ed ontano.
Nelle aree da loro sottomesse, i
Romani non fecero altro che sostituire al legno la pietra, sopra i
tracciati preesistenti costruiti dai Celti[56].
Lingua
Il celtico comune
Tratto principale dell'identificazione dei popoli celtici è l'appartenenza
a una medesima famiglia lingustica, quella delle
lingue celtiche. Tale famiglia è parte del più ampio insieme
indoeuropeo, dal quale si distaccò nel
III millennio a.C.. Tre sono le principali ipotesi che precisano meglio il
momento della separazione del
celtico comune o protoceltico.
Secondo la prima, il protoceltico si sarebbe sviluppato nell'area della
Cultura di La Tène a partire da un più ampio "insieme europeo". Questo
continuum linguistico, esteso in gran parte dell'Europa
centro-orientale, si formò in seguito a una serie di penetrazioni di genti
indoeuropee in Europa, giunte dalla
patria
originaria indoeuropea (le steppe a nord del
Mar Nero,
culla della
Cultura kurgan); il distacco dal tronco comune di questo insieme europeo
viene fatto risalire ai primi secoli del III millennio a.C.,
approssimativamente tra il
2900 e il
2700 a.C.[57].
Le seconda ipotesi, che comunque muove dalla medesima visione d'insieme
dell'indoeuropeizzazione dell'Europa, postula una penetrazione secondaria in
Europa centrale (sempre nell'area di La Tène, e sempre a partire dalle steppe
kurganiche). Tale movimento di popolazione, in questo caso esclusivamente
proto-celtico, sarebbe collocabile intorno al
2400 a.C.. Questa posticipazione della separazione del proto-celtico
dall'indoeuropeo è motivata da considerazioni
dialettologiche, che sottolineano alcune caratteristiche che le lingue
celtiche condividono con le lingue indoeuropee più tarde tra cui, in
particolare, il
greco[58].
Le terza ipotesi muove invece da un'impostazione radicalmente differente.
Si tratta di quella, avanzata da
Colin Renfrew, che fa coincidere l'indoeuropeizzazione dell'Europa con la
diffusione della Rivoluzione agricola del
Neolitico
(V
millennio a.C.). Il protoceltico sarebbe, in tal caso, l'evoluzione
avvenuta in situ, nell'intera area occupata storicamente dai Celti (Isole
Britanniche,
Penisola iberica,
Gallie,
Pannonia), dell'indoeuropeo. Tale ipotesi è sostenuta in ambito
archeologico (insigne archeologo è lo stesso Renfrew), ma contestata dai
linguisti: l'ampiezza dell'area occupata dai Celti, l'assenza di unità
politica e il lungo periodo di separazione delle diverse varietà di celtico
(tremila anni dal celtico comune alle prime attestazioni storiche) sono un
insieme di fattori ritenuto incompatibile con la stretta affinità tra le varie
lingue celtiche antiche, assai simili le une alle altre[12].
Le lingue celtiche antiche
Le lingue celtiche attestate nell'antichità, primo e diretto frutto della
frammentazione dialettale del
celtico comune, sono definite lingue celtiche continentali[59],
a causa dell'assenza in quest'epoca di testimonianze sulle varietà parlate dai
Britanni[60].
Indirettamente, tuttavia, è possibile ipotizzare che le differenze tra
gallico e
britannico non fossero particolarmente profonde:
Cesare, infatti, testimonia degli stretti contatti - culturali,
commerciali e politici - tra
Galli e
Britanni, descrivendoli come estremamente affini, anche se non riferendosi
esplicitamente alla loro lingua[61].
Le lingue celtiche antiche di cui si conservano attestazioni (gallico,
celtiberico,
lepontico,
galato e, in misura limitatissima,
paleoirlandese[62])
sono testimoniate da una serie di iscrizioni e glosse in
alfabeto greco,
latino e - limitatamente al celtiberico -
iberico, datate grosso modo tra il
IV secolo a.C. e il IV secolo d.C.
I caratteri principali che caratterizzano tutte le lingue celtiche, e che
le differenziano dalle altre famiglie linguistiche indoeuropee, sono: *p
> Ø in posizione iniziale e intervocalica; *ḷ e *ṛ > /li/ e /ri/;
*gʷ > /b/; *ō > /ā/ o /ē/[63].
Le parlate dei Celti nell'Europa continentale si estinsero tutte in età
romana imperiale, sotto la pressione del
latino, delle
lingue germaniche e, nel caso del galato, del
greco.
Le lingue celtiche continentali agirono da
sostrato nella formazione dei nuovi idiomi, germanici o
neolatini, che si svilupparono nelle regioni che ospitavano i loro
parlanti.
Le lingue celtiche moderne
Le lingue celtiche sopravvissero esclusivamente sulle
Isole britanniche, solo in parte (Gran
Bretagna) o per nulla (Irlanda)
romanizzate; tali lingue, attestate a partire dall'Alto
Medioevo, sono perciò chiamate lingue celtiche insulari. Queste vengono
suddivise in due gruppi: quello
goidelico, che comprende il
gaelico irlandese in
Irlanda, il
gaelico scozzese in
Scozia e il
mannese sull'Isola
di Man[64],
e quello
brittonico, che include il
gallese del
Galles e il
bretone della
Bretagna,
frutto di un'emigrazione dalla
Britannia
nel V-VII
secolo, oltre all'estinto
cornico in
Cornovaglia[65].
Fin dal
Basso Medioevo la pressione sulle lingue celtiche superstiti esercitata
soprattutto dall'inglese
(ma anche, in Bretagna, dal
francese) è stata costante, portando a una lenta ma continua riduzione del
numero dei parlanti e delle aree madrelingua. Attualmente tutte le lingue
celtiche, nonostante gli sforzi delle istituzioni statali e locali delle
regioni in cui ancora sopravvivono, sono a rischio di estinzione[66].
Cultura
Letteratura
 |
Per approfondire, vedi la voce
Bardo. |
I Celti crearono una propria
letteratura
eroica, della quale tuttavia scarsissime sono le testimonianze. Tale
tradizione letteraria, infatti, era trasmessa solo oralmente, per opera dei
bardi e dei
druidi, secondo quanto testimoniato da
Cesare per i
Galli. L'uso della scrittura - in
alfabeto greco,
latino o
iberico - era riservato alle funzioni pratiche, poiché presso i Celti era
ritenuta illecita la trascrizione della sapienza (poetica e religiosa);
volendone preservare la segretezza, i sapienti la tramandavano esclusivamente
per via orale, dedicando a questo compito molti anni di studio e l'impiego di
mnemotecniche[37].
In età più tarda, tuttavia, parte del corpus poetico celtico fu
comunque messo per iscritto: le testimonianze più antiche, in
irlandese, risalgono al
VI-VII
secolo[32].
Le strutture metriche e alcuni stilemi dell'epica
celtica presentano, secondo alcuni studiosi, analogie con i
Veda
sanscriti e con la
lirica greca. In tal caso, le coincidenze costituirebbero una comune
eredità da un'antica poesia orale
indoeuropea[32].
Un espediente stilistico di questo genere è costituito, per esempio, dalla
formula che coniuga l'affermazione di un concetto con la negazione del suo
contrario: l'espressione celtica «che mi giunga la vita, che non mi giunga la
morte» ha esatte corrispondenze in numerose tradizioni poetiche indoeuropee (sanscrito,
avestico,
persiano antico,
greco
e
germanico)[67].
Di diretta ascendenza indoeuropea sarebbero poi altri espedienti stilistici,
come la "composizione
anulare", e la stessa figura del
poeta orale
professionista: figure analoghe al bardo celtico, infatti, si rintracciano sia
nella tradizione
indiana, sia in quella
greca[68].
Arte
L'apogeo dell'arte celtica, collocabile tra il
IV e il
III secolo a.C., corrisponde a un livello molto elevato raggiunto dagli
artigiani di questo popolo nel creare con il fuoco oggetti di grande valore,
con esempi di vero virtuosismo. La lavorazione ornamentale del ferro delle
spade, con l'incisione
diretta, la
cesellatura, la
fucinatura a stampo ed altri procedimenti, hanno rivelato, soprattutto
dopo i recenti progressi moderni nelle tecniche di restauro archeologico, che
non si trattava di opere isolate di singoli artisti di quel periodo, ma
costituivano uno standard abituale sia in termini di qualità artistica sia
tecnica esecutiva[69].
Architettura
L'insediamento abitativo tipico dei Celti è quello comunemente indicato
dagli archeologi come "fortezza
di collina": si tratta di città, in genere di modeste dimensioni,
costruite sulla sommità di un'altura che ne rende facile la difesa. Tale
schema, tipicamente
indoeuropeo, è riscontrabile in quasi tutte le aree occupate storicamente
da popolazioni di tale filiazione[70].
Due erano i nomi utilizzati dai Celti per indicare le loro cittadelle. Nella
Penisola iberica i
Celtiberi
(ma anche altri popoli, non indoeuropei, da essi influenzati) le chiamavano
briga[71];
nelle
Gallie, prevale il termine δοῦνον (dalle prime iscrizioni
galliche, in
alfabeto greco), reso in
latino con dūnum[72].
La tecnica costruttiva impiegata dai Celti nelle fortificazione delle loro
cittadelle era quella definita dai Romani
murus gallicus.
Cesare, nel
De bello gallico, lo descrive come una struttura composta da
un'intelaiatura lignea e riempimenti di sassi[73].
Scultura
Rari sono i manufatti celtici di età antica sopravvissuti fino ai nostri
giorni. Più frequenti, invece, le opere scultoree realizzate dai popoli
celtici delle
Isole britanniche in età
medievale,
come le
Croci celtiche.
Oreficeria
 |
Per approfondire, vedi la voce
Torque. |
L'oreficeria
è la branca artistica degli antichi Celti della quale sono sopravvissute le
maggiori testimonianze. Tipici dell'artigianato celtico,
gallico in
particolare, sono i
torque,
collane o bracciali propiziatori realizzati in
oro,
argento o
bronzo. Altri
manufatti artistici celtici conservati sono gioielli, coppe e paioli.
Gli oggetti metallici, al termine della lavorazione, venivano abbelliti
mediante applicazioni di materiale colorato. Su numerosi manufatti si hanno
infatti, a partire dal
IV secolo a.C., testimonianze di fusioni di
smalti,
ottenuti con una particolare pasta di
vetro. Questo
smalto di colore rosso era inizialmente fissato tramite una fine reticella di
ferro, unitamente al
corallo
mediterraneo, direttamente sugli oggetti, quasi rappresentassero una forma
magica di sangue, "pietrificato del mare" e uscito dal fuoco. A partire dal
III secolo a.C., con l'evoluzione della tecnica di fusione, furono
sviluppati nuovi oggetti, quali braccialetti di vetro policromo, e sviluppate
nuove tecniche come l'applicazione diretta e fusione dello smalto su spade e
parure, senza l'utilizzo di strutture di supporto. Nuovi colori, come il
giallo e il blu, furono introdotti a partire dal
II-I
secolo a.C. anche se il rosso rimase il colore predominante[74].
Tessitura
I Celti avevano notevole gusto per i colori accesi anche sui tessuti che
usavano per confezionare i loro abiti, come ancora oggi testimoniano i moderni
tartan
scozzesi.
Diodoro Siculo racconta che «i Celti indossavano abiti sorprendenti,
tuniche tinte in cui fioriscono tutti i colori, e pantaloni che chiamano
"brache". Sopra portano dei corti mantelli a righe multicolori, stretti da
fibule, di stoffa pelosa d'inverno e liscia d'estate»[75].
Musica
Benché i Celti avessero sviluppato una propria produzione musicale,
coltivata soprattutto dai
bardi, nessuna
testimonianza concreta è sopravvissuta fino ai nostri giorni. La cosiddetta
musica celtica è uno stile musicale moderno, sviluppato a partire dalla
musica folclorica nei Paesi che ospitano le
lingue celtiche contemporanee.
I Celti nella cultura moderna
Assimilati principalmente da popoli di
lingua latina o
germanica, i Celti si dissolsero come popolo autonomo nei primi secoli
dopo Cristo. La loro eredità - linguistica e culturale - entrò in piccola
parte nelle nuove sintesi che si crearono nei territori da loro un tempo
occupati. Un influsso più ampio si registrò soltanto nelle
Isole britanniche, dove insieme alla lingua furono conservate anche alcune
tradizioni popolari. Tuttavia, a partire dal
Medioevo
non è più possibile parlare di "Celti", quanto piuttosto di popoli, lingue e
tradizioni moderne eredi di quelle celtiche, siano esse irlandesi, gallesi,
bretoni o scozzesi. Oggi il termine "celtico" è comunque anche impiegato per
descrivere lingue e culture di matrice celtica presenti in
Irlanda,
Scozia,
Galles,
Cornovaglia,
Isola
di Man e
Bretagna.
Esiste anche una forma di ripresa dell'eredità (vera o presunta) dei Celti,
che a volte assume anche connotazioni religiose (celtismo
o druidismo),
nazionalistiche o semplicemente culturali (specie in campo musicale: la
cosiddetta
musica celtica); tuttavia, il nesso storico con i Celti dell'antichità è
spesso flebile, quando non del tutto pretestuoso[76].
Il celtismo
Un gruppo di moderni druidi britannici a una cerimonia per la
celebrazione del
solstizio, a
Stonehenge. Il complesso megalitico di Stonehenge non è tuttavia
opera degli antichi Celti, ma di popoli pre-indoeuropei, che lo eressero
almeno mille anni prima dell'insediamento dei
Britanni, datato
VIII secolo a.C.
 |
Per approfondire, vedi la voce
Celtismo. |
Il celtismo o
druidismo
è un movimento
religioso
neopagano
ricostruzionistico emerso a partire dagli
anni Settanta del
XX secolo.
I suoi aderenti affermano di riprendere l'antica religione celtica,
interpretandola come un sistema religioso
panteistico,
animistico
e
politeistico; al paganesimo celtico si ispirano anche correnti della
Wicca e del
New Age.
Fumetti e animazione
Una rappresentazione vivida ed efficace dei Celti, anche se storicamente
poco attendibile, è quella realizzata da
René Goscinny e
Albert Uderzo nelle loro avventure a
fumetti dedicate ad
Asterix il gallico. A partire dalla prima avventura (1959),
i due autori hanno sviluppato una lunga serie di creazioni, affiancando ai
fumetti, fin dal 1967,
numerose trasposizioni cinematografiche (animazioni)
delle vicende dei personaggi. I protagonisti sono tutti
Galli, ma in
diverse storie compaiono (sempre rappresentati umoristicamente e traendo
spunto più dai moderni popoli europei che da quelli dell'antichità) anche
altri popoli celtici, dai
Celtiberi
agli Elvezi,
dai Belgi ai
Britanni.
A partire dal 1999
ha avuto inizio una nuova serie di trasposizioni cinematografiche delle
avventure di
Asterix, questa volta non più animata ma con attori in carne e ossa.
Cinema e televisione
Ai Celti, e in particolar modo ai
Galli, sono
state dedicate diverse opere, sia televisive che cinematografiche:
-
Brenno il nemico di Roma (1963)
di
Giacomo Gentilomo, con
Gordon Mitchell e
Massimo Serato.
-
Cesare, il conquistatore delle Gallie (1963) di
Amerigo Anton, con
Raffaella Carrà e
Nerio Bernardi.
-
Asterix e Obelix contro Cesare (1999)
di
Claude Zidi, con
Christian Clavier,
Gérard Depardieu,
Roberto Benigni e
Laetitia Casta.
-
Druids - La rivolta (2001)
di
Jacques Dorfmann, con
Christopher Lambert e
Klaus Maria Brandauer.
-
Giulio Cesare (serie
televisiva,
2002) di
Uli Edel,
con
Jeremy Sisto,
Richard Harris,
Christopher Walken,
Chris
Noth e
Valeria Golino.
-
Asterix e Obelix: Missione Cleopatra (2002) di
Alain Chabat, con
Christian Clavier,
Gérard Depardieu e
Monica Bellucci.
Note
- ^ In
lingua italiana, al plurale "Celti" (sostantivo) corrispondono due
possibili forme di singolare: "celta" e la meno diffusa "celto", definite
rispettivamente da
Tullio De Mauro come "tecnico-specialistica" e "di basso uso".
L'aggettivo corrispondente, assai più frequente, è "celtico". Cfr.
lemma "celta". URL consultato il 23/03/2008.,
lemma "celto". URL consultato il 23/03/2008. e
lemma "celtico". URL consultato il 23/03/2008.
dal Dizionario De Mauro Paravia on-line.
- ^ Erodoto,
Storie, II, 33, 3.
- ^ Intorno al
281 a.C. alcune tribù celtiche invasero la
Tracia,
spingendosi con incursioni fin nel cuore della Grecia.
- ^ Cesare,
De Bello Gallico,
I, 1.
- ^ Pierluigi
Cuzzolin, Le lingue celtiche, p. 256.
- ^
a
b Francisco Villar,
Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa, p. 443.
- ^ Villar, cit.,
p. 445.
- ^
a
b Peter Berresford
Ellis, L'impero dei Celti, p. 23.
- ^
a
b Villar, cit.,
pp. 443-444.
- ^ Villar, cit.,
p.633.
- ^ Berresford
Ellis, cit., pp. 19 segg.
- ^
a
b Villar, cit.,
pp. 447-448.
- ^
a
b
c
d Villar, cit., p.
444.
- ^ Villar,
cit., p. 446; Bernard Comrie, La famiglia linguistica indoeuropea,
in Anna Giacalone Ramat-Paolo Ramat, Le lingue indoeuropee, p. 377.
- ^ Villar,
cit., p. 517.
- ^ Villar,
cit., p. 518. Il suffisso "-briga", derivato dalla diffusa
radice
indoeuropea *bhrgh, indica in
celtiberico lo stesso tipo di insediamento identificato in
gallico con dunon/-dunum/-dun: una cittadella
fortificata in un luogo elevato (fortezza
di collina, nota in
latino come
oppidum).
- ^ Polibio,
Storie, II, 18, 2; Tito Livio, Ab Urbe condita libri, V,
35-55; Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, XIV, 113-117;
Plutarco, Vite Parallele, Vita di Furio Camillo, 15, 32.
- ^ Marta
Sordi, Sulla cronologia liviana del IV secolo, in Scritti di
storia romana, pp. 107-116.
- ^ Cesare,
De bello gallico,
VI, 12.
- ^ Cesare,
De bello gallico,
VI, 13-15.
- ^ Cesare,
De bello gallico,
II, 4.
- ^ Cesare,
De bello gallico,
II, 14.
- ^ Cesare,
De bello gallico,
III, 9;
IV, 20.
- ^ Anche se
l'Irlanda aveva subito un'influenza soltanto indiretta dell'elemento
latino, questa era stata tuttavia decisiva specie in campo culturale,
attraverso il processo di
cristianizzazione.
- ^ Presso gli
abitanti della
Bretagna
francese la sopravvivenza di una
lingua celtica è dovuta a insediamenti secondari di elementi
provenienti proprio dalla Gran Bretagna (V-VII
secolo), e non da una sopravvivenza dei Galli autoctoni.
- ^ La
divisione tra
lingue celtiche continentali e
lingue celtiche insulari, a dispetto del nome, non è geografica, bensì
cronologica: le prime sono quelle attestate in età antica non esistendo
infatti testimonianze anteriori al
IV
secolo d.C. delle lingue celtiche parlate nelle Isole britanniche; le
seconde sono quelle attestate a partire dall'Alto
Medioevo e presenti proprio ed esclusivamente sulle Isole britanniche
(Cfr. Villar, cit., p. 450). A riprova vi è il fatto che molte delle prime
iscrizioni in
alfabeto ogamico rinvenute in
Irlanda offrono tratti linguistici affini a quelli delle lingue
celtiche continentali, come per esempio l'assenza della
lenizione (Villar, cit., p. 458).
- ^ Da non
confondere con il
Brenno
che, nel
IV secolo a.C., guidò i
Senoni al
sacco di Roma del
390 a.C..
- ^ San
Girolamo, Commentariorum in Epistulam beati Pauli ad Galatas libri tres,
0357A.
-
^ Villar, cit., p. 446.
- ^ Il
processo prese avvio fin dal
I secolo
con l'imperatore
Claudio (41-54),
che persuase il
Senato romano ad accogliere nuovi membri di origine gallica.
- ^
a
b Cuzzolin, cit.,
p. 279.
- ^
a
b
c
d
e Villar, cit., p.
449.
- ^ Cfr. ad
esempio, per questi ultimi, Cesare, De bello gallico,
IV, 20.
- ^ Villar,
cit., p. 163. Anche gli studiosi più propensi ad accogliere lo schema di
Dumézil, come
Enrico Campanile, tendono a limitare la tripartizione alla sfera
sociale e materiale, mostrando invece scetticismo su una sua possibile
estensione all'ambito ideologico; cfr. Enrico Campanile, Antichità
indoeuropee, in Le lingue indoeuropee, cit., p. 24.
- ^ Tacito,
Annales, XIV, 35.
- ^ Villar,
cit., p. 453.
- ^
a
b
c
d Cesare, De
bello gallico,
VI, 14.
- ^ Berresford
Ellis, cit., p. 30.
- ^ Olivier
Buchsenschutz, I Celti, p. 240.
- ^ Diodoro
Siculo, Bibliotheca historica, II.
- ^ Berresford
Ellis, cit., pp. 32-34.
- ^ Venceslas
Kruta, I Celti, p. 85.
- ^ Villar,
cit., pp. 448-449.
- ^ Venceslas
Kruta, I Celti e il Mediterraneo, p. 7.
- ^ Cesare,
De bello gallico,
VI, 16.
- ^
a
b Cesare, De
bello gallico,
VI, 17.
- ^ Secondo
quanto testimoniato da Svetonio:
(LA)
« [Claudius]
druidarum religionem apud Gallos dirae immanitatis et tantum civibus
sub Augusto interdictam penitus abolevit »
|
(IT)
« [Claudio] abolì
completamente in Gallia la religione dei druidi, che era
estremamente crudele e che Augusto aveva proibito soltanto ai
cittadini »
|
|
- ^ Cesare,
De bello gallico,
VI, 19.
- ^ Cesare,
De bello gallico,
VI, 20.
- ^
a
b Kruta, I Celti,
p. 155.
- ^ Kruta,
I Celti, p. 152.
- ^ Il termine
deriva dalla parola
indoeuropea *kerəwos ("cervo"),
utilizzato per designare la bevanda a causa del suo colore, simile a
quello dell'animale. Cervesia si è trasmesso allo
spagnolo cerveza, al
catalano cervesa e anche all'italiano
antico cervogia. Villar, cit., pp. 169-170.
- ^ Kruta,
I Celti, p. 158.
- ^ Kruta,
I Celti, p. 100.
- ^
Attualmente in
Danimarca: il Calderone è infatti conservato presso il Museo
Nazionale di
Copenaghen.
- ^ Berresford
Ellis, cit., pp. 24-26.
- ^ Villar,
cit., pp. 443-444, 633.
- ^ Villar,
cit., pp. 633-637.
- ^ Villar,
cit., p. 450.
- ^ Salvo le
più antiche — ma ben più tarde — iscrizioni
ogamiche del
IV
secolo d.C.
- ^ Cfr.
Cesare, De bello gallico,
II, 4;
II, 14;
III, 9;
IV, 20.
- ^
Corrispondente alle glosse attestate nella
Geografia di
Claudio Tolomeo (II
secolo) e alle
iscrizioni ogamiche dei secoli
IV-VII;
cfr. Cuzzolin, cit., p. 280.
- ^ Villar,
cit., p. 452, che cita altri tratti che, presi singolarmente, non sono
esclusivamente celtici, mentre lo è il loro insieme.
- ^ Estinto
nel 1974, ma
mantenuto in vita da cultori e dal governo dell'isola, che ne stanno
reintroducendo l'uso negli atti pubblici e nelle scuole.
- ^ Estinto
alla fine del
XVII secolo. Esistono tuttavia intellettuali e cultori che si
adoperano per rivitalizzarne l'uso.
- ^ Cuzzolin,
cit., p. 332; Villar, cit., p. 459.
- ^ Villar,
cit., p. 176.
- ^ Villar,
cit., pp. 176-177.
- ^ Kruta,
I Celti, p. 161.
- ^ Tanto che
Cesare, nel suo De bello gallico, ricorre generalmente all'omologo
latino
oppidum.
- ^ Dalla
radice
indoeuropea *bhrgh ("alto", "elevato"); cfr. Villar, cit., p.
519.
- ^ Anch'esso
di
etimologia indoeuropea: connesso, per esempio, all'inglese
antico dūn ("altura", "montagna"). Nei
toponimi
gallici appare spesso come suffisso (-dun); cfr. Villar, cit., p.
519.
- ^ Cesare,
De bello gallico,
VII, 23.
- ^ Kruta,
I Celti, pp. 163-165.
- ^ Diodoro
Siculo, Bibliotheca historica, V.
- ^ «È
importante dirlo. Il druidismo è morto, definitivamente morto in quanto
istituzione, in quanto religione». Jean Markale, Il druidismo, p.
260. E Gianfranco De Turris aggiunge: «Inutili sono gli sforzi delle
organizzazioni neo-druidiche, specie in Francia e in Gran Bretagna, tese a
farlo rivivere sul piano pratico» (ivi, Introduzione).
Bibliografia
Fonti primarie
-
Cesare,
De bello gallico.
-
Diodoro Siculo,
Bibliotheca historica, XIV.
- Erodoto,
Storie, II.
-
San Girolamo,
Commentariorum in Epistulam beati Pauli ad Galatas libri tres.
-
Plutarco,
Vite Parallele.
- Polibio,
Storie, II.
-
Strabone,
Geografia, III (Iberia),
IV (Gallia),
V (Gallia
Cisalpina).
-
Svetonio,
De vita Caesarum libri VIII, Vita divi Claudi.
-
Tacito,
Annales, XIV.
-
Tito Livio,
Ab Urbe condita libri, V.
Letteratura storiografica
- (EN)
Stephen Allen;
Wayne Reynolds, Celtic Warrior: 300 BC-AD 100, Oxford, 2001.
ISBN 1841761435
-
Peter Berresford Ellis, L'impero dei Celti, Bologna, Il Mulino,
1997.
ISBN 8838440085
- Olivier
Buchsenschutz, I Celti. Dal mito alla storia, Torino, Lindau, 2008.
ISBN 9788871807379
- (EN)
Maureen Carroll,
Romans, Celts & Germans: The German Provinces of Rome, Charleston,
2001.
ISBN 0752419129
- Pierluigi Cuzzolin. Le lingue celtiche, in
Emanuele Banfi (a cura di) La formazione dell'Europa linguistica. Le
lingue d'Europa tra la fine del I e del II millennio, Scandicci, La
Nuova Italia, 1993. ISBN 882211261
-
Venceslas Kruta;
Valerio Massimo Manfredi, I Celti d'Italia, Milano, Mondadori,
2000.
ISBN 8804436409
- Venceslas
Kruta, I Celti e il Mediterraneo, Milano, Jaca Book, 2004.
ISBN 881643628-X
- Venceslas
Kruta, I Celti, Milano, 2007.
ISBN 9788895363158
-
Jean Markale, Il druidismo, Roma, Edizioni Mediterranee, 1991.
A cura di Gianfranco de Turris.
- Anna
Giacalone Ramat; Paolo Ramat (a cura di) Le lingue indoeuropee,
Bologna, Il Mulino, 1993.
ISBN 8815043462
-
Marta
Sordi, Scritti di storia romana, Milano, Vita e Pensiero, 2002.
ISBN 8834307348
-
Francisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa,
Bologna, Il Mulino, 1997.
ISBN 8815057080
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