Epidemiologia
Prevalenza stimata di HIV nei giovani adulti (15–49 anni) per
nazione alla fine del 2005.
Stima del numero di persone che vivono con HIV/AIDS per nazione
La
pandemia di AIDS può anche essere vista come diverse
epidemie di sottotipi distinti. I fattori principali della sua
diffusione sono la
trasmissione sessuale e la
trasmissione verticale da madre a figlio alla nascita e attraverso il
latte materno[6]
Nonostante il recente miglioramento all'accesso al trattamento
antiretrovirale, in molte regioni del mondo, la pandemia di AIDS ha
coinvolto circa 2,1 milioni (range
tra gli 1.900.000 e i 2.400.000) di persone nel 2007, di cui circa 330.000
erano bambini sotto i 15 anni.[37].
A livello globale, si stima che 33,2 milioni di persone vivevano con l'HIV
nel 2007, di cui 2,5 milioni di bambini. Si stima che circa 2,5 milioni (range
tra gli 1.800.000 e i 4.100.000) persone siano state contagiate nel 2007,
tra cui 420.000 bambini[37].
L'Africa
subsahariana rimane di gran lunga la regione più colpita. Nel 2007 si
stimava che li ci fossero il 68% di tutte le persone che vivono con l'AIDS
e il 76% di tutte le morti per AIDS, con 1,7 milioni di nuove infezioni. A
differenza di altre regioni, la maggior parte delle persone che vivevano
con l'HIV nell'Africa sub-sahariana nel 2007 erano donne (61%). La
prevalenza sugli adulti nel 2007 era stata stimata al 5,0% e l'AIDS
continua ad essere la principale causa di mortalità in questa regione[37].
Il
Sud Africa ha la più grande popolazione di pazienti affetti da HIV nel
mondo, seguito da
Nigeria
e India[38].
Il Sud e
Sud-Est asiatico sono le seconde regioni più colpite[37].
L'India ha circa 2,5 milioni di infetti e la prevalenza negli adulti è
stimata nello 0,36%[37].
L'aspettativa
di vita è diminuita drammaticamente nei paesi più colpiti, per
esempio, nel 2006 è stato stimato che era scesa da 65 a 35 anni in
Botswana[6].
Negli Stati Uniti, le giovani donne
afro-americane sono a rischio particolarmente elevato per l'infezione
da HIV[39].
Gli afro-americani rappresentano il 10% della popolazione, ma possiedono
circa la metà dei casi di HIV/AIDS a livello nazionale[40].
Questo è dovuto in parte alla mancanza di informazioni sull'AIDS, nonché
di un accesso limitato alle risorse sanitarie e una maggiore probabilità
di rapporti sessuali con partner a rischio[41].
Ci sono anche differenze geografiche nella prevalenza AIDS negli Stati
Uniti, è infatti più comune nelle grandi aree metropolitane della costa
orientale e nella
California e nelle aree urbane del profondo sud[41].
Circa 1,1 milioni di persone vivono con l'HIV/AIDS negli Stati Uniti e più
di 56.000 nuove infezioni si verificano ogni anno[42].
Nei paesi dell'Europa dell'Est e dell'Asia Centrale si stima che vi
siano, nel 2010, 1,5 milioni di persone
sieropositive e che nello stesso anno 160.000 siano stati i nuovi casi
di infezione e 90.000 i decessi a causa dell'AIDS. Dal 2001, la prevalenza
dell'HIV in questi paesi è aumentata del 250%, rendendo la regione quella
con l'epidemia a più rapida espansione al mondo[43].
Il rischio di contrarre l'HIV per esposizione professionale negli
operatori sanitari è relativamente basso ed è stimato tra lo 0.09 e lo
0.3%[44].
Questo rischio è di molto aumentato nei paesi in via di sviluppo, sia a
causa della scarsa attenzione al problema e sia per la mancanza di
adeguate profilassi post-esposizione[45].
Uno studio condotto in
Zambia ha
evidenziato come la categoria degli
infermieri sia a più alto rischio di infortunio. Il tasso medio annuo
di contaminazioni accidentali con liquidi biologici era di 1,3 infortuni
medi per lavoratore. Correlando questi dati all'alta prevalenza di affetti
da HIV tra la popolazione di quel luogo, si può intuire il rischio di
trasmissione del virus[46].
Patogenesi
 |
Per approfondire, vedi la voce
HIV. |
Visione stilizzata di una sezione del virus dell'immunodeficienza
acquisita umana
HIV è un
retrovirus del genere
lentivirus, caratterizzato cioè dal dare origine a infezioni croniche,
che sono scarsamente sensibili alla risposta immunitaria ed evolvono
lentamente ma progressivamente e che, se non trattate, possono avere un
esito fatale[47].
In base alle conoscenze attuali, HIV è suddiviso in due ceppi: HIV-1 e
HIV-2. Il primo dei due è prevalentemente localizzato in
Europa,
America e
Africa centrale. HIV-2, invece, si trova per lo più in Africa
occidentale[47].
Una volta entrato nel circolo sanguigno dell'ospite non infetto HIV
ricerca alcune particolari cellule in cui può riprodursi. Per farlo
utilizza una
glicoproteina che sporge sulla superficie della sua membrana esterna,
la
gp120, la quale è un recettore per le cellule bersaglio, mentre
un'altra proteina, la
gp41, serve per fondere la membrana del bersaglio e permettere al
virus di penetrare al suo interno[47].
Ingresso e replicazione (fase attiva) di un virus all'interno di
un linfocita.
Le cellule bersaglio di HIV sono quelle che ricche di recettori
CD4, in
particolare alcuni
linfociti chiamati CD4+, che hanno un ruolo particolarmente cruciale
nel
sistema immunitario: sono infatti del veri e propri "direttori
d'orchestra" che attivano di volta in volta settori diversi delle difese a
seconda del tipo ospite indesiderato con cui vengono in contatto (batteri,
virus,
protozoi,
funghi,
vermi,
cellule tumorali, ecc.)[47].
Una volta entrato nella cellula HIV, tramite alcuni
enzimi contenuti nella sua struttura, integra il proprio codice
genetico (RNA)
con quello della cellula ospite trascrivendolo in
DNA. Gli enzimi
coinvolti in questa fase si chiamano
trascrittasi inversa e
integrasi. Si tratta di un processo molto importante per il virus,
poiché "mascherandosi" all'interno del DNA diventa di fatto inattaccabile
dalle difese immunitarie e dalle terapie farmacologiche: è questa la
caratteristica principale del processo biologico dei
retrovirus[47].
A questo punto HIV può avviare subito la replicazione virale o può
restare inattivo dentro la cellula, costituendo un serbatoio
ineliminabile, che garantisce al virus la sopravvivenza nell'organismo
ospitante a tempo indeterminato, per l'intera durata della vita del
soggetto[47].
Quando il virus si attiva (per ragioni non completamente chiarite, ma
legate comunque all'entrata in attività della cellula ospite e quindi
sistema immunitario) il virus obbliga la cellula ospitante a produrre al
suo interno le proteine e l’acido nucleico virale (RNA) che, come un
puzzle, si assemblano all'interno della stessa cellula fino a creare
virioni completi. L'enzima che modella le macroproteine in una forma
idonea a dare vita a nuovo virus è chiamato
proteasi[47].
I nuovi virioni vengono quindi espulsi dalla cellula per
gemmazione e immessi nel sistema circolatorio. Nell'uscire essi
formano le proprie membrane esterne (pericapside)
m col materiale della cellula che li ha prodotti e creano una sorta di
lacerazioni nella
membrana cellulare ospitante che provocano la morte della cellula. È
quindi il processo replicativo, non l'ingresso o la permanenza del virus
nella cellula, che è dannoso. Le terapie farmacologiche odierne mirano
infatti a inibire la replicazione e l'aggancio di nuovi bersagli agendo
sulle proteine e sugli enzimi del virus, non eliminando il virus[47].
Trasmissione
Sacche di sangue. Prima dell'esistenza di test specifici la
trasfusione i sangue infetto fu una frequente forma di contagio
Dagli inizi dell'epidemia,
sono state individuate principalmente tre vie di trasmissioni dell'HIV,
tutte riguardanti la penetrazione diretta di sangue o altre secrezioni
infette nel circolo ematico di un soggetto sano. HIV inoltre è un virus a
bassa
contagiosità, che per trasmettersi ha bisogno di un'elevata
concentrazione di particelle virali vitali. Tale condizione si realizza
pressoché esclusivamente nel
sangue e
nelle secrezioni genitali, in particolare lo
sperma;
in misura minore, ma comunque sufficiente, nelle
secrezioni vaginali[47].
Altre secrezioni contengono HIV a bassa concentrazione, ma l'esperienza e
numerosi studi sperimentali escludono la trasmissibilità tramite queste
secrezioni, salvo situazioni del tutto eccezionali, come la presenza
abbondante di sangue nella saliva[47].
Sangue e derivati
L'immissione di sangue infetto nel circolo di un soggetto sano genera
un'infezione pressoché certa. Questo tipo di contagio è stato molto
frequente prima della messa a punto del
test HIV,
tramite
trasfusioni di sangue infetto (ad esempio per pazienti
emofiliaci),
trapianti di organi di donatori infetti e accidentali casi di
ferimento con strumenti quali rasoi, aghi (anche da tatuaggio) o bisturi
appena venuti in contatto con materiale infetto, soprattutto in ambito
professionale (incidenti di laboratorio)[47].
L'esclusione sistematica dalle donazioni dei soggetti infetti e la
sterilizzazione di tutti gli strumenti che entrano in contatto col sangue
ha reso questo tipo di contagio prettamente episodico[47].
Lo scambio di sangue fu inoltre responsabile dell'esplosione
dell'epidemia tra
tossicodipendenti da
eroina,
tramite lo scambio di siringhe usate[48].
Tale contagio, legato a pratiche molto diffuse di condivisione della droga
e della siringa tra gruppi di giovani in momenti di aggregazione,
rappresentò negli anni ottanta la principale forma di contagio in paesi
mediterranei quali la
Spagna,
l'Italia,
la
Yugoslavia. Il crollo dell'uso dell'eroina nei paesi occidentali ha
drasticamente ridotto l'incidenza di questa forma di contagio in tali
zone, sebbene restino a rischio ampie fasce di consumatori concentrati
soprattutto nell'Europa dell'est e nei paesi emergenti dell'Asia[47].
Rapporti sessuali
Rapporti
penetrativi
Il preservativo è un presidio medico contro tutte le malattie
sessualmente trasmissibili, compreso l'HIV
La maggior parte delle infezioni del virus dell'HIV avviene attraverso
rapporti sessuali penetrativi non protetti, sia etero che omosessuali[47].
La secrezioni genitali possono infatti raggiungere livelli elevanti di
cariche virale e la dinamica della penetrazione favorisce la
microfessurazione delle mucose genitali, di per sé già congeste durante
l'atto, attraverso le quali il virus può entrare nel circolo
dell'individuo sano[47].
Lo sperma
è mediamente più infettante delle
secrezioni vaginali, perché oltre al virus libero può contenere
linfociti infetti; inoltre esso può rimanere anche a lungo a contatto con
le mucose
vaginali o rettali. La donna diventa più infettante in presenza di
sangue mestruale, infezioni o infiammazioni vaginali[47].
I rapporti anali rappresentano un maggior rischio di contagio, per la
maggiore facilità con cui crea microtraumi e per la natura della mucosa
rettale, strutturalmente meno idonea a contrastare l'impianto
dell'infezione[47].
Lo stesso pene
è dotato di mucose che possono lacerarsi durante i rapporti sessuali
entrando in contatto con sangue e secrezioni infette, rendendo rischioso
quindi anche il ruolo attivo. L'ispessimento della pelle in seguito alla
circoncisione abbassa notevolmente (ma non esclude) i rischi di tale
tipo contagio[49].
Il
preservativo, impedendo il contatto tra mucose genitali e secrezioni
potenzialmente infette, è un presidio sanitario di provata efficacia: il
suo uso corretto rende il
sesso sicuro e impedisce il contagio da tutte le
malattie sessualmente trasmissibili[47].
Rapporti non
penetrativi
Le pratiche sessuali non penetrative non possono essere definite prive
di rischi in assoluto, sebbene le segnalazioni di contagio sicuramente
attribuibili a tali pratiche abbiano un valore del tutto aneddotico e di
eccezionale rarità[47].
Non esistono dimostrazioni della contagiosità
fellatio:
esiste sicuramente una plausibilità biologica del contagio, ma
l'esperienza medica parla di un rischio ridotto. In ogni caso la pratica
può essere rischiosa solo se sperma infetto entra a contatto con ferite,
mucose lacerate (anche microlacerate) o ulcerate della bocca. Il rischio è
oggettivamente nullo in assenza di contatto con lo sperma e per chi riceve
la fellatio, anche se chi la pratica è un sieropositivo contagioso. L'uso
del preservativo annulla qualsiasi possibilità di contagio[50].
Stesse considerazioni valgono per il
cunnilingus, anche se non esistono casi accertati di contagio
attraverso questa pratica sessuale[50].
La minore concentrazione di virus nelle secrezioni vaginali rendono le
possibilità di contagio estremamente basse, mentre la presenza di sangue
mestruale è invece rischiosa. Barriere di lattice (come la superficie di
un profilattico aperto con un taglio longitudinale) o di pellicola
plastica eliminano qualsiasi rischio[50].
Rimming,
fist fucking e
golden shower possono essere teoricamente foriere di contagio HIV
solo se tracce di sangue o di sperma infetto entrano in contatto con
ferite,
ulcerazioni o
piaghe
della pelle
o delle
mucose di una persona sana. Si tratta di una considerazione generale
che vale per qualsiasi tipo di contatto, anche accidentale[50].
I tessuti permeabili e particolarmente irrorati da vasi sanguigni delle
congiuntive della
cornea
pare invece che siano permeabili anche in assenza di ferite[51].
La pelle è una barriera efficace al virus e nemmeno graffi superficiali o
pellicine alzate permettono al virus di entrare nella circolazione
sanguigna[52].
Contagio verticale madre-figlio
Uno studio sui bambini contagiati da madri sieropositive nel
2006-2010
La trasmissione del virus da madre a figlio può essere una derivazione
del contagio sanguigno, in utero attraverso il
cordone ombelicale, oppure durante il
parto o l'allattamento.
Sia il
liquido amniotico che il
latte materno hanno infatti un'alta concentrazione di virus[53].
In assenza di trattamento, il tasso di trasmissione tra madre e figlio è
del 25%.[54]
Tuttavia, dove un trattamento venga effettuato combinandolo con la
possibilità di un
parto cesareo e con alcune di settimane di terapia farmacologica per
il neonato, il rischio è stato ridotto all'1%[55].
Un sieropositivo che vuole diventare padre con una compagna
sieronegativa rischia di infettare la compagna, ma se essa non viene
contagiata non c'è pericolo per il nascituro: l'infezione si trasmette
infatti solo da madre a figlio e non dal padre. Esistono dei procedimenti
per escludere la contagiosità dello sperma (il cosiddetto "lavaggio dello
sperma") e permettere una fecondazione in tutta sicurezza per la madre[56][57][58].
Casi non contagiosi
L'HIV è stato trovato nella
saliva,
lacrime
e urina di
individui infetti, ma vista la bassa concentrazione del virus in questi
liquidi biologici, il rischio di trasmissione è considerato trascurabile.
Lo stesso vale per
tosse,
sudore, muco
e feci[59].
Il virus non si trasmette tramite contatti come strette di mano,
abbracci, baci, morsi, graffi[59]
né tramite l'uso di rasoi o spazzolini da denti di persone sieropositive
(se privi di tracce ematiche), anche se è comunque sempre consigliabile
l'uso di strumenti di igiene personale individuali[60].
Nulla è la possibilità di contagio tramite vestiti, asciugamani, lenzuola,
né tramite bicchieri, piatti o posate e in generale in tutti quei rapporti
legati al vivere sotto uno stesso tetto[59].
Le
zanzare, da sempre sospettate di essere un possibile veicolo di
infezione, in realtà sono sostanzialmente innocue, sia perché il virus non
si può replicare all'interno delle ghiandole salivari dell'insetto (trasmissione
biologica)[61]
sia per via della bassissima probabilità di infezione. La zanzara femmina
(il maschio non punge) dopo aver nutrito le uova nel proprio addome con il
sangue aspirato, riposa per circa 24 ore, tempo sufficiente alla scomparsa
del virus dall'insetto madre. Anche qualora la zanzara punga due individui
in successione di cui il primo sieropositivo, anche se altamente infetto e
anche se con ripetute punture, la possibilità di contagio (trasmissione
meccanica) è nulla perché il canale attraverso cui viene iniettata la
saliva e quello attraverso il quale viene prelevato il sangue sono due
condotti differenti, non in comunicazione tra di loro. Un discorso analogo
può essere fatto anche per altri
artropodi
ematofagi come
pulci,
zecche e
cimici[47].
La credenza che le zanzare siano veicolo di contagio è diffusa nei paesi
meno sviluppati[62].
Le zanzare sono in effetti responsabili della trasmissione di altre
patologie a
eziologia
virale come per esempio
dengue e
febbre gialla.
Stadi
dell'infezione
Andamento del numero di linfociti CD4+ (in blu) e della carica
virale (in rosso) nel sangue nei diversi stadi della malattia
In assenza di terapie l'infezione da
HIV evolve
inesorabilmente verso uno stato di malattia e la morte: in questo l'AIDS
ha rappresentato un'epidemia molto più temibile di altre epidemie dell'era
moderna, pari in termini di incidenza di persone colpite a quella della
tubercolosi, della
lue o
del vaiolo,
ma caratterizzata da una mortalità del 100%, pur nella variabilità dei
tempi di sviluppo della malattia (da pochi anni a più di un decennio dal
contagio)[63].
Per fini pratici l'infezione venne suddivisa in tre stadi, di facile
applicazione ma estremamente grossolani: infezione acuta, stadio di
latenza clinica e stadio sintomatico. Solo con l'ultimo stadio, in cui la
sindrome inizia a manifestarsi con
infezioni opportunistiche, si parla di
immunodeficienza e quindi di AIDS. Con le moderne terapie, anche in
caso di AIDS conclamato, è diventata possibile una regressione tra le
fasi, rendendo di fatto obsoleta tale distinzione, che comunque viene
ancora oggi tenuta in conto per ragioni storiche[47].
I linfociti perduti per via della replicazione dell'HIV vengono
ricostruiti dall'organismo ma, a lungo andare, le quantità sempre maggiori
di virus immessi nel sistema circolatorio ne infettano un numero sempre
maggiore, portando la loro quantità inesorabilmente al di sotto di una
soglia critica (>200 per millilitro di sangue, a fronte di 1200-600/ml in
un individuo sano), che rende di fatto l'organismo attaccabile con
successo da qualsiasi di agente patogeno[47].
Oggi l'avanzamento dell'infezione viene calcolato misurando la quantità
media di copie di virus presente per millilitro di sangue ("carica
virale") e la quantità di danno provocato dalla replicazione in termini di
scomparsa dei linfociti CD4+. La misurazione di questi parametri si è
rivelata particolarmente utile, anche perché indipendente dalle
manifestazioni cliniche: non è infatti eccezionale riscontrare gravi
quadri di immunocompromissione in assenza di sintomi clinici rilevanti[47].
Un'alta carica virale indica un'intensa attività replicativa dell'HIV e
quindi un'elevata distruzione di linfociti CD4+; tale dato esprime la
velocità con cui l’infezione corre verso l’AIDS. La conta dei linfociti
CD4+ presenti nel sangue indica invece il grado di compromissione del
sistema immunitario e, combinata col dato precedente, può permettere una
stima dei tempi entro i quali si raggiungerà una soglia critica e quindi
uno sviluppo della sindrome di immunodeficienza[47].
Il tasso di progressione clinica della malattia varia notevolmente tra
persone e ha dimostrato di essere influenzato da molti fattori, come la
suscettibilità dell'ospite, la funzionalità immunitaria,[64][65][66]
l'assistenza sanitaria e le possibili co-infezioni e quale particolare
ceppo del virus è coinvolto[67][68][69].
Infezione acuta
Sintomi principali dell'infezione acuta.
Il primo stadio, di infezione acuta, è caratterizzato da una rapida e
imponente replicazione del virus che non trova alcun ostacolo. In tale
fase la carica virale può raggiungere valori pari a milioni di copie di
RNA/ml[47].
Se l'infezione è stata contratta per inoculazione di sangue infetto nel
torrente circolatorio (trasfusione di sangue infetto,
trapianto di organi, uso promiscuo di siringhe, punture accidentali
con materiale infetto quali aghi o bisturi, trasmissione materno-fetale)
il virus si dirige direttamente verso i centri linfatici e qui infetta le
cellule CD4+, avviando la moltiplicazione[47].
Diverso è il caso della trasmissione per via sessuale, quando il virus
è probabile che infetti inizialmente le cellule linfatiche delle mucose
interessate, vaginali o rettali. Qui HIV compie i primi cicli replicativi
finché raggiunge la carica virale sufficienti per abbandonare le mucose e
raggiungere i linfonodi corrispondenti[47].
Non tutte le cellule infettate nella fase acuta avviano la replicazione
virale: HIV costituisce infatti un serbatoio di cellule latentemente
infette in cui integra i proprio codice biologico in quello
dell'ospitante, "mascherando" il proprio
RNA in
DNA e
diventando di fatto invisibile per il sistema immunitario e per le
terapie. Si tratta questa di una caratteristica peculiare dei
retrovirus, che ne garantisce la sopravvivenza nel corpo
dell'individuo infetto in tutto l'arco della sua vita[47].
L'infezione acuta è quindi caratterizzata da tre caratteristiche:
elevata replicazione virale e conseguente distruzione di cellule CD4+,
costituzione del serbatoio di cellule latentemente infette[47].
In circa la metà dei casi l'infezione acuta è asintomatica e, anche
quando è caratterizzata da sintomi, il quadro clinico è poco specifico,
facilmente confondibile con una
sindrome influenzale protratta. Un 20-30% di casi mostra un quadro
clinico più complesso e sospetto, con
febbre
protratta e non altrimenti interpretabile, manifestazioni
esantematiche simil-morbillose,
linfonodi ingrossati, quadri
meningei che indicano la presenza di HIV nel sistema nervoso centrale[47].
Stadio di
latenza clinica
La fase acuta viene interrotta dalla comparsa della risposta
immunitaria, che richiede circa 2-8 settimane e interessa sia
umorale che
quella cellulo-mediata, attraverso la produzione di
anticorpi anti-HIV e
linfociti
citotossici. I primi in particolare inattivano un'alta quantità di
virus libero immesso nel sistema circolatorio[47].
La fine della fase acuta quindi mostra un'importante riduzione della
carica virale, la ripresa del numero dei linfociti CD4+ e la scomparsa dei
segni clinici, se presenti. La rilevazione di anticorpi anti-HIV è
riscontrabile con uno specifico
test ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay), il
test HIV.
I soggetti positivi al test sono definiti
sieropositivi. La sieropositività è una condizione che, stanti le
conoscenze mediche odierne, perdura per tutta la vita di chi ha contratto
l’infezione, indipendentemente dallo stadio e dal grado di
immunodeficienza, ed esprime l'avvenuto contagio e il perdurare
dell'infezione[47].
La fase di latenza clinica (o cronica), in assenza di terapie può
durare da qualche anno a oltre 15. Dal punto di vista clinico le
condizioni del soggetto sono per lo più stabili, ma dal punto di vista
virologico la replicazione persiste, in particolare nei tessuti linfatici,
sebbene tenuta sotto controllo dalla risposta immunitaria. Il tessuto
linfatico che ospita la replicazione va però incontro a un progressivo
deterioramento, che nel tempo compromette la capacità di reintegrare i
linfociti distrutti dal virus. Inoltre, le frequenti mutazioni del virus,
portano alla comparsa di nuove popolazioni virali diverse da quella
originale, alle quali il sistema immunitario è continuamente sollecitato
ad adeguarsi[47].
Stadio sintomatico
Principali manifestazioni dell'AIDS
Gradualmente la carica virale riacquista forza, mentre resta
progressivo e costante l'assottigliamento dei livelli di linfociti CD4+
presenti nel sangue. Quando il numero di linfociti scende al di sotto di
una soglia critica (tra 400/ml e 200/ml, a fronte di un valore di
1200-600/ml in un individuo sano), l'organismo non riesce più a difendersi
da una serie di microrganismi scarsamente patogeni in condizioni normali,
detti
opportunisti, tra cui tutta una serie di ospiti abituali e del tutto
innocui dell'organismo (virus,
batteri,
funghi e
protozoi), più raramente acquisiti con metodi occasionali.
L'opportunità che questi organismi hanno di sviluppare una malattia, e
trasformarsi quindi in
patogeni, è fornita dal basso numero di linfociti CD4+[47].
Per alcuni microrganismi è sufficiente un grado molto limitato di
immunodeficienza e le infezioni che portano sono le prime a manifestarsi,
altri richiedono una compromissione più severa. Sintomi comuni sono
febbre,
sudorazione specie notturna, ingrossamento ghiandolare,
tremore,
debolezza e perdita di
peso[70]
. Alcune infezioni opportunistiche e alcuni tumori, come il
sarcoma di Kaposi sono ormai sintomi ben noti della possibile
infezione da AIDS. Senza terapie il numero dei linfociti CD4+ si erode
inesorabilmente e le infezioni opportunistiche si susseguono una dopo
l'altra, magari con pause di benessere tra l'una e l'altra grazie a cure
farmacologiche. È comunque solo questione di tempo, e lo scarto tra la
prima infezione e il decesso variava entro sei mesi e tre anni, in cui
l'individuo andava incontro a infezioni sempre più severe e ravvicinate,
che portavano a un progressivo e inarrestabile decadimento generale,
letale al 100%[47].
Le principali patologie polmonari sono: la
polmonite da
Pneumocystis jirovecii, la
tubercolosi (che può evolvere in extrapolmonare) e la
parotite. Le infezioni del tratto gastro-intestinale comportano
esofagiti e
diarrea
cronica. Tra le principali patologie neurologiche vi sono la
toxoplasmosi, la
leucoencefalite multifocale progressiva e la
demenza HIV-correlata. Aumenta inoltre il rischio di sviluppare varie
forme di
tumore come il
Sarcoma di Kaposi, i
tumori del cervello e i
linfomi.
Oggi i farmaci, sebbene incapaci di eliminare il virus, ne impediscono
la replicazione, cambiando completamente la prognosi degli ammalati.
Persone sieropositive che avevano già sperimentato un’infezione
opportunistica e gravi stadi di immunodeficienza sono riusciti a
recuperare un buon numero di linfociti CD4+ e godono di buona salute,
nonostante figurino statisticamente tra i casi di AIDS conclamato. Per
queste ragione la suddivisione in stadi tradizionale oggi non corrisponde
all’attuale contesto clinico e terapeutico dell’infezione, basandosi
piuttosto su dati oggettivi quali il numero dei linfociti CD4+ e l’entità
della carica virale[47].
Si ritiene che il trattamento terapeutico denominato HAART consenta un
incremento dell'aspettativa di vita medio attorno ai 30 anni[71]
o, secondo alcuni studi, anche oltre[72].
PARTE I
PARTE III
PARTE IV
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